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SCENA V
Elsinoro. — Una stanza della reggia
Entrano la Regina e Orazio.
- REGINA.
- Non voglio parlare con lei.
- ORAZIO.
- Ella ve ne prega, la sua mente è turbata, il suo stato fa pietà.
- REGINA.
- Ma che vuole?
- ORAZIO.
- Parla molto di suo padre, dice che fu avvertita che ci sono delle frodi nel mondo, sospira e si batte il petto, infuria per nulla; proferisce parole senza senso. Quello ch’ella dice è niente, e nullameno si vorrebbe pure da chi l’ascolta trarre un senso dalle sue sconnesse parole. A vedere gli atti con cui ella le accompagna, sembra che un pensiero le informi e un pensiero forse vi è, ma assai sinistro.
- REGINA.
- Sarebbe bene il parlarle, perocchè ella potrebbe far nascere congetture pericolose nella mente dei maligni. Fatela entrare. (Orario esce.) Alla mia anima inferma, (e tale fu sempre la condizione della colpa) ogni cosa da nulla sembra dover precedere qualche grande sventura; tale è la diffidenza improvvida del delitto, che ei si tradisce da sè per tema di essere tradito
Rientra Orazio con Ofelia.
- OFELIA.
- Dov’è la bella regina di Danimarca?
- REGINA.
- Ebbene, Ofelia?
- OFELIA.
- (canta). «Come posso io distinguere il vostro vero amore da un altro? Dal suo cappello ornato di conchiglie, da’ suoi sandali, dal suo bordone.»
- REGINA.
- Oimè, dolce fanciulla, che significa questa canzone?
- OFELIA.
- Lo chiedete? Ah, ve ne prego, badate. «Egli e morto e scomparso, signora: egli è morto e scomparso: al suo capo sta una verde zolla, ai suoi piedi una pietra.»
- REGINA.
- Oh, cara Ofelia!!...
- OFELIA.
- «Badate, ve ne prego: «Il suo lenzuolo è bianco come la neve della montagna....»
Entra il Re.
- REGINA.
- Ohimè, mirate, signore.
- OFELIA.
- «Coperto di dolci fiori, che non furono sparsi sulla sua tomba, bagnati dalle lagrime di un vero amore.»
- RE.
- Come vi sentite, vaga fanciulla?
- OFELIA.
- Bene, Iddio vi ajuti! Dicono che la civetta era figlia di un fornajo. Signore, noi sappiamo quello che siamo, ma non sappiamo quello che possiamo essere: Dio sia alla vostra mensa!
- RE. Ella pensa a suo padre.1
- OFELIA.
- Ve ne prego, non parliamo di ciò; ma quando vi dimandano che cosa significa, rispondete cosi:
«Dimani è il giorno di San Valentino, e fino dal primo lume dell’alba io mi posi alla finestra per divenire la sua fidanzata. Allora egli sorse e indossò i panni e apri la porta della sua stanza e fece entrare la vergine, che tale non si dipartì più dl là.»
- RE.
- Cara Ofelia!
- OFELIA.
- In verità, senza giuramenti, darò termine a ciò.
«Pel Cielo2 e per la Santa Carità, oimé egli è un vituperio! Tutti i giovani fanno cosi quando si trovano in tali condizioni. Per l’amore,3 e' sono da biasimare. Prima che mi seduceste, ella disse, avevate promesso di sposarmi: e lo avrei fatto, lo giuro al sole, se tu non fossi venuta di per te nel mio letto.»
- RE.
- Da quanto tempo è in questo stato?
- OFELIA.
- Spero che tutto andrà bene. Dobbiamo aver pazienza; ma non so astenermi dal piangere, pensando che lo hanno deposto nella fredda terra. Mio fratello lo saprà, e così vi ringrazio del buon consiglio. Innanzi la mia carrozza! Buona notte, signore, buona notte, belle dame; buona notte, buona notte. (Esce.)
- RE.
- Seguitela da presso, tenetela ben d’occhio, ve ne scongiuro. (Esce Orazio.) Oh questo è il tossico di un profondo dolore cagionato dalla morte di suo padre. Oh Gertrude, Gertrude. quando i dolori ci vengono, non vengono sbandati, ma a legioni. Prima suo padre ucciso, poi vostro figlio partito: e fu egli stesso l’autore del suo giusto esiglio: il popolo quindi torbido, ammutinato e contumace che prende argomento a mormorare della morte del buon Polonio. Improvvido fu in noi il farlo seppellire segretamente.4 La povera Ofelia smarrisce la ragione, senza della quale noi non siamo che statue o bruti; da ultimo, e non è la più lieve cagione di timore, suo fratello è tornato occultamente dalla Francia e si pasce di novelle e si tiene ravvolto nelle nubi, nè i malcontenti mancano che bisbiglino al suo orecchio racconti bugiardi sulla morte di suo padre, accagionandone noi. Oh mia cara Gertrude, tutto ciò mi abbatte più che non sia necessario per dare la morte. (Rumore al di dentro.)
- REGINA.
- Oimè! Che strepito è questo!
Entra un Gentiluomo.
- RE.
- Dove sono i miei Svizzeri? Fate che custodiscano la porta. Che fu?
- GENTILUOMO.
- Salvatevi, signore. L’oceano rompendo le sue dighe, non inonda la pianura con forza più impetuosa di quella con cui il giovine Laerte, alla testa della ribellione, abbatte e rovescia i vostri uffiziali. La moltitudine lo saluta re, e come se il mondo nascesse oggi, gli usi più sacri sono dimenticati, le costumanze antiche, salvaguardia e presidio dei regni, vengono poste in non cale. E gridano: «Eleggiamo; Laerte sia re!» e i berretti volano per l’aria, le voci e le mani applaudono, e dappertutto risuona: «Laerte sia re, Laerte re!»
- REGINA.
- Con qual gioia essi si avventano sopra un’orma bugiarda! Oh perfidi Danesi, è falsa la via che seguite.5
- RE.
- Abbattono le porte. (Rumore di dentro.)
Entra Laerte armato con seguito di Danesi.
- LAERTE.
- Dov’è il re? — Amici, state tutti al di fuori.
- DANESI.
- No, lasciateci entrare.
- LAERTE.
- Ve ne prego, concedetemi ciò.
- DANESI.
- Ebbene sia. (Si ritirano fuori della porta.)
- LAERTE.
- Vi ringrazio.... custodite l’entrata. — Oh tu, re vile, rendimi mio padre.
- REGINA.
- Calma, buon Laerte.
- LAERTE.
- Se avessi una sola goccia di sangue che fosse in calma, essa rivelerebbe in me un figlio bastardo, svergognerebbe il talamo di mio padre, e stamperebbe l’infamia sulla fronte onorata della mia genitrice.
- RE.
- Da che procede, Laerte, tanta rivolta? Lascialo, Gertrude; non temere per la nostra persona; vi è tale divinità a custodia dei re, che il tradimento non può che accennare a quel che vorrebbe, e scornato rimane nella esecuzione.... Dimmi, Laerte, perché così infellonito?... Lascialo, Gertrude..... E tu, parla.
- LAERTE.
- Dov’è mio padre?
- RE.
- È morto.
- REGINA.
- Ma non da lui.
- RE.
- Lascia ch’ei tutto dimandi.
- LAERTE.
- Come morì egli? Non soffrirò d’essere ingannato. All’inferno la sudditanza! Al più nero dei demoni la fede giurata! Al più profondo abisso la coscienza e la grazia! Sfido la dannazione, rinunzio a questo e all’altro mondo: avvenga quel che vorrà, in questo punto solo sto saldo che vuo’ fare una vendetta orrenda della morte di mio padre.
- RE.
- Chi vi ratterrà?
- LAERTE.
- La mia volontà, non l’universo; e quanto ai miei mezzi li temprerò per guisa che farò molto con poco.
- RE.
- Buon Laerte, se desiderate di conoscere la verità sulla morte del vostro caro padre, dovrà per questo la vostra vendetta abbattere del pari l’amico e il nemico, l’innocente e il colpevole?6
- LAERTE.
- Niuno fuori de’ suoi nemici,
- RE.
- Li volete allora conoscere?
- LAERTE.
- Al suoi amici io dischiudo le braccia, e simile a quell’uccello7 che dà la vita per pascere i figli, li alimenterò con il mio sangue.
- RE.
- Ora parlate da buon figlio e da vero gentiluomo. Se io sia innocente della morte di vostro padre, e se ne provi alto dolore, è cosa che apparirà così chiara al vostro giudizio come la luce apparisce chiara ai vostri occhi.
- DANESI.
- (di dentro) Lasciatela entrare.
- LAERTE.
- Che è ciò? Che romore è questo? (Entra Ofelia coi capelli adorni di fiori e di foglie bizzarramente intrecciati.) Oh febbre, dissecca il mio cervello! lagrime corroditrici, attutite il senso e spegnete la virtù de’ miei occhi! Pel cielo, la perdita della tua ragione sarà scontata in modo da far piegare dal nostro lato la bilancia. Oh rosa di maggio! cara fanciulla, buona sorella, dolce Ofelia!... Ah cielo, è egli possibile che la ragione di una giovinetta sia così caduca come la vita di un vecchiardo? La natura è purificata dall’amore, e quando ciò accade, essa tramanda qualche emanazione divina dietro alla cosa amata.
- OFELIA.
- «Essi lo portarono sulla bara col volto scoperto; sulla sua tomba furono versati flutti di lagrime.»8 Addio, mia colomba!
- LAERTE.
- Se tu possedessi ancora la tua ragione, e mi incitassi alla vendetta, non potresti commuovermi tanto.
- OFELIA.
- Dovete cantare: Giù, giù.. Egli é ito.... Non è più.... Oh come questo ritornello si addice alla filatrice, lorchè fa girar la sua ruota. È del falso maggiordomo che rubò la figlia del suo signore.
- LAERTE.
- Queste strane parole straziano più di un discorso sensato.
- OFELIA.
- Ecco il rosmarino che fortifica le rimembranze; amore, te ne prego, ricordami; ed ecco il fiore del pensiero.
- LAERTE.
- Vi è senso anche nel suo delirio; pensieri e rimembranze conformi.
- OFELIA.
- Eccovi erbe per voi,9 e ecco per voi ruta, e ne tengo un poco anche per me.... la potremmo chiamare l’erba di grazia della domenica;10 oh la dovete portare con devozione.... Ecco una margherita... vorrei darvi anche qualche viola, ma avvizzirono tutte quando mio padre mori. Dicono facesse un buon fine.... «Perocchè il caro Robin e tutta la mia gioja....»
- LAERTE.
- Foschi pensieri e ambasce, la collera, l’inferno stesso mutano natura e divengono dolci in lei.
- OFELIA.
- «E non tornerà egli? E non tornerà? No, no, è morto, va al tuo cataletto, egli più non tornerà.. La sua barba era bianca come la neve, la sua capigliatura era color del lino; egli è partito, è partito, e invano gemiamo; pietà della sua anima!» E di tutte le anime cristiane! Ne supplico Iddio! Iddio sia con voi! (Esce.)
- LAERTE.
- Oh Dio, e puoi tu veder ciò?
- RE.
- Laerte, parteciperò al vostro dolore se non volete rifiutarmi un diritto che mi appartiene. Andate a riunire i vostri più savi amici, e che essi giudichino fra voi e me. Se essi trovano che o direttamente o in modo qualunque noi siamo colpevoli, vi daremo per soddisfazione il regno, la corona, la vita, e tutto quello che possiamo dir nostro; ma nel caso contrario, concedeteci la vostra pazienza, e opereremo di conserva per risarcire il vostro dolore.
- LAERTE.
- Sia così; la qualità della sua morte, i suoi funerali oscuri, in cui nè trofeo, nè spada, nè stemma gentilizio rifulsero, la scarsa cerimonia con la quale venne sepolto, tutto ciò è come un avvertimento del Cielo che mi ammonisce di indagare quello che avvenne.
- RE.
- Lo farete; e la scure della legge cada sulla testa del colpevole. Seguitemi, ve ne prego. (Escono.)
- ↑ Polonio era gastronomo per eccellenza; la mensa nominata da Ofelia risveglia nel re l’idea di suo padre.
- ↑ By Gis, sincope forse di Gesù.
- ↑ By cock: pei galio.
- ↑ We have done but greenly. In hugger-mugger to inter him e incertissima è l’etimologia dell'hugger-mugger.
- ↑ Danish dog cani di Danesi.
- ↑ Winner and loser: cioè, chi aveva da guadagnare per quella morte, e chi aveva da perderci.
- ↑ Al buon pellicano.
- ↑ Hey non nonny, nonny, hey nonny ritornello che nessun commentatore ha spiegato.
- ↑ Finocchio e colombino.
- ↑ La ruta era il simbolo del dolore. Per tal motivo veniva chiamata erba di grazia, avvegnache «Dio castighi coloro che ama.»