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Choro
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CHORO.
Non già perche di latte
Sen’corse il fiume, e stillò mele il bosco,
Non perche i frutti loro
Dier da l’aratro intatte
Le terre, e gli angui errar senz’ira, ò tosco,
Non perche nuvol fosco
Non spiegò allhor suo velo,
Ma, in Primavera eterna,
Ch’hora s’accende, e verna,
Rise di luce, e di sereno il Cielo,
Nè portò peregrino
O guerra, ò merce, à gli altrui lidi il pino.
Ma sol, perche quel vano
Nome senza soggetto,
Quell’Idolo d’errori, idol d’inganno,
Quel, che dal volgo insano
Honor poscia fu detto,
Che di nostra natura ’l feo tiranno,
Non mischiava il suo affanno
Frà le liete dolcezze
De l’amoroso gregge,
Nè fù sua dura legge
Nota à quell’alme in libertate avvezze,
Ma legge aurea, e felice,
Che natura scolpì, S’ei piace, ei lice.
Allhor trà fiori, e linfe,
Trahean dolci carole
Gl’Amoretti senz’archi, e senza faci,
Sedean Pastori, e Ninfe,
Meschiando à le parole
Vezzi, susurri, ed à i susurri i baci
Strettamente tenaci;
La Verginella ignude
Scopria sue fresche rose,
Ch’hor tien nel velo ascose,
E le poma del seno acerbe, e crude;
E spesso in fonte, ò in lago
Scherzar si vide con l’amata il vago.
Tu prima, Honor, velasti,
La fonte de i diletti,
Negando l’onde à l’amorosa sete.
Tu à begli occhi insegnasti
Di starne in se ristretti,
E tener lor bellezze altrui secrete.
Tu raccogliesti in rete
Le chiome à l’aura sparte.
Tu i dolci atti lascivi
Festi ritrosi, e schivi.
A i detti il fren ponesti, à i passi l’arte.
Opra è tua sola, ò Honore,
Che furto sia quel, che fù don d’Amore.
E son tuoi fatti egregi
Le pene, e i pianti nostri.
Ma tu, d’Amore, e di Natura donno,
Tu domator de’ Regi,
Che fai trà questi chiostri,
Che la grandezza tua capir non ponno;
Vattene, e turba il sonno
Agl’illustri, e potenti:
Noi qui negletta, e bassa
Turba senza te lassa
Viver ne l’uso de l’antiche genti.
Amiam, ché non hà tregua
Con gli anni humana vita, e si dilegua:
Amiam, che ’l Sol si muore, e poi rinasce.
A noi sua breve luce
S’asconde, e ’l sonno eterna notte adduce.