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Chi cerca, non trova. Durante l’agosto ho cercato di Arturo Graf a Torino e a Genova e a Pegli invano; gli amici comuni mi mandavano da un luogo all’altro, dandomi la sicurezza di incontrarlo; e invece nulla.
Così, perchè in questo libro non mancasse il nome dello storico e del poeta genialissimo, io ho osato domandargli per lettera l’opinione sua su l’argomento che anche agli altri letterati avevo proposto, e questo in sua grande cortesia Arturo Graf mi ha risposto:
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Egregio signore,
Se avessi potuto avere il piacere di conversare con lei, forse avrei stancata la sua pazienza discorrendo sull’argomento pel quale lei mi scrive, forse più di quanto a lei potesse parer bisognevole. Discorrendo si dicono facilmente assai cose che solo con fatica e svogliatamente si scriverebbero, perchè una parola tira l’altra, e un’obbiezione può suscitare tutto un ordine di idee che di per sè non si sarebbero deste.
Rispondo dunque brevemente alla sua domanda. Nella presente letteratura nostra ciò che più mi si lascia scorgere non è la decadenza, ma la povertà. Intendo discorrere di quella letteratura che non usurpa il nome e che resta, perchè di quell’altra abbiamo sin troppa abbondanza. Non mi pare che la lirica, il dramma, il romanzo, possan dirsi decaduti rispetto alla lirica, al dramma, al romanzo del tempo che immediatamente precede. Non direi così se guardassi al tempo non tanto prossimo.
Quello che anche mi par di scorgere nella presente letteratura nostra è una grande incertezza, una grande perplessità come di gente che non sappia più che pesci pigliare. Quindi le sottigliezze, le sofisticherie, le stranezze, le esagerazioni, il bizantinismo. Letteratura di sonnambuli, sembra alle volte.
Le cause? Generalissime, ed in gran parte le stesse qui e fuori. Non abbiamo più la vecchia e non abbiamo ancóra la nuova; e, sentendo vivo il bisogno d’averne una, procediamo a tentoni con la speranza di porvi su la mano un dì o l’altro. E il non aver salda e ben definita coscienza vuol dire anormalità di tutta la vita. Noi più di altri soffriamo del mal comune, perchè più dissanguati e svigoriti di altri.
I pronostici? Credo alla restaurazione dell’arte nostra mediante la restaurazione della nostra coscienza. Quando? In mezzo allo sfacelo presente e alle presenti vergogne è già molto scorgere i germogli della nuova pianta. L’ora della fioritura nessuno può dire quand’abbia a giungere: essa è lontana ancora.
Avrei da dire altre due dozzine di cose, ma preferisco di lasciargliele immaginare.
E con tutta stima la riverisco.
Torino 11 gennaio 1895
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