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Atto terzo

Scena settima
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SCENA VII.


ANFRIDO ferito, portato da due FRANCHI e DETTI.


                       rutlando.
Ecco un nemico. Ove si pugna?

                       un franco.
                                          Il solo
Che pugnasse, è costui.

                        carlo.
                              Solo?

                       il franco.
                                      Gran parte
Gettan l’arme, o si danno; in fuga a torme

Altri ne van. Lento ritrarsi e solo
Costui vedemmo, che alle barde, all’armi,
Uom d’alto affar parea: quattro guerrieri
Da un drappel ci spiccammo, e a tutta briglia
Sull’orme sue, pei campi. Egli inseguito
Nulla affrettò della sua fuga; e quando
Sopra gli fummo, si rivolse. Arrenditi,
Gli gridiamo; ei ne affronta: al più vicino
Vibra l’asta, e lo abbatte: la ritira,
Prostra il secondo ancor: ma nello stesso
Ferir, percosso dalle nostre ei cadde.
Quando fu al suol, tese le mani in atto
Di supplicante, e ci pregò che, posto
Ogni rancor, sull’aste nostre ei fosse
Portato lungi dal tumulto, in loco
Dove in pace ei si muoia. Invitto sire,
Meglio da far quivi non c’era: al prego
Ci arrendemmo.

                        carlo.
                     E ben feste: a chi resiste
L’ire vostre serbate.
                        (a SVARTO)
                           Il riconosci?

                       svarto.
Anfrido egli è, scudier d’Adelchi.

                        carlo.
                                          Anfrido,
Tu solo andavi contro a lor?

                       anfrido.
                                       Bisogno
C’è di compagni per morir?

                        carlo.
                                      Rutlando,
Ecco un prode.
                      (ad ANFRIDO)

                     O guerrier, perchè gittavi
Una vita sì degna? e non sapevi
Che nostra divenia? che, a noi cedendo,
Guerrier restavi e non prigion di Carlo?

                       anfrido.
Io viver tuo guerrier, quand’io potea
Morir quello d’Adelchi? Al ciel diletto
È Adelchi, o re. Da questo giorno infame
Trarrallo il ciel, lo spero, e ad un migliore
Vorrà serbarlo; ma, se mai.... rammenta
Che, regnante o caduto, è tale Adelchi,

Che chi l’offende, il Dio del cielo offende
Nella più pura immagin sua. Lo vinci
Tu di fortuna e di poter, ma d’alma
Nessun mortale: un che si muor tel dice.

                        carlo.
                       (ai CONTI)
Amar così deve un Fedel.
                      (ad ANFRIDO)
                                    Tu porti
Teco la nostra stima. È il re de’ Franchi
Che ti stringe la man, d’onore in segno,
E d’amistà. Nel suol de’ prodi, o prode,
Il tuo nome vivrà; le franche donne
L’udran dal nostro labbro, e il ridiranno
Con riverenza e con pietà: riposo
Ti pregheran. Fulrado, a questo pio
Presta gli estremi ufizi.
           (ai SOLDATI che rimangono)
                            In lui vedete
Un amico del re. Conti, ad Eccardo
Incontro andiam: nobil saluto ei merta.


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