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AD UNA ALLODOLA.
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dall’inglese di Percy Bysshe Shelley.
Salute a te, salute,
Volatrice gentil, che dai profondi
Cieli di note argute
Non meditati effondi
5Torrenti di che l’alto etere inondi!
Diritta al ciel tu sali,
Come di foco nuvoletta, e pendi;
Rotata indi sull’ali
L’immenso azzurro fendi
10Ed a’ tuoi regni nuovamente ascendi.
Nel tremolo baleno,
Che da ponente di dorata lista
Solca alle nubi il seno,
Tu navighi non vista,
15Navighi d’altri cieli alla conquista.
Del dì, che langue e manca,
Nelle diffuse porpore ravvolta,
Come una stella imbianca
Ne’ rai del dì sepolta,
20Nessun ti vede e ciaschedun ti ascolta.
I luminosi dardi
Va celando la stella a poco a poco,
Finchè si toglie a’ guardi;
Ma se del sol nel foco
25Nessun la vede, ognun ne addita il loco.
Pieni son terra e cielo
De’ tuoi concenti; qual se d’importuna
Nube squarciando il velo,
Di subito la bruna
30Immensità d’argento empia la luna.
Chi sei? chi ti somiglia?
Dolci così dell’iride i colori
Non piovono alle ciglia,
Come de’ tuoi canori
35Gorgheggi l’armonia piove sui cori.
Sei come vate ascoso
Nell’etereo splendor de’ suoi pensieri,
Che d’inno armonïoso
Lusinga e prigionieri
40Fassi i mortali al suo dolor stranieri;
Come regal donzella
In alta torre, che cantando affida
Alla segreta cella,
Prima che il duol l’uccida,
45L’occulta fiamma che nell’alma annida;
Come un insetto d’oro,
Che sotto l’ombra di conserte fronde
Tesse sottil lavoro,
Che fra le rubiconde
50Urne de’ fiori e le rugiade asconde;
Come solinga rosa,
Che il profumato calice discioglie
All’aura ingiurïosa,
Che coll’odor le foglie
55Ad una ad una nel passar le toglie.
Di frondi tremolio,
D’erbe bisbiglio, venticel d’aprile,
Di piogge mormorio,
Quanto è quaggiù gentile,
60Quanto dolce ad udir passa il tuo stile.
Dinne, leggiadro spirto,
Quale dolcezza i tuoi concenti ispira?
Fra colmi nappi e mirto
Sì dolce non sospira
65Notturno accordo d’amorosa lira.
Cori d’allegro imene,
O di trionfo olimpiche canzoni
Accanto alle serene
Note, che disprigioni
70Dall’ardente tuo cor, son freddi suoni.
A che nascose fonti
L’onda beata attingi? a che pianure?
A che marine o monti?
Dolci d’amor le cure
75Sempre ti son? non provi odî e paure?
Al tuo gioir commista
Esser doglia non può: de’ suoi languori
Te noia non attrista;
Canti i tuoi lieti amori,
80Ma dell’amor gli occulti tedî ignori.
Sia che tu vegli o dorma,
Scerner la morte a te non si disdice
In più benigna forma,
Che a noi sognar non lice;
85O sì vispa saresti e sì felice?
Trepidi innanzi, indietro
Noi volgiam le pupille: al desco accanto
Veggiam starci il ferètro;
E se lo bagna il pianto,
90Esce più dolce dalle labbra il canto.
Pur se dolore e noia
Fossero all’uman core affetti ignoti,
Dalla serena gioia
In cui t’immergi e nuoti,
95Parmi che noi saremmo ancor remoti.
Quanti natura ed arte
Han lieti suoni: quanti fior gl’ingegni
Poser nell’auree carte,
Tu vinci, tu che sdegni
100La terra ed ardui voli al vate insegni.
Prestami i tuoi concenti!
Tali in divino rapimento immerso
Diffonderò torrenti
Di suon, che l’universo
105Udrammi, come io muto odo il tuo verso.