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ELOGIO
DI
PASQUALE FURGIUELE.
Pasquale Furgiuele fu giovane considerabile per la pellegrinità dell’ingegno e per la eccellenza nelle lettere, e da farne reputazione massime in questi luoghi, nei quali è molta svogliatezza per i buoni studii e per le buone istituzioni. Egli fu desiderosissimo della sapienza insino dal primo entrare nella giovanezza, e dotato di bellissimo intendimento aveva riportato frutto mirabile in breve spazio di tempo: non pertanto, e questa era la prerogativa che lo rendeva amabile, aveva rara modestia nel favellare e nel manifestare le proprie opinioni. Fece molto studio nella storia, alla quale avea naturale inclinazione, segnatamente nella storia patria; e per questa sua vaghezza, fanciullo, provava compiacenza di sentir raccontare dagli agricoltori più vecchi gli avvenimenti di Amantea, suo villaggio, stati negli antichi tempi. Ebbe particolare disposizione per la poesia, e starebbe bene a proposito l’affermare che tutte le facoltà della sua anima con mirabile consonanza si contemperarono per la poesia, e conformemente che tutti i casi della vita si concordarono ad una delicata musica, che risonò per un breve tempo e poi si disperdette. Ne’ suoi componimenti era osservabile la tranquillità, la soavità, la gentilezza del sentimento, e la perfezione della forma; tantochè molti erano paragonabili a quelli di qualunque altro, e principalmente una romanza intitolata la Vela; la quale, per la bellezza, mandarono a memoria una gran parte dei giovani calabresi. A guardarlo, ciascuno avrebbe portato giudizio che cotesto giovane, col passare del tempo e colla perseveranza degli studii, sarebbe diventato uno dei più gentili poeti lirici dell’Italia.
La natura dalla parte sua lo avea conformato di un temperamento adatto per la poesia: immaginazione limpida; sensibilità squisita tantochè a qualunque caso si commoveva dentro, in quella guisa che ad un leggiero tocco di sonatore tremano le corde di musicale istromento; una euritmia in tutta l’anima. Le sue sembianze rendevano immagine di un artista: persona delicata oltremodo, voce malinconiosa, una cotale mestizia nel sorriso della bocca e degli occhi, e i lunghi ed inanellati capelli sopra quella faccia magra e bianchissima biondeggiavano. E quanto non pareva più bello leggendo qualche sua canzone o qualcheduna di Giacomo Leopardi, che era il poeta che gli piaceva a preferenza di tutti gli altri! allora l’anima gli tremava negli occhi, e l’arte pigliava in lui persona viva ed atteggiamento.
E la terra dove fu nato è oltremodo poetica: imperciocchè sopravanza tutte le restanti parti della Calabria per antichità di memoria; e la veduta è bellissima; e i casamenti belli, ombreggiati da pergolati, si spaziano sopra la riviera del Tirreno. All’avemaria, sopra il suo bruno cavallo, solo, era solito di passeggiare per la costa del mare, e si dilettava di guardare le torme dei zappatori che, cantando, se ne tornavano dalla campagna verso Amantea. Le notti di primavera e di estate dal verone della sua casa, che guardava nella marina, si compiaceva insaziabilmente di rimirare e di considerare le onde che alla presenza della luna sprizzavano luce come se fossero piene di lucciole, e le tremolanti lucerne delle barche che navigavano dentro il mare.
Ma tutt’altro obbietto lo ispirava e gli rendeva tanto cara Amantea. Di celato a tutti, nel silenzio, per lungo intervallo di tempo, egli ed una giovane si amavano, di un amore imparagonabile, il quale sembrerebbe cosa immaginaria a contare. La incontrò in un giardino, che andava a spasso con le compagne; era nella prima età, bella, onesta nel portamento ed affettuosa nel sembiante; egli era nei diciassette anni; e si condussero a consentimento di amore. Le serate belle passava sotto le sue stanze, e quando le notturne lampadi tralucevano rare per i balconi del vicinato, udiva le affettuose note che una delicata mano ritrovava nel cembalo, ed egli le riceveva tremante, ed egli solo le intendeva nell’animo, e niuno più al mondo. Ambedue conservavano occultamente la contentezza che avevano immaginata e sognata nella semplice anima, e contavano dentro la mente quanti anni dovevano passare insieme.
Ma il cielo non consente tanta felicità in questo mondo alla generazione umana. Venuto il tempo che dovevano effettuarsi le immaginazioni ed i sogni, gli negarono la giovane, gliela levarono davanti; e in ultimo ella, disperando, volle velarsi di bianche bende. Venne costretto egli ad andarsene in una lontana parte. Oh che affettuosa canzone non cantò l’ultima sera attorno a quel luogo! quante calde promesse! quante miserabili lacrime quando la barca, e quella da una lontana invetriata guardava e vedeva, navigando sopra le onde, disparve. Andò a Napoli: ma, contro le immaginazioni di tali, nè l’allontanamento lo sconfortò dalla costanza, nè il paese ameno, nè gli spassi, nè i teatri, nè la veduta di tante donne della voluttuosa città gli diminuirono l’amore, conciossiachè verace amore dentro giovanile petto non mai si spegne.
Passò molto tempo dolorosamente, e molte volte per la sovrabbondante malinconia che sentiva dentro, andavasene al camposanto e si riposava quivi, e andava riguardando i sepolcri, e principalmente quelli dove stavano segnati i nomi di qualche giovane e di qualche fanciulla; diceva dentro di sè: Questi forse hanno patito quel medesimo che abbiamo patito noi; il cielo sa se termineremo di qua a breve tempo nel medesimo modo; almeno che fossimo uniti dopo la morte, come sono questo giovane e questa fanciulla.
Intanto per la malinconia perpetua quella gentile anima si logorava lentamente; tantochè i suoi, commossi dalla misericordia, si adoperarono per ottenergli la giovane: ma oramai era tardi. S’inginocchiarono davanti all’altare del Signore; il sacerdote, come suole fare, augurava loro lunghi anni; la donna in dimostrazione di fede stendeva la mano, egli ancora la sua: ma quella mano colla quale la stringeva era scarna. Non passò un anno, e là dove si faceva festa si udirono vedovili lamenti. Gli sopravvenne una febbre, e, quanto più era lenta, altrettanto impauriva il disavventurato giovane: la vita, che gli era diventata sì cara, lo andava abbandonando insensibilmente. La donna, che non aveva alcun presentimento dei propri casi, la sera per riconfortarlo gli raccontava ella quanto aveva patito per lui, quanta forza le venne fatta per non amarlo; ed egli la riguardava sorridendo, e le stringeva la mano senza parlare. Gli venivano alla mente cotali pensieri ed immaginazioni, che parlavano di dolore; diceva fra sè: A non molto andare questa giovane porterà nero vestimento, ancora tenera sposa: oh quanto mi piangerà, quando passerà sola per i viali dove c’incontrammo la prima volta!
Quella malattia diventò irreparabile; allora una disperata confidenza entrò in ambedue; si sforzavano d’illudersi e di occultarsi coll’immaginazione cotanto immensa sventura. Quella si accostava al suo letto: E dimmi, o sposo, che tu sei sano. Ed egli sforzandosi coll’immaginazione: Sì mi pare di essere sano; intanto aveva fatto il primo passo per andare al sepolcro. Gli diceva la giovane, tanto che quelli che udivano piangevano per tenerezza: Mi hai promesso che dobbiamo passare insieme per molti anni, ancora non è passata un solo anno: e quegli, dappoichè la malattia illudevalo miserabilmente, le prometteva che sì; intanto aveva fatto il secondo passo nel sepolcro, ed ormai era presso a scendervi per sempre. L'ultima notte quanto non pianse ella quando lo disperarono i medici, ed entrarono in casa una moltitudine di donne colle lampadi, e il parroco del villaggio portando l’Ostia del viatore! Tanto illusa, ed ora tanto improvvisamente disingannata! Nell’estreme ore egli la chiama per nome: Gabriella; la guarda con gli occhi languidi della morte, e le dice (e quella piangeva): Perdonami (e quella si svelleva i capelli); perdonami se ti ho fatto infelice (e quello se lo abbracciava e baciava). Dopo morto mi porrai l’anello col quale ti disposai sopra il petto, mi comporrai tu colle tue mani e mi chiuderai tu gli occhi, non ti scorderai di me, io ti amerò sempre.
Ora Pasqualino Furgiuele, giovane ancora nei venticinque anni, è morto; e la polvere sua, confusa alla polvere di tante generazioni, aspetta la parola di Dio che la chiami.