Questo testo è incompleto.
La mia cronaca di poeta Al mio futuro biografo
Questo testo fa parte della raccolta VIII. Da 'Storia e fantasia'

XIII

A UN ROSIGNOLO

Covato nel materno
nido, spuntasti al di. La molle piuma
ti crebbe al mite aprii. Modesto e solo
nella sei vetta canti,
5fantastico usignuolo,
canti all’alba, alla luna, al mezzogiorno,
or lieto, ora dolente,
se è ver che la natura,
come t’ha dato la canzon d’amore,
10ti desse il cor che sente:
cosi, simile al fiore,
alla notturna luccioletta e al vento,
vita gentil, tu nasci,
e vai cantando. Vai
15via della terra; e forse
nulla comprendi, o sai.
Quanta del nostro seme
parte che pensa e geme,
rosignol fortunato,
20vorrebbe al par di te, cedere al fato!
Vorrebbe, e non 1 ’ è dato,
ché ’l pensier l’affatica e il duol la scarna,

e ’l tempo immane e morte la spaventa,
però che la comprende;
25anzi par che la senta
prima ancor del suo di. Tu sulla verde
tua frasca mattineggi;
e non vedi che ’l del, le ripe intorno
e il pastor colla mandra, a cui non badi;
30ché te possiede il canto,
tua legge antica. Intanto
battagliano i mortali
sopra ogni plaga. In ciel qualche pianeta
consumando si va. Simili a foglie
35cadon le umane vite. E indifferente
le insepolcra l’obblio.
E la speme e l’error diversamente
mena le turbe. Addio,
addio, cantor soave.
40Forse dimán morrai privo d’affanno
e di sgomento. E il breve
loco de’ tuoi riposi
ignoreran le genti.
Di te chi mai s’avvede?
45Né il bosco rimarrá senza tuoi pari,
né l’alba, né la luna
senza i gorgheggi usati.
Ahi! perché v’ami alcuna
alma gentil, v’è d’uopo,
50augelletti dell’aria,
perder la libertá, dal colorato
carcere alzar la voce, e a chi vi pasce
il tedio consolar del di che fugge.
Allor carezze e baci
55di bimbi e verginelle
vi piovon sopra; ché l’avara schiatta
nulla dá mai per nulla.
Né forse il duol vi preme

d’essere in ceppi! Ignoto
60v’è dunque il lutto della terra nostra?
veracemente? Io ’l credo,
perché le melodie voi neghereste
all’uom che v’imprigiona.
O forse a voi natura
65piú che a noi generosa indole dona?
Ah! no. Non è la prole
dell’uom cui pianga o rida
il vostro canto: è quest’arcana immensa
beltá dell’universo.
70Oh rosignol, divino
flauto de’ boschi, avessi
i tuoi notturni carmi,
come ho l’aura immortal dei mio destino.
Chi per selva o cittade
75disamar mi potria? chi somigliarmi?
Ma desiar che vale?
Io non ho le vostr’ale,
né voi le mie. Cantiamo,
augelletti, cantiam, sinché la scura
80notte chiuda su noi l’ultima porta,
e Dio trasformi questa poca e morta
in immortai natura.
Allora, allor soltanto
volo perpetuo e canto
85avremo e libertá. D’ira e di frode
troppo ci mette in gara
quest’aiuolctta avara,
che dalle savie lingue ha poca lode.

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