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CAPITOLO XVIII.
Catastrofe impreveduta.
Se quella notte fu lunga ed angosciosa per l’Albani, ciascuno di leggieri comprende che anche il Gran Proposto Berretta e il Capo di Sorveglianza Torresani non dormirono sovra un letto di rose.
Quanto alla buona e sensibile Fidelia, basti sapere ch’ella vegliò fino all’alba in lacrime e preghiere.
Chi all’indomani apparve più rassicurato e fidente, fu l’Albani. Nella propria coscienza egli aveva attinto il coraggio; se qualche cosa gli rimaneva ancora a temere dalla malvagità degli uomini o dalla soperchieria dei potenti, pur si sentiva agguerrito alla lotta dalla propria rettitudine e dalla inesorabilità della legge.
Serena la fronte e l’occhio infiammato di febbrile impazienza dalla villa, e dopo aver errato alcun tempo nei quartieri più popolosi della città, si diresse verso il palazzo di Giustizia Civile.
La sala del Consiglio si apriva nelle ore pomeridiane, al principiare dei crepuscoli.
Quando l’Albani comparve alla piccola Tribuna degli appellanti, i trecento anziani già occupavano le scranne dell’Emiciclo. I cinque Seniori, ai quali spettava esclusivamente il diritto di interrogare e di discutere, già avevano compiuto l’esame dei molti documenti ammucchiati sulla tavola. Il Gran Proposto Berretta, calmo in apparenza, ma in cuore vivamente preoccupato, era assiso, colla testa raccolta fra le mani, alla tribuna di ragione.
All’apparire dell’Albani, si riscosse, alzò gli occhi, ma non ardì sostenere il lampo di uno sguardo che pareva sfidarlo.
I quattro compartimenti dell’anfiteatro superiore frattanto si inondavano di una folla di curiosi, avida di emozioni.
Un dibattimento nel quale dovevano trovarsi di fronte due grandi notabilità della famiglia, il Proposto Terzo Berretta e il celebre inventore della pioggia artifiziale Redento Albani doveva naturalmente destare nella moltitudine il più vivo interesse. La vertenza offriva altresì una speciale attrattiva ai malcontenti di tutte le classi, ai nullabbienti, ai federati dei partiti estremi, nemici naturali di ogni autorità costituita, bramosi di scandali e impazienti di lotte.
Allo scoccare dell’ora settima, il Presidente temporaneo degli Anziani annunziò l’apertura del dibattimento. Tutti i labbri ammutirono.
Tutti gli sguardi si volgerò al Seniore Inquirente che dal suo seggio elevato ripetè quattro volte il nome del Gran Proposto.
Questi a sua volta si levò in piedi.
— Cittadino Berretta — tuonò la voce dell’Inquirente — la legge ti interroga, la famiglia ti ascolta e Dio ti vede nel cuore1. Perchè hai tu posto il veto alla petizione di matrimonio civile inoltrata dal fratello Primo Albani in favore di Fidelia tua figlia?
— Nella mia qualità di Supremo Magistrato dell’Olona — risponde il Gran Proposto con voce commossa — sento che la più rigida osservanza delle leggi mi è sacro dovere. L’Albani ha violato la legge di dilazione; nella notte del 27 settembre, egli venne a Milano furtivamente e si intrattenne parecchie ore nei giardini della Villa Paradiso.
— È falso! — urlò l’Albani balzando in piedi coll’impeto del suo ardente carattere. E quel grido dell’anima concitata destò nella sala un eco tumultuoso.
Il Gran Proposto si fece pallido in viso.
— Cittadino Albani — riprese l’Anziano Inquirente — moderate i vostri impeti che a nulla giovano, se non forse a pregiudicarvi, quando in vostro favore non intercedano le irresistibili prove del fatto. Il cittadino Berretta ha recato sul banco della giustizia dei gravi documenti che appoggiano la sua asserzione, e noi, col vostro beneplacito, ne daremo contezza a quanti ci ascoltano.
— Si leggano i documenti! — rispose l’Albani assidendosi e chinando la testa fra le mani.
Al cominciare della lettura, l’attesa del pubblico era solenne e imponente il silenzio; ma appena il nome dell’ex barone Torresani autore del rapporto segreto risuonò nella sala, insorse da ogni parte un mormorio sinistro e provocante. Un Capo di sorveglianza pubblica non era meno detestato sotto il fraterno regime della Unione, che nol fossero un secolo addietro un prefetto di polizia od un questore.
L’Albani, che ascoltava con angoscia impaziente, appena fu esaurita la lettura di quel primo documento, si rialzò dal suo seggio, e tutti notarono con meraviglia come il di lui volto, poco dianzi allibito dalla collera, esprimesse calma e fiducia.
— Onorevoli Seniori, onorevoli Anziani, onorevolissimi cittadini e fratelli — parlò l’Albani con ferma voce — i voti del mio cuore sono appagati, ciò che io ardentemente desiderava si è avverato; il rapporto del cittadino Torresani mi apre l’unica via sulla quale mi sarà dato di raccogliere a mia giustificazione delle prove assolute. In detto rapporto si afferma che nei giardini della Villa Paradiso io mi trattenni colla figlia del Gran Proposto, Orbene: se il padre di Fidelia acconsente, io eleggo a termine impreteribile di assoluzione o di condanna, la pubblica testimonianza di quell’angelo di luce e di bontà, di quella santa creatura, inaccessibile alla menzogna, che porta il nome di Fidelia... Il suo verdetto mi sarà sacro, ed io mi appresto ad ascoltarlo col sorriso nel volto e colla fede nel cuore.
L’Albani guardava fissamente il Gran Proposto, ma nessun segno di turbamento o di esitazione appariva su quella fronte marmorea. Quel vecchio non poteva aver scrupoli né rimorsi in presenza de’ suoi istinti di padre; quel magistrato si sentiva agguerrito dalla coscienza del vero. Prima che l’Anziano Inquirente gli ripetesse, come d’uso, la proposta dell’avversario civile, il Berretta si levò in piedi profferendo queste due semplici parole: «accetto la testimonianza di mia figlia come termine impreteribile — venga Fidelia!»
La figlia del Gran Proposto non era lungi.
Gli Anziani, prevedendo l’incidente, l’avevano chiamata al giudizio, e la giovinetta, circondata dalle amiche, attendeva l’appello della matrona legale nella sala di aspetto riservata alle fanciulle. Nel di lei volto non appariva alcun segno delle interne agitazioni: ma quella calma sgomentava le amiche, e la buona Speranza ne era siffattamente allarmata che a stento reprimeva i singulti.
Al primo appello della matrona, Fidelia si levò in piedi e appoggiata al braccio delle amiche, la persona castamente avvolta nel peplo mattutino, si diresse verso la porticella che metteva alla tribuna.
Quella apparizione destò nella sala un mormorio di simpatia. I Seniori e gli Anziani si scopersero il capo, Il Gran Proposto e l’Albani rimasero al loro posto come impietriti. Sì l’uno che l’altro furono investiti da un tremito che pareva un presagio. Gli occhi di Fidelia. eretti al cielo, si irradiavano tratto tratto di una luce fosforescente.
— Abbassate la reticella vitrea!2 — ordina il Presidente Temporaneo degli Anziani ai meccanici di legge; — il risultato della testimonianza vuol essere decisivo; è necessario che la verità non venga pregiudicata da influssi magnetici o da altri poteri occulti.
— È vano! — rispose dalla tribuna la voce di Fidelia; — nessuna volontà umana potrebbe violentare il mio libero arbitrio. L’anima di mia madre è con me, e la menzogna non può uscire dal mio labbro.
Così parlando, la giovinetta sviluppò dal peplo il suo candido braccio, e alzando la destra fece brillare allo sguardo degli assembrati un bellissimo carbonchio umano3 sfavillante come l’astro di Venere.
L’emozione degli astanti toccava il parossismo.
L’inquirente, dopo breve attesa, raccolse dalla mano del Presidente il quesito finale già formulato e riveduto dagli Anziani e dai Seniori; indi, nel silenzio più opaco della assemblea, si volse a Fidelia:
— Adulta Fidelia Berretta: la legge ti interroga, la famiglia ti ascolta e Dio ti vede nel cuore. Puoi tu asserire che nella notte dal ventisette al ventotto settembre dell’anno corrente, l’adulto Redento o Primo Albani siasi intrattenuto teco a colloquio in Milano, e precisamente nella sua villa detta del Paradiso?...
— Sì! — rispose Fidelia senza esitare un istante.
L’Albani, che durante la interpellanza si era levato in sulla punta dei piedi, col labbro ansante e l’occhio iniettato di una luce che era fede e certezza, ricadde sulla seggiola mettendo un grido.
Ma un altro grido uscito da molti cuori di donne in quel medesimo punto, distrasse dall’Albani l’attenzione degli astanti per portarla sovra la figlia del Gran Proposto.
Il monosillabo affermativo partito dalla tribuna delle vergini era stato l’ultimo sospiro vitale di Fidelia. La giovinetta, nel profferirlo, era caduta nelle braccia delle amiche come un giglio reciso.
— Morta! morta! — gridavano le donne.
— Uccisa dalla menzogna! — ruggì l’Albani insorgendo e accennando al Gran Proposto.
— La prova galvanica! la prova galvanica! — urlarono mille voci dall’emiciclo.
Il Presidente degli Anziani sollevò la mazza di primo ammonito per sedare il tumulto. E frattanto, in men che io nol dica, quattro matrone di ufficio trasportarono il corpo di Fidelia nel centro della sala, e il chirurgo primate del tribunale le applicò il pungiglione galvanico all’occipite.
La folla irruppe dalle sbarre. Seniori, Anziani, bidelli, subalterni, spettatori, si pressarono compatti intorno al banco di risurrezione. L’Albani stringeva nelle sue la mano di Fidelia.
Il Gran Proposto piangeva desolato ai piedi della figlia.
Al tumulto scapigliato era succeduto come per incanto il silenzio della riverenza e della aspettazione.
La puntura galvanica non tardò molto ad agire. Fidelia si riscosse...
— Discendi in te stessa — disse il primate di chirurgia parlandole all’orecchio; — visita il tuo cuore e i tuoi visceri, e dimmi qual fu la sincope che ti ha colpita.
Le labbra di Fidelia si agitarono e proffersero la parola morte.
Il primate le applicò il pungiglione galvanico alla fronte.
— Puoi tu asserire — domandò l’inquirente — che Primo Albani abbia avuto teco un colloquio nella notte dal ventisette al ventotto settembre?
— No! — rispose la morta. — In quella notte l’Albani era ben lungi... ben lungi... da Milano.
— Perché dunque — riprese l’Inquirente — hai tu voluto, quando eri in vita, affermare un fatto che ora sei costretta a smentire?...
— Perché desso... perché colui...
— Parla!... una sola voce!... una parola... ancora! — gridò l’Albani!
— È vano! — disse il primate ritirando il pungiglione dalla fronte dell’estinta e riponendolo nell’astuccio. — Il galvanismo non ha più azione su lei: la materia animale è ottusa.
Ciò che avvenne in quel punto nella sala non può descriversi a parole.
Caliamo la tela su questa scena di desolazione e di tumulto.
- ↑ Formola giudiziaria sostituita all’antico giuramento.
- ↑ La reticella vitrea è un tessuto di materie coibenti, e si impiega nei tribunali civili e criminali ad isolare i testimoni, onde sottrarli alle correnti di fluido magnetico che potrebbero pregiudicare la libera espressione di un verdetto. È un apparato semplicissimo, tanto semplice, che un arguto lettore dal nome può formarsene un concetto approssimativamente veritiero.
- ↑ Da oltre mezzo secolo la cremazione dei cadaveri venne da tutta Europa non solamente adottata ma prescritta come base di ogni rito funebre. Al momento di raccogliere le ceneri di un trapassato, accade talvolta di rinvenire nel centro dell’amianto funerario, al luogo ove posava il cuore del defunto, una pietra di color sanguigno più splendida e più dura dell’adamante. La superstizione si impadronì di questo fatto inesplicato dalla scienza, per fabbricarvi intorno le più strane congetture. La bella, splendidissima pietra prese il nome di carbonchio umano. Si suppose che le molecole vitali del defunto, rifuggendo, per un accidente chimico—elettrico non ancora esplorato, da tutte le estremità del corpo alle regioni del cuore, ivi si cristallizzino per formare il prezioso gioiello, che andò poi nella opinione del popolo acquistando il titolo di talismano onnipotente contro le forze occulte della perversità e della soperchieria umana.