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Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1890

A PROPOSITO DI UNA MONETA DI RUBI




NUOVE CONSIDERAZIONI



Bronzo. Peso, grammi 6,15.

D/ – Testa di Pallade galeata a destra. Sopra ΠΛΑΤΥΡ.

R/ — Civetta su di un ramo. Sopra KΟΛΑΩKΟC. Sotto ΡΥ.

Allorquando pubblicai per la prima volta questa moneta nel Bollettino dell’Istituto Archeologico di Roma a. 1878, asserii che di un tipo siffatto non era stato mai fatto menzione per lo innanzi. Questo non è interamente esatto, perchè, riscontrando, non è molto, la Revue Numismatique del 1843 (pag. 250, tav. X, n. 5) trovai pubblicato dal de Longpérier un esemplare della nuova moneta, nel quale non fu visto però il monosillabo ρυ e sul dritto fu letto πλατει e sul rovescio λατιο. Con strana e falsa attribuzione fu la moneta assegnata a l’isola di Platia, menzionata, secondo l’autore, da Stefano Bizantino e da Erodoto.

I miei due esemplari li ho avuti a Ruvo, nell’istessa località dell’antica Rubi. Uno è sconservatissimo, ma l’altro, se non fosse per la leggenda del rovescio in uno o due punti alquanto corrosa, sarebbe di una conservazione quasi perfetta.

Come credo aver dimostrato quando pubblicai per la prima volta questo monumento, è chiaro che tanto il nome che si legge sul dritto della moneta, quanto quello che anche per esteso si vede sul rovescio, sono da considerarsi come nomi di magistrati.

Per quello del rovescio, come dissi allora, oltreché non trova analogia di sorta con nessun nome di città di questa o altra contrada, basta, tenuto conto dell’epoca e del metallo della moneta, la terminazione ΟϹ e la corrispondenza del nome del dritto, perchè si possa senza tema di errare asserire ch’esso è un nome di persona. Che tale sia anche quello del dritto è reso manifesto da un curioso confronto che trova questo nome sopra un altro monumento greco della stessa epoca e dello stesso luogo.

Poco tempo prima che mi fosse riuscito di avere le monete in discorso, diroccandosi una vecchia parete di campagna poco lungi dalia città, furono rinvenuti parecchi di quei mattoni della forma di un tetraedro, che tanto comunemente si rinvengono nel terreno presso di noi. Sopra uno di questi mattoni è scritto a rilievo πλατυρ, e πλατυ si legge sopra un altro rotto quasi per metà come il primo. È inutile dire come questo luminoso confronto giovi assai bene a determinare la natura di quel nome.

Il monosillabo ρυ che in caratteri, non a caso più grandi, è visibile sotto la civetta, deve sicuramente esser l’abbreviazione della leggenda ρυβαστεινων, che trovasi sopra la notissima moneta di Rubi con l’identico tipo ma di stile diverso.

La moneta quindi la fo decisamente appartenere a la monetazione di Rubi, città greca dell’Apulia nota a’ cultori dell’arte antica. E per sostegno della mia opinione valgano le seguenti considerazioni intorno al tipo, alle epigrafi e al luogo di trovamento della moneta.

Il tipo di Pallade e la civetta, tipo di origine Ateniese, diventa nell’epoca meno antica assai comune in tutte le città dell’Italia Meridionale e quindi anche dell’Apulia, tanto nelle monete di sistema romano, come quelle di Venusia e di Tiati, quanto nelle monete di sistema greco, come quelle di Azetium, di Salapia, di Rubi e di altre. È a considerare ancora che il tipo della nuova moneta è perfettamente simile a quello delle monete con la leggenda ρυβαστεινων, variando soltanto per una maggior secchezza e durezza dì linee che si rivela nei contorni della testa di Pallade. Ma di questa differenza non si deve poi fare gran caso, quando si consideri che può benissimo spiegarsi con la diversità dell’epoca dei due monumenti. Questa particolarità dello stile della nuova moneta, che potrebbe indurre qualcuno a classificarla tra le più antiche di bronzo di Rubi, pare a me che possa invece giudicarsi un effetto della decadenza dell’arte e il monumento allora riportarsi ad un’età posteriore, se non a tutte, forse a la maggior parte delle altre monete dello stesso metallo.

In quanto a le epigrafi è da considerare che, se i due nomi scritti per intero sono certo nomi di magistrati, allora la sillaba ρυ non si può diversamente considerare, se non come la indicazione del nome della città. Né, se così non fosse, si potrebbe spiegare una particolarità, che deve giudicarsi non del tutto fortuita. Questa particolarità consiste nella forma assai più grande delle altre in cui sono scritte le lettere della sillaba ρυ; con che si voleva, a me pare, indicare che questa sillaba aveva un significato ed una importanza maggiore delle altre parole messe su la moneta, perchè se queste indicavano dei nomi particolari di magistrati, quella invece era la espressione della città tutta, era il nome di tutto il popolo che coniava la moneta.

Che il nome urbico si trovi assai comunemente nell’esergo della moneta è un fatto abbastanza noto; come è anche noto che, se vi sono parecchi esempii in cui il monogramma del magistrato è posto nell'esergo, questo però non avviene tanto di frequente quanto per il nome del popolo.

Che infine sia di un valore quasi decisivo in favore della mia attribuzione il curioso confronto, di cui sì è fatto innanzi parola, tra il nome della moneta e quello del mattone trovato in Ruvo stesso, sembrami chiaro abbastanza.

Per il luogo di trovamento è da notare che uno dei due esemplari trovavasi da molto tempo nel modestissimo medagliere della mia famiglia, e poiché quella piccola raccolta è stata a poco a poco formata con le monete che si aveva occasione di comperare sul luogo stesso da’ contadini che le scoprivano, né essendo possibile supporre che si cercasse o comperasse di fuori una moneta tanto guasta dal tempo che si fu costretti a relegarla tra le incerte non solo, ma a gittarla nello scarto, fu certamente trovata a Ruvo e qui non dirò comperata, che non poteva valerne la pena, ma avuta per una occasione qualunque.

Dell’altro esemplare poi, di cui offro qui un esatto disegno, posso su la fede del mio amico can. Fatelli, che me ne faceva gentilmente dono, con certezza assicurare essere di origine ruvestina, perchè fu, pochi giorni prima che io l’avessi, rinvenuta da un contadino che zappava la terra.

Non perchè due esemplari ne furono rinvenuti a Ruvo intendo assolutamente dedurne che questa moneta si debba necessariamente attribuire a la monetazione di quest’antica città; ma stimo d’altronde inutile ripeter quello che già ai numismatici è notissimo, che il luogo di trovamento, quando è accoppiato ad altri criterii, sia uno degli argomenti più valevoli nell’attribuzione delle antiche monete.

Il Friedlaender nella Zeitschrift für Numismatik (B. VII, s. 183), annunziando la mia piccola scoperta numismatica, non trovò nulla da ridire su l’attribuzione, che mi sembra davvero indiscutibile, della moneta.

Accettò la lezione della leggenda del dritto su la quale non cade dubbio alcuno, ma cercò modificare quella del rovescio; gli elementi visibili che io lessi e leggo: credette gratuitamente supplire con λαμοс e suppose che la lacuna tra ed α fosse una lacuna naturale e che alla leggenda nulla mancasse. Per convincerlo fui costretto a mandargli originalmente il monumento. Dopo di che, nel seguente fascicolo della Zeitschrift f. Numismatik s. 357, egli scrisse che una ripetuta accurata osservazione aveva dimostrato che la iscrizione del rovescio sia in lettere non interamente regolari. Accettava quindi la mia lezione con la semplice differenza che nella prima lettera vedeva una sola lineetta invece di due e nell’antipenultima, nessuna. Ma che nella prima lettera le lineette sono due lo confessa lo stesso Friedlaender quando dice: la seconda lineetta potrebbe essere un casuale sollevamento. Osservando attentamente il monumento si vede che la seconda lineetta esiste veramente, e non può supporsi casuale. Nell’altra lettera in questione non compariscono così chiaramente come nella prima le due lineette, ma se ne vedono soltanto le traccie. Poiché a quel posto non si può supporre un segno di aspirazione quale sarebbe Ⱶ, e poiché questa lettera in tutto il resto è somigliante alla prima, ho creduto allora e credo anche adesso che questa lettera sia la stessa della prima e che le due lineette, delle quali si vede chiaro un piccolo accenno, siano quasi state distrutte da l’attrito.

Parmi ad ogni modo che sia assai più facile e naturale supporre che una piccola parte della lettera sia stata danneggiata da l’uso, anziché, come ha fatto il Friedlaender, imaginare che vi sia stata aggiunta dal caso. Or questo fatto casuale si ripeterebbe due volte nella medesima leggenda, perchè anche nella antipenultima lettera dovrebbe ritenersi per casuale la comparsa della lineetta, essendo il Friedlaender di opinione che quell’elemento fosse un jota riuscito troppo lungo. Ma che esso possa invece essere la stessa lettera del principio sembra farlo comprendere lo stesso numismatico tedesco quando, anteponendo ad ogni idea preconcetta la verità scientifica, aggiunge: questo | ha alto rilievo, mentre le linee laterali, le quali qui sono visibili e rappresenterebbero κ, non hanno nessun rilievo, ma sono soltanto delle macchie o irregolarità del fondo.

Ma come mai quelle irregolarità del fondo sono proprio avvenute in quei due punti e nella stessa maniera? Certamente è strano; ed è chiaro nello stesso tempo che le ultime osservazioni del Friedlaender, se elevano dei possibili e lontani dubbii su la mia lezione della leggenda del rovescio, non la compromettono affatto, anzi, se non m’inganno, mi sembra che la confermino per la più possibile finora. Insisto quindi, fino a che più giuste e più decisive osservazioni in contrario non mi sieno fatte, a leggerla cosi: , da completarsi καιλαωκοσ o κολαωκοσ o sia pure diversamente, essendo naturale che soltanto dei confronti epigrafici possono scientificamente condurre ad una, se non sicura, almeno probabile compie tazione.

Rimane a dire qualche cosa della natura delle epigrafi e quindi del carattere della moneta. È da questo lato che l’illustre Friedlaender contradisse decisamente la mia modesta opinione, nella quale non pertanto, credo di dover rimaner fermo e mi appello al giudizio dei dotti.

Che la parola πλατυρ del dritto possa riferirsi a la testa di Pallade, come non era alieno dal supporre il Friedlaender (vielleicht den Namen der dargestellten Göttin) è una opinione insostenibile. Il confronto da me riportato dei mattoni, ne’ quali esso è accoppiato ad un altro nome di persona, la esclude senz’altro. Tanto esso quanto quello del rovescio mi pare dunque che non si possano meglio considerare che come nomi di magistrati. La quistione cade su la natura di queste leggende: Diese Aufschriften (scriveva il Fr. 1. c. p. 183) sind nicht griechisch, sondern messapisch. A me parve e pare tuttora che quelle epigrafe sieno e debbano essere greche. Che sieno greche sembra confermarlo il confronto stesso dei mattoni, per la ragione che su questi non compariscono che nomi, almeno per forma epigrafica, puramente greci, e per l’altra ragione ancora che del pari genuinamente greco è il nome che comparisce su l’altro lato del mattone che porta πλατυρ.

Il confronto dei nomi πλατοραs e πλατοrrihi. trovati dal Mommsen in iscrizioni messapiche, parmi che formino piuttosto una prova in contrario; perchè su la moneta, se fosse messapica, si sarebbe dovuto trovare adoperata la forma e la desinenza messapica come in quelle. Nulla invece di messapico trovo nella parola Πλατυρ; la quinta lettera anzi, è puramente greca. Infatti, nell’alfabeto messapico certa è la mancanza della lettera υ, dice il Mommsen (Iscriz. messap. p. 13).

Tutte le lettere parimenti che compongono il nome del rovescio sono, è vero, di forma alquanto irregolare, ma essenzialmente greche; decisamente tali sono in particolar modo le lettere k, c ed ω, la quale ultima, a dire del Mommsen (l. c.), non comparisce mai nelle iscrizioni messapiche. Nè sappiamo comprendere per qual ragione la terminazione ος il Friedlaender chiami Messapica (die Endung ος, sie scheint hier sicher, ist eine messapische. — l. c. p. 184), mentre essa è una delle desinenze più comuni dei nomi greci.

In quanto finalmente al confronto che il chiarissimo nummologo tedesco riportava in questa occasione dell’altra moneta di Rubi con la leggenda ΠΡοΣΕ.Ε, perchè potesse avere un qualche valore bisognerebbe prima esser sicuro che quella sia veramente una iscrizione messapica, come opinò il Mommsen (l. c. p. 57). Per me, tanto προ quanto ΣΕ non so diversamente considerarli se non come abbreviazioni di due diversi nomi di magistrati monetali greci. Non è inutile notare che in uno dei due esemplari di questa moneta che si conservano nel Museo Jatta (Catal. st. v. p. 1015, n. 1787-88) il globetto dopo πρ e più grande e potrebbe esser considerato come un piccolo o, mentre il secondo è chiaramente un punto di distinzione; nell’altro invece il primo globetto non differisce affatto dal secondo, come nella moneta del British Museum (cat. n. 11) ingiustamente corretta dal Friedlaender. Deve anche tenersi presente che l’ultima lettera non ha nulla che fare colle antecedenti; talora è ε, talora κ (Mus. Jatta, Catal. p, 1015 n. 1788).

Ammettendo la congettura del Friedlaender, che le epigrafi di questa moneta sieno da considerarsi per messapiche, due ipotesi si possono fare: o supporre che la moneta sia stata emessa dai Greci con leggende messapiche, o che sia stata, coniata addirittura da Messapii. La prima ipotesi non sembra in nessun modo sostenibile, perchè oltre a non essere affatto ragionevole e naturale, non trova nello stesso tempo confronto alcuno nella monetazione della stessa contrada.

Per me pare molto evidente che, ammettendo la messapicità delle epigrafi, bisogna necessariamente ritenere che la moneta sia di emissione messapica.

Greci, come quelli che abitavano le colonie dell’Apulia e che la monetazione stessa dimostra essere stati molto intimamente legati per rapporti di origine, di natura e di condizioni politiche a quelli di Taranto, non potevano consentire che i magistrati monetali scrivessero i loro nomi su le monete in una forma che non fosse pienamente greca. I fatti confermano questo: i monumenti numismatici chiaramente dimostrano che furono i popoli del luogo che adattarono la loro monetazione non solo al sistema, ma ancora a la tecnica ed a la epigrafia greca.

Bisognerebbe dunque ammettere la seconda ipotesi e imaginare nelle colonie Appule un periodo di monetazione Messapica per necessità molto antico ed anteriore certamente a la dominazione greca. Posteriore non potrebb’essere, perchè vediamo nelle altre città dell’Apulia, ove a la greca monetazione segui la romana, anche le ultime emissioni immediatamente antecedenti a questa esser sempre e puramente greche.

Ma anche questa ipotesi mi pare che sia decisamente da rifiutarsi, almeno per ora, per la validissima ragione che un fatto di si grande importanza per la storia della monetazione dell’Apulia non si può stabilire senza avere prove o argomenti storici di sorta o almeno monumenti sicuri che lo confermino.

Finalmente, senza andare più per le lunghe, credo non sia da dubitare che questa nuova moneta di Rubi, e per questa considerazione e perchè da quanto innanzi si è detto risulta che le sue epigrafi non pure non hanno nulla di decisamente messapico, ma presentano anzi alcuni caratteri che li determinano addirittura per greche, sia da giudicare un monumento puramente greco, un genuino prodotto dell’ultimo periodo della greca zecca dell’antica Rubi.

Napoli, maggio 1890.




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