< Alcuni opuscoli filosofici
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Prima lettera a Galilei
Discorso del modo di conservare i grani Seconda lettera a Galilei



DUE LETTERE


DEL PADRE


D. BENEDETTO CASTELLI


AL SIGNOR


GALILEO GALILEI


Sopra ’l differente riscaldamento, che riceve da’ raggi del Sole la metà della faccia d’ un mattone tinta di nero dall’altra metà del medesimo mattone tinta di bianco.


Ove anco si discorre del caldo, del lume, del bianco, del nero, e d’altri effetti naturali, la soluzione de’ quali per mezzo de’ sopraddetti

problemi ci si fà nota.

Molt’Illustre, ed Eccellentissimo


Signore.



V. S. Molt’Illustre, ed Eccellentissima attende a darmi nuove de’ suoi travagli, ed io continuerò a darle parte delle mie consolazioni. E prima le dico, che se bene non ho avuto risoluzione del mio negozio dalla benignità de’ Padroni, e se bene dalle parti di Venezia sono difficoltà grandissime, in ogni modo vivo il piu content’huomo del Mondo, e spero coll’aiuto di Dio superare questi ponti, questi giardini incantati, questi Antropofaghi, e Lestrigoni, Asini armati, e simili altre bestie mostruose, e quando bene non ne potessi cavare costrutto nessuno, io spero uscire di quel bel luogo con onor mio in capo à venticinque anni, e quello che piu mi comforta, spero di rivedere V. S. e stare seco qualche giorno. Le voglio ancora dar parte di un’altro gusto, che ho avuto a’ dì passati con occasione di una strana maraviglia, la quale se bene non mi giunse totalmente nuova, tuttavia non averei mai creduto, che fosse tanto stravagante. La cosa è questa: che un giovane, che viene spesso da me di spirito, ed intelletto assai lucido, trattando meco del freddo, e del caldo, dopo avere egli, ed io celebrata la dottrina di V. S. intorno alle nominate qualità spiegata maravigliosamente nel Saggiatore, mi venne detto. Che se fosse preso un mattone, e tinto dalla medesima faccia mezzo nero coll’inchiostro, e mezzo bianco con la calce, ed esposto colla faccia tinta a questi soli ardenti, e lasciatovelo stare per una mezz’ora, o poco piu, o poco meno si sarebbe riscaldato sensibilmente piu nella parte nera, che nella bianca: ed essendo il giovane scolare di un celeberrimo, ed insigne Filosofo prontissimo in risolvere qualsivoglia problema per difficile che ei sia, mi venne in pensiero d’indurre il giovane a dimandare la ragione di questo accidente al suo maestro; ma con proporgli la conclusione a rovescio, cioe con dimandarli la ragione perche si riscaldava piu la parte bianca, che la nera: e lo assicurai, che la profonda filosofia del suo maestro averebbe subito assegnata la vera cagione adequata, e chiarissima di tale stravaganza.
Ora il Giovane propose il quesito come aveva concertato, e subito gli fù risposto. O non sapete voi la ragione? ella è facilissima; ve la dirò io; e cominciò a entrare in un laberinto del bianco, e del nero, e di certe bollicelle, che si trovano nel bianco, e di mille cose sottili, che non le saprei spiegare: basta che in sostanza si venne a rendere la ragione, perche il bianco si riscalda piu del nero. Fatto questo, ed avendomi il Giovane riferito il tutto con gran risa, e sue, e mie, io andai subito a fare imbiancare la metà di una faccia di un mattone colla calce, e l’altra metà fu da me tinta di nero coll’inchiostro, e poi espostolo al Sole e lasciatovelo stare tanto, quanto si trattenne meco quel giovane in compagnia di un’altro, pure scolaro del medesimo Filosofo, e dopo mettendo noi le palme delle mani una sopra il nero, e l’altra sopra il bianco toccammo con mano, che la parte nera poco meno che scottava, e l’altra era quasi fresca; della qual cosa quei giovani restarono stupefatti, ed io confesso, che se bene tenevo per fermo, che il nero si sarebbe riscaldato piu che il bianco, in ogni modo non averei mai creduto, che la differenza fusse tanto grande a un pezzo; e son sicuro che se V. S. non ha fatta l’esperienza, quando la farà, le parerà cosa strana. Ora fatto questo dissi al medesimo giovane. Orsù Signor Carlo (che così si chiama, ed è di casa Appiani) bisogna fare la seconda parte del ballo; bisogna che V. S. ritrovi di nuovo il suo Maestro, e li dica, che avendo proposto a me il quesito: Perche la metà del mattone tinta di bianco si riscaldava al lume del Sole piu che la nera, io le aveva risposto, che la faccenda camminava a rovescio, cioe che si riscaldava piu la parte nera, che la bianca, e che subito andai à tingere il mattone, e l’esposi al sole, e dopo una mezz’ora, o poco piu, o poco meno le aveva propriamente fatto toccar con mano che la parte nera era molto piu calda, che la bianca; e soggiunsi al medesimo giovane, che dimandasse al suo Maestro la ragione ancora di questa conclusione; promettendoli da parte del Filosofo, che gli sarebbe stata assegnata. Il giovane non vedeva l’ora di far la seconda pruova, ma non puotè così presto. Finalmente passati alcuni giorni corse la seconda lancia. Ora qui ci fù che fare assai, a ridurre prima il Filosofo a prestare l’assenso all’esperienza, negandola egli francamente sul principio, poi mettendola in dubbio, e poi cautelandola con quattro cautele. La prima delle quali fu che bisognava far l’esperienza in tutte le sorte di bianco. La seconda, che bisognava farla in tutte le sorte di nero. La terza che era necessario far l’esperienza in tutte le materie: e quello, che importava molto per assicurarsi bene (ed era la quarta cautela) che il tutto si doveva fare alla presenza di uno, che fosse dell’opinione contraria; ed assegnò la ragione in lingua latina, perche si ricercava questa ultima cautela. Imperocche disse, Incredibile est quantum quis sibi ipsi applaudat. Ma il Signor Carlo, che pur troppo chiaro teneva il fatto si portò tanto bene, e valorosamente, che il Filosofo si ridusse a mettere mano alle piu alte, e sottili speculazioni della piu recondita, e profonda Filosofia. Ma prima di passare piu avanti, vengo tirato, come per digressione a considerare alcune cose in questo caso. La prima delle quali è, che pare che l’intelletto, ed il cervello di questo Filosofo si ritrovi molto piu pronto, e facile a prestar l’assenso alle conslusioni false, che alle vere: poi mostra parimente, che piu facilmente si riduce a filosofare intorno al falso, che intorno al vero; Imperocche essendoli stata proposta prima la conclusione, Si riscalda piu al lume del Sole la parte bianca del mattone, che la parte nera, cosa falsissima, subito non solo fu da lui ammessa per vera senza difficoltà, ma pretese di piu saperne assegnar la cagione, e l’assegnò de fatto. In oltre quello, che gli fu proposto la seconda volta, ed è verissimo, fù, che preso il mattone, e col bianco di calce da imbiancar le mura imbiancata la metà di una faccia di esso mattone, e l’altra metà tinta di nero coll’inchiostro da scrivere, e poi esposto il mattone colla faccia tinta al Sole in breve tempo di mezz’ora in circa, la parte nera si riscaldò assai piu che la parte bianca, e quì il Filosofo stette renitente ad ammettere la conclusione vera per vera. Di più ci è il terzo punto, che considero; non potendo egli negare l’esperienza pur troppo chiara, e manifesta trapassò a cautelarla colle quattro cautele, cioe che si debba fare con tutte le sorte di bianco, in tutte le sorte di nero, in tutte le materie, e finalmente alla presenza di uno, che sia dell’opinione contraria; Intorno alle quali cautele, in generale delle prime tre dico, che mi pare che vengano proposte affatto fuori del caso nostro, imperocche non è stato proposto da nessuno che in tutti i bianchi, in tutti i neri, e in tutte le materie il negozio camini nel medesimo modo. Ma la proposta è stata fatta solamente d’un mattone di creta, di quelli che s’adoprano da mattonare le stanze, tinto d’inchiostro in una metà di una sua faccia, e l’altra metà della medesima sua faccia imbiancata col bianco, con che s’imbiancano le muraglie, nel qual caso riscaldandosi piu la parte nera, che la bianca, si dimanda la ragione di tale effetto, e non si cerca, ne si tratta di quello, che intravvenga in tutti i bianchi, in tutti i neri, e in tutte le materie. In oltre, a quelli, che sanno moltiplicare un numero per un altro potrebbero per avventura tali cautele parere impresa troppo laboriosa. Imperocche rocche di nero, e trenta sorte di bianco (che forse se ne ritroveranno molto piu) il numero dell’esperienze arriverebbe vicino al migliaio, si che bisognerebbe tignere quasi mille mattoni, e quello, che mi riesce piu spaventoso è, che la diversità delle materie trapasserà le migliaia de’ milioni, ed in conseguenza il numero delle sperienze giugnerebbe a numero incomprensibile; e vado dubitando, che l’esperimentatore tanto cautelato, come ricerca il nostro Filosofo si spaventerebbe, ed io per me, se fussi ridotto a tal termine, lascerei senza invidia così largo campo di filosofare, e far esperienze al Filosofo medesimo. Qui, se io ho da dire il vero di un mio pensiero, mi vado immaginando, che ritrovandosi questo galant’uomo avviluppato, e confuso, ne potendo sfuggire, ne scusarsi, abbia poi preso partito di confondere, ed avviluppare ancora il compagno in un mar di cose, acciò che così venisse a restare offuscato quel concetto, che egli meritava, che si facesse della sua filosofia. Quanto poi a quell’ultima cautela di far l’esperienza alla presenza di uno, che fosse dell’opinione contraria, dico che veramente sarebbe facile il farla, e quando non si ritrovassero altri si potrebbe fare alla presenza di questo gran Filosofo, e se bene egli potrebbe giustamente opporre quella medesima eccezzione, che egli oppone a noi, cioè che, sibi applaudendo, fusse per tener salda la sua opinione, che il bianco si riscalda piu del nero, in ogni modo mi rimetterei sempre alla sua sentenza, stimandolo per huomo ingenuo e di buona coscienza; ed essendo l’esperienza tanto manifesta, che non si può negare in modo nessuno: mi sarebbe però piaciuto piu, che la cautela fosse stata proposta del pari per una parte, e per l’altra, cioè che si facesse alla presenza di una persona indifferente, non intendendo bene la ragione, per la quale egli pretenda di essere più degno di fede dell’avversario. Ora per ritornare al filo dell’istoria nostra, che forse con troppo lunga digressione hò quasi smarrito. Il Filosofo, come hò detto, si ridusse finalmente a mettere mano a’ ferri, cioè alle più alte, e sottili speculazioni della più recondita, e profonda filosofia, ed assegnò la ragione di questa alta conclusione, cioè, perche si riscaldava più la parte nera, che la bianca. Io confesso la mia insufficienza nell’intenderla bene, e spiegarla: ma in sostanza mi pare, che la ragione fosse assegnata molto buona, e concludente, cioè esser più calda la parte nera, che la bianca, perche nella parte nera si ritrovava più caldo, che nella bianca. Cosa che veramente mi quietò assai assai, restando maravigliato di così sottil modo di filosofare. Questo è quanto mi è occorso fin’ora con il suddetto Filosofo. Ma dopo abborrendo io di entrare in quel gran pelago di quelle innumerabili, ed a me assolutamente impossibili esperienze mi sono contentato di abbracciare quattr’altre solamente, oltre alla sopramentovata, dalle quali forse se ne potrà cavare qualche probabilità di certo mio pensiero intorno a questa materia. Due di queste esperienze sono da me già state fatte, e farò l’altre colla prima occasione, che io abbia un poco d’ozio, e di quiete. La prima di queste quattro è che io ho esposto il medismo mattone tinto come sopra al fuoco, e dopo avervelo lasciato stare per un poco di tempo colla faccia tinta verso il fuoco, lo levai, mettendo una palma della mano sopra il bianco, e l’altra sopra il nero con qualche difficoltà, ritrovai ch’era un poco poco più calda la parte nera, che la bianca: ed avendo imparato a cautelarmi per non ingannare me stesso, mihi applaudendo, chiamai uno di casa disinteressato, e di più fattolo chiudere gli occhi, e stendere le palme delle mani, gli applicai il mattone, si che una palma toccava il bianco, e l’altra il nero, ed interrogandolo da qual parte sentiva più caldo, ci fù bisogno di grande applicazione d’animo per fare il giudizio, mà finalmente giudicò, che era più calda la parte nera, che la bianca. La seconda eperienza fatta da me forse troppo alla grossa, e senza molte cautele fu, che io esposi al Sole il rovescio della faccia tinta del mattone, e dopo un par d’ore in circa avendo il caldo penetrata la grossezza del mattone, ritrovai assolutamente essersi riscaldato tanto il nero, quanto il bianco, se però, mihi applaudendo non mi fossi ingannato, e nell’una, e nell’altra esprienza; perche la verità è, che avanti, che io facessi le suddette due esperienze, di già m’erà imaginato che la cosa dovesse riuscire, come in fatti mi pare, che riuscisse. Due altre esprienze mi restano da fare, e poi prometto a V. S. di mandarle certo mio pensiero intorno a questa materia, sottomettendolo alle sue correzzioni, da me stimate più che gli applausi de gli altri. Bacio le mani al Signor Peri, ed a V. S. Molt’Illustre fo reverenza.

Di Roma il 27. di Giugno 1637.


Di V. S. Molt'Illustre, & Eccellentissima






Devotiss. & Obligatiss. Serv. e Discepolo
D. Benedetto Castelli Abbate di Praglia.

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