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II. Amore
Il dramma storico - I Il dramma storico - III

CAPITOLO II.

Amore.

La notte era limpida e serena — il cielo sfavillante di stelle — l’aria imbalsamata. Mille augelletti canori, da poco tempo climatizzati in Europa, svolazzavano tra gli alberi odorosi, tolti alle vergini foreste americane e trapiantati nell’ampio giardino. I vivaci colibrì dalle ali di fuoco precedevano le tre donne, formando sul loro capo una nuvoletta dorata. Tutta la poesia del creato si rifletteva in quei giovani cuori, fecondando i germogli della più sublime, della più santa passione. La voce, la parola, l’accento di quella conversazione era una musica divina, nella quale si fondevano tutte le armonie misteriose della natura.

Presso l’Arco della Pace le tre donne fecero sosta. Il lago era a poca distanza, e i gruppi dei lavoratori e dei passeggieri che si dirigevano a quella volta, divenivano frequenti.

— Mutiamo argomento — disse la Viola, trattenendo le compagne. — Qualche profano dell’antica razza potrebbe udirci e burlarsi di noi. Non esponiamo le cose sante al ludibrio dei pervertiti.

— Noi ci siamo slanciati per una via di fiori; abbiamo discusse le illusioni, i sogni gentili della vita, ma nulla abbiamo concluso.

— La sola conclusione possibile — disse la Viola — è che nell’era antica l’amore fu riguardato come un piacere, mentre il piacere non è nell’amore che un modo di manifestazione ed un complemento.

— Io credo che nessuno sia in grado di definire l’amore — disse la Viola — o piuttosto che ciascuna donna lo senta diversamente, secondo l’indole propria e l’educazione degli eventi. Per me l’amore è desiderio.

— L’amore è sacrifizio! — soggiunse Luce.

— L’amore è perdono! — sospirò Fidelia.

E in quel punto una voce vibrata e sonora ripetè le parole della fanciulla, e un giovane di bellissimo aspetto uscì da un cespo di dalie, e mosse incontro a Fidelia stendendole la mano.

Le tre donne trasalirono di sorpresa. Ma gli occhi di Fidelia furono attratti da forza magnetica verso lo sconosciuto — le due mani s’incontrarono — e un fremito di voluttà corse rapidamente dall’uno all’altro cuore. Quel fremito era la parola misteriosa dell’amore, il muto linguaggio delle anime, che l’una all’altra si rivelano.

— Adulto! — disse la Viola allo sconosciuto — noi non possiamo intrattenerci o camminare in vostra compagnia, se prima non abbiate adempiuto alla legge di ricognizione.

— Dispensatemi dal palesare il mio nome — rispose il giovane. — Una sola di voi ha il diritto di conoscerlo... ella che diceva poco dianzi: l’amore è perdono. — Quanto alle mie qualifiche, vi basti sapere che io sono l’inventore della nuova macchina per la pioggia artificiale che domani verrà esperimentata al cospetto dell’universo.

— Voi... il nuovo benefattore dell’umanità! — sclamò Fidelia con entusiasmo. — Voi, l’inventore della macchina che ha destato la meraviglia del mondo!

— Pur troppo io sono quello sventurato! — rispose il giovane con voce commossa. E in quel punto il volto del giovane si coperse di pallore, e una ruga gl’increspò leggermente la fronte.

Luce e Viola si ricambiarono una occhiata significante, poi rivolgendosi a Fidelia: — Vanne, — le dissero, — la pietà accompagni il dolore. Quest’uomo aveva bisogno della confessione, e Dio gli ha mandato il suo angelo!

Fidelia baciò in fronte le amiche, e preso per mano il giovane addolorato, si diresse con lui verso la spiaggia del lago.

— Chi lo crederebbe? — disse Viola alla Luce, seguendo con lo sguardo i due che si allontanavano. — Quest’uomo da oltre venti giorni riempie il mondo della sua fama; domani, per assistere all’esperimento de’ suoi meravigliosi meccanismi, dai confini più remoti della terra converranno a Milano tutti i primati dell’intelligenza. Più di tremila areostati sono già scesi quest’oggi all’arsenale di Corsico — la Casa di ospitalità dell’antico Foro ha già ricoverato ventimila forestieri, — domani prima di mezzogiorno arriveranno i tre palloni smisurati del dipartimento Russia, e la grande arca Americana della forza di cinquecento aquile... Tutti i veicoli della Unione saranno in moto per trasportare passeggieri — le viscere della terra fremeranno per elettrico impulso negli scambi della grande novella... Ed ecco: l’uomo che ha dominato gli elementi, che ha sconvolto l’ordine della natura fisica; l’uomo che domani sarà idoleggiato da tutta la famiglia umana, non può emanciparsi dalla tirannia del dolore, non può con tutti gli sforzi della sua volontà e della sua intelligenza sospendere anche per un momento il battito delle proprie passioni. Sarebbe mai vero il paradosso propugnato dalla nuova setta dei Ginevrini, che l’umanità progredisce a scapito degli individui?...

Per giungere al lago, Fidelia e il suo giovane compagno avevano attraversato una folta selva di pini. Uscendo all’aperta, uno spettacolo meraviglioso si presentò al loro sguardo, spettacolo affatto nuovo per la giovinetta, che arrestossi sospesa sulla punta dei piedi, immobile come la statua dell’ammirazione.

Le acque erano sparite — una immensa lastra di metallo ne copriva la superficie, formando sovr’esse una cupola lucente, dal cui centro usciva una piramide colossale, gigantesca, immensurabile, la cui estremità superiore si perdeva negli oscuri spazi della notte.

La torre di Babele è dunque riedificata? E Iddio ha permesso agli uomini del ventesimo secolo di stabilire una comunicazione fra la terra ed il cielo? E perché non ha egli punito, come in altri tempi, questo sacrilego attentato della superbia umana?

La favola di Babele non è certo la meno immorale delle tante immoralità delle Genesi. — Iddio non può punire quel provvidenziale istinto della azione che è nella mente della umanità. Oggimai nessuno può disconoscere questo vero immutabile. Rimescolare la materia, agitarla, trasformarla, tale è la missione dell’uomo. Orgoglioso, superbo fino a credersi onnipotente, l’uomo non cesserà mai da questa lotta gigantesca che aspira al perfezionamento e forse conduce alla dissoluzione. Il Titano schiacciato non cesserà di agitare i suoi massi, di accumulare i macigni per salire fino a Dio — perché egli sente di aver qualche cosa di comune con Dio: l’intelligenza e lo spirito creatore!

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