Questo testo è incompleto. |
◄ | Dovunque vai, con teco porti il cesso | Poi che guerito son de le mascelle | ► |
Questo testo fa parte della raccolta I. Rustico Filippi
XXII
Ecco un popolano avaro e ingordo, che s’industria come può
Al mio parer, Terriccio non è grave,
ma scarso il tegno ismisuratamente;
e ben cavalca de la man soave,
4quando d’avere utolitá ne sente.
E con tale usa, e vanno insieme ’n nave,
che boce glien’è corsa di mordente;
non so se ’l fa: ma ’l suo si serra a chiave,
8ch’él medesmo, che ’n tórre è si saccente,
non credo che del suo potesse avere;
ché’n questo è fermo il suo intendimento:
11del suo non dare, altrui tórre a podere.
E, se per rima fosse il suo lamento
de’ nuovi danni, che stima d’avere,
14sollazzi n’averemmo il giorno cento.
Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.