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◄ | Prima lettera a Galilei |
E se noi ricercheremo quello che seguisse, quando essendo prima stato riscaldato un pavimento (o sia stato riscaldato dal lume del Sole, o del fuoco) gli applicassimo il mattone in modo, che la faccia tinta combaciasse col pavimento, direi che dalle sopradette cose si deduce che il riscaldamento si farebbe eguale nella parte nera, e nella bianca. Non debbo lasciar di notare (e sarà in luogo del quinto problema) che non solamente il nero, & il bianco mostrano questa diversità nel riscaldarsi al lume, del Sole, ma segue il medesimo, se bene non con tanta differenza, in tutti gli altri colori, e tutto pure dipende dalla medesima ragione, dovendosi riscaldare meno quella parte, che sarà colorata di colore, che rifletterà maggior copia di lume, e più quella, che rifletterà minore vividezza di splendore. Facilissimamente dalle cose dette si rende la ragione di quello effetto, che si osserva negli specchi ustorij, il quale è, che molto difficilmente si accende il fuoco nella carta bianca, dove all’incontro la carta, che sia tinta di qualche colore s’infiamma facilmente, e più facilmente se sarà tinta di nero, il che segue, perche non è possibile infiammarsi, se prima non si riscalda, ma prima si riscalda il nero, e poi il bianco, quindi più facilmente s’infiamma il nero, che il bianco. Di più colle medesime ragioni non sarà difficile rendere la ragione d’altri quesiti, che occorrono in questa materia del caldo, come sarebbe; per che cagione sotto lo stesso clima si ritrova tal volta un paese, che sarà più caldo ordinariamente, che un altro, potendosi dire che ciò può nascere non solo dalle diversità delle materie vedendo noi, che diverse materie si riscaldano molto diversamente; ma ancora possiamo con le ragioni di sopra spiegate dire, che ciò depende dalla varietà delle tinte delle medesime materie, già che si vede, che di mano in mano, che i colori sono più oscuri riflettono meno il lume, e però maggior copia in loro ne resta, e però si eccita maggior calore in loro. Questa ancora si potrà stimare potente cagione, o almeno condizione di rendere abitabile, e temperata in molte sue parti la Zona torrida stimata dagli antichi nostri inabitabile, la quale si ritrova in fatti da moderni assai comodamente abitata. Primieramente non deve essere maraviglioso, che la medesima sorte d’erbe, e piante, e frutti nascano di diversi sapori, e virtù traportati, e nudriti in diverse parti della superficie terrena, la qual cosa si osserva molto evidentemente delle viti, de’ vini, e de’ frutti. Moltissime altre soluzioni di altri dubbi dipendono dalla medesima ragione, come sarebbe d’onde nasce la negrezza del carbone, e della fuliggine; del farsi prima nere tutte le cose combustibili, avanti che il fuoco in quelle si accenda, & altre molte, le quali si possono dedurre dalla medesima considerazione, la quale intendo d’aver proposta dubitativamente, e non affirmativamente, e risolutamente, prontissimo di mutarmi d’opinione a piu efficaci ragioni. Ora, per fine, e sigillo di tutta questa mia qualsisia considerazione, voglio raccontare un pensiero, che io feci a’ giorni passati mentre mi ritrovava involto in qualche travaglio per le cose mie, & interessi particolari, & anche publici della mia Religione, il qual pesiero mi fu di grandissimo sollevamento, e conforto. Per sollevarmi dunque da quelle noiose fatiche, esposi un giorno, come era solito di fare spesso, il mattone tinto al Sole, per prendermi ancora gusto di quella esperienza, & applicare in tanto la mente mia a quello strano effetto della Natura. E cosi di una cosa trapassando in un altra, considerai che avendo esposto al Sole quel mattone, a fine ch’ei me lo riscaldasse conforme al solito, subito la virtù solare senza dimora si era applicata a farmi il favore con tutta la sua forza mandando a ciaschedun punto del mattone i suoi raggi luminosi, e notai ch’il tutto operava, come se non avesse da fare nessuna altra cosa nel mondo, e credeva, & intendeva molto bene, che gli altri innumerabili immensi, e maravigliosi negozi del Sole, e della sua virtu non erano di nessuno impedimento all’illuminazione, e riscaldamento del mattone, a segno tale, che ne per essere occupato il Sole in riscaldare, & illuminare tanti altri corpi nell’universo, ne per vestire le campagne di erbe, e di piante, ne per coprire i monti di folti boschi, e selve, ne per far nascere tante sorte di animali ed in mare, ed in terra, ed in aria, non per questo veniva punto impedita quella veramente segnalata operazione, che il Sole faceva in grazia mia intorno a quel mattone; & andai tanto avanti in questa fantasia, che quasi precipitai non avvedendomi in volere scusare l’impietà di quegli antichi, che avevano adorata la grandezza della potenza, & il maestro modo di operare del Sole. Ma subito fermatomi saldamente, & accortomi del mio errore, e detestando cotale impietà, venni in ferma credenza, e deliberazione, che molto maggiore, e molto più stolta, & esecranda sceleraggine era stata quella di coloro, che si erano ridotti a tanta bassezza, viltà, ed ignoranza, che avevano adorato per Iddio un’altr’uomo semplice tanto debole, e tanto vile, che occupandosi ancora intorno a minime cose (quasi l’ho detto) veniva impedito dal farne non solo delle maggiori, ma ancora delle minori, e così conclusi che infinito, & immenso era l’obligo nostro d’adorare solamente l’Onnipotenza, la Sapienza, la Prudenza, la Giustizia, la Misericordia, e la Providenza di Dio, la quale egualmente si applica alle cose grandissime, ed alle picciolissime, ne mai intravviene, che una delle sue operazioni per minima, che ella sia, venga impedita dalle altre applicandosi a ciascheduna con tutta la sua efficienza, per condurla a quel grado di perfettione che è già ab eterno nel suo altissimo decreto, e questo opera in ciascheduna cosa, come se non avesse da fare altro; e mi venne in mente l’accuratissima providenza di Dio, applicata egualmente alle cose minime, ed alle massime, a segno tale, che si applica per sino a numerare i capelli del nostro capo. Omnes capilli capitis vestri numerati sunt, dice Iddio stesso. La quale numerazione, benchè sia intorno a una cosa minima, siamo forzati a confessare, che sia fatta tanto perfettamente, & tanto esattamente, come se Iddio non avesse da fare altro, e con la medesima esquisitezza, come fa quell’altra numerazione stupenda, e maravigliosa, quando numerat multitudinem stellarum, & omnibus eis nomina vocat; e così internandomi in questa contemplazione mi parve estrema pazzia la nostra, quando pensiamo, e ci affatichiamo affannosamente di condurre le nostre cose a migliori fini, e termini di quello che la Maestà Divina conduce con la sua somma sapienza, e providenza. Viviamo dunque felici, e consolati, e rendiamo di continuo sacrifizi di lode alla sua infinita misericordia, omnem sollicitudinem nostram proijcientes in eum, quia ipsi est cura de nobis, e fo riverenza a V.S. e bacio le mani al Padre Francesco di S. Gioseppe delle Scuole pie, e a tutti cotesti Signori cari.
Roma lí 15. d’Agosto 1638.
Devotiss. & Obligatiss. Serv. e Discepolo
D. Benedetto Castelli Abbate di Praglia.
- ↑ Il testo originale riporta "le palme delle palmi". Abbiamo modificato in "palme delle mani" anche sulla base del testo riportato nel Carteggio di Galileo (1637-1638), volume XVII delle Opere, Edizione Nazionale, alla lettera 3541. Confronta anche la lettera 3509 che riproduce, con lievi differenze, il testo precedente.[Nota di LiberLiber]