< Agamennone (Eschilo)
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Eschilo - Agamennone (458 a.C.)
Traduzione dal greco di Ettore Romagnoli (1921)
Secondo episodio
Secondo canto intorno all'ara Terzo canto intorno all'ara


SECONDO EPISODIO



corifeo


Odi! Per la città spandersi rapido
il grido per il fausto
messaggio. E chi può dir s’esso è veridico,
se un inganno è dei Superi?

coreuta ii


450Chi tanto bambinesco è, chi di cèrebro
tanto sconvolto, che s’accenda al nunzio
d’una fiamma, e s’abbatta poi, se suonano
diversamente le parole?

coreuta iii


                        A femmina
455bene s’addice il giubilo
prima che veda: l’indole
femminile è ben credula.

COREUTA IIII


Veloce sorge; e muta pur veloce
fama cui sparse una femminea voce.

CORIFEO


460Presto sapremo se veraci furono
le fiaccole onde a noi venne la luce,
e i segnali di fiamma, e le vicende
di fuoco; oppur se ci deluse, come
sogno, la vampa che qui lieta giunse.
465Veggo un araldo dalla spiaggia muovere,
di rami d’oleastro ombrato il viso.
L’annunzia a me la polvere, sorella
sitibonda, finitima del fango.
Egli non già senza favella, né
470bruciando face di montana selva,
nunzio darà col fuoco e con la fiamma;
bensí parlando ci dirà... che il cuore
s’allegri - altra notizia udir non voglio.
Fausta conferma aggiungasi ai segnacoli
475fausti: chi ad Argo fa diverso augurio,
del suo malo pensier colga mal frutto.

ARALDO
Giunge correndo, si gitta bocconi al suolo, bacia la terra


O patrio suolo dell’argiva terra,
in questa luce giungo a te dell’anno

decimo; e attingo questa speme sola
480delle molte già frante! Io non credevo
piú di morire in questo argivo suolo,
né parte avere di sí dolce avello.
Ed ora, salve, o suolo, salve, o luce
del sole, e Giove, re di questa terra,
485e tu, di Pito re, che piú dall’arco
le frecce contro noi non scagli! Troppo
nemico presso allo Scamandro fosti:
salvaci, adesso, e pon fine ai travagli,
Apollo sire! E voi tutti, dell’àgora
490Numi, supplico; e te, diletto araldo,
degli araldi decoro, e a me patrono,
Ermete; e voi che ci spingeste ad Ilio,
defunti eroi, benevoli accogliete
le schiere che campâr dalla battaglia!
495O dei re nostri casa, o dolci tetti,
o seggi venerandi, o sculti dèmoni,
il re che giunge dopo il lungo indugio,
con onori accogliete, e con sí fulgido
viso, come or, che il sol v’accende. Giunge,
500luce recando nella notte a voi,
e ai cittadini tutti quanti, il sire
Agamènnone giunge. Or salutate -
bene è giustizia - lui, che con la marra
che a vendetta gli die’ Giove, scalzò
505Ilio: scassato è ben tutto quel campo,
tutto disperso è della terra il seme.
Tal giogo imposto ad Ilio, a noi ritorna
il maggior degli Atridi, né fra gli uomini

d’ora, v’è alcun d’onor piú degno. Paride
510né la città che il fio pagò con lui,
millantar non potrà che il loro oltraggio
fu maggior della pena. Il fio del ratto
e del furto pagò, perdé la preda,
la patria casa sterminò degli avi
515all’ultima rovina. I Priamidi
le loro colpe hanno pagato a doppio!


CORIFEO

Salute, o araldo degli Achei guerrieri!


ARALDO

Godo! Non chiedo ai Numi oltre piú vivere!


CORIFEO

Ti struggeva desio di questa patria?


ARALDO

520Tanto, che per la gioia or verso lagrime!


CORIFEO

Tocchi eravate del mio dolce morbo?


ARALDO

Di quale morbo? Spiegami, che intenda!

CORIFEO

Brama colpirci di chi noi pur brama!


ARALDO

Argo bramava il suo bramoso esercito?


CORIFEO

525E tanto lo piangeva il mio cupo animo!


ARALDO

Donde, nel cuore tuo, l’esoso cruccio?


CORIFEO

Il silenzio, da tempo al mal m’è farmaco.


ARALDO

Nell’assenza dei re temevi alcuno?


CORIFEO

Come te dico! Ora, anche morte è dolce!


ARALDO

530Sí, che tutto or ci arride. In lungo correre
di tempo, volgono or felici, ed ora
biasimevoli eventi. E chi nol sa?

Chi mai senza dolor, tranne i Celesti,
tutto il viver trascorre? Oh!, se i travagli
535e le dure vigilie io ti dicessi,
e il disagio, e l’angustia dei giacigli
entro le navi, senza un’ora mai
di riposo, gementi. E in terra, poi,
era l’affanno anche maggiore. I letti
540avevam presso le nemiche mura,
e le brine del cielo e le terrestri
c’irroravan sui prati, e facean guaste
le vesti, e madidi orridi i capelli,
come di fiere. E chi direbbe il freddo
545che, da le nevi d’Ida, insopportabile
sterminava gli uccelli? O la calura
allor che, senza flutto, nei giacigli
meridïani, senza vento, il pelago
cadeva ed assonnava? Ma che giova
550di ciò lagnarsi? Ogni travaglio è lungi!
Ignoto al cuore dei defunti è il cruccio
di non risorger piú. Che giova il computo
far dei caduti? Della sorte avversa
perché si lagnerà chi vive? Io voglio
555dare alle ambasce un lungo addio. Per quanti
sopravvivemmo delle schiere argive,
ben prevale il guadagno; ed al confronto
non regge il danno. Onde ora, in faccia al sole,
vanto meniamo a buon diritto noi,
560la cui fama per mare e terra vola:
una schiera d’Argivi ha presa Troia:
questi trofei, d’antiche reggie fregi,

ai Numi della Grecia appesi ha in voto.
E quanti odono, onore ad Argo diano,
565e ai condottieri; grazie offrano a Giove,
che ci die’ la vittoria. Il tutto or sai.


CORIFEO

Le tue parole m’han convinto, sappilo:
vivo sempre nei vecchi è il desiderio
d’accertare gli eventi. Entro la reggia,
570a Clitennestra, piú che ad altri, deve
star questo a cuore. E insieme io gioirò.


CLITENNESTRA

Un ululo di gioia alto levai,
subito, come a notte giunse il primo
messaggero di fiamma, ed annunziò
575la presa, il sacco d’Ilio. E alcuno, a biasimo,
diceva: «Credi presa Troia? Credi
a segnali di fuoco? È ben da femmina
esaltarsi cosí!» Sí, che, ad udirlo,
mentecatta io sembrava. E pure, tutti
580sacrifici offeríano; e a mo’ di femmine,
chi qua, chi là, per tutta Argo levando
alto clamore e augurî, entro i delúbri
sacri sopíano l’odorosa fiamma
voratrice d’incensi. Ed or, che importa
585un tuo lungo discorso? Presto udrò
tutto dal mio stesso signore. Intanto
procaccerò che degnamente accolto

lo sposo sia, di reverenza degno.
Salvo, per opra degli Dei, dal campo
590veder lo sposo entro le patrie mura:
per una sposa c’è piú dolce giorno?
Al signor mio questo messaggio reca:
venga, come può prima, alla città
che lo brama: tornando alla sua casa,
595ei troverà la fida sposa, quale
pur la lasciò: cane del tetto a guardia,
benigno a lui, nemico ai suoi nemici;
e costante in ogni altro atto, per lungo
volger di tempo, niun sigillo io fransi.
600Immersa mi sarei prima in un bagno
d’ardente bronzo, che gustar piacere
d’un altr’uomo, ed averne scorno e biasimo.


CORIFEO

Sui labbri a nobil femmina, tal vanto
congiunto a verità, turpe non sembra!


Clitennestra entra


CORIFEO

all’araldo

605A te che intendi, favellò costei
come ad acuto interprete s’addice.
Or dimmi, araldo: Menelao, diletto
signor di questa terra, è ritornato?
È sano e salvo? Lo vedrem fra noi?


ARALDO

610Non credo io, no, che di menzogne belle
colgan gli amici lungo tempo il frutto.


CORIFEO

Oh! Possa dir buone novelle, e vere;
ché divise dal ver, ben poco celansi!


ARALDO

Dall’esercito acheo sparve l’eroe:
615egli e il suo legno: non ti dico il falso.


CORIFEO

Salpò solo da Troia? O insiem vi colse
la burrasca, e da voi lui separò?


ARALDO

Hai, come arciero, colto a mezzo il segno:
in pochi motti un dolor grande hai chiuso.


CORIFEO

620E qual fama di lui corse fra gli altri
navichieri? Che vivo o morto fosse?


ARALDO

Niuno lo sa, che certo il dica, tranne
il sol, che nutre ogni terrestre forza.


CORIFEO

E per l’ira dei Numi piombò, dici,
625la burrasca sui legni, e li distrusse?


ARALDO

Macchiar con voce di funesti eventi
un fausto giorno non si deve: è dissono
a ciò l’onor dovuto ai Numi. Quando
con volto esoso un messaggero reca
630nefande ambasce di cadute schiere,
piaga comune al popol tutto, e Marte
da molte case spinge a branchi gli uomini
al sacrificio, con la doppia sferza —
sanguinea coppia e duplice sciagura —
635chi di tai doglie giunge colmo, intoni
tale all’Erinni un lugubre peana.
Ma quando giunge ad annunziar che prosperi
furon gli eventi, e la città s’allegra,
a che dovrò mescer fortuna e guai,
640e narrar che tempesta gli Achei colse,
non senza ira dei Numi? A patto vennero,
nimicissimi in prima, il fuoco e l’acqua,
e provaron la lor fede, struggendo
le schiere degli Achei miseri. A notte
645con estuar di flutti il mal s’aderse:
venti da Troia l’una contro l’altra
spezzavano le navi. Esse, cozzando
coi corni, a forza, tra furor di turbini
e di procelle, e strepito di pioggia,

650dal triste mandrïano in giro sperse,
fuggivano, sparivano. E poiché
del sole il raggio chiaro si levò,
di cadaveri achivi e franti legni
tutto vediamo il ponto egeo fiorire.
655Noi con lo scafo della nave illesi
sottrasse un Nume - ché mortal non era -,
al timone sedendo - od intercesse
per noi: Fortuna, a governarla, ascese
la nostra nave, sí che nell’ormeggio
660non la colpisse la procella, né
la sfracellasse allo scoglioso lido.
Cosí, sfuggiti al pelago di morte,
chiaro brillando il dí, senza piú fede
nella fortuna, pascevamo cruccio
665novello in cuor: l’esercito distrutto,
miseramente in cenere converso.
Ora, se alcun di quelli anche respira,
crederà noi periti; e noi di loro
ugual credenza abbiamo. Oh! per il meglio
670tutto si compia! E Menelao che qui
giunga prima d’ogni altro spera dunque.
Che se raggio del sol lo scuopre, se
gli occhi ha dischiusi ancor, mercè di Giove,
che distrutta non vuol la stirpe sua,
675speranza c’è che alla sua patria rieda.
Sappi, che, tanto udendo, udisti il vero.

Esce

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