< Amori (Savioli)
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Amore e Psiche
XXIV - La Disperazione


E tu, cura soave
Di tacite donzelle,
Cui mentre Ebe sorride, il giovin seno
Penetri ardito, i nostri carmi avrai;
5Nè la candida tua Psiche, e le belle
Forme, e la notte, e gli amorosi guai
Inonorati andranno.
Or ella è teco, e dell’antico affanno,
Che ricompensa un più propizio Fato,
10Dolce memoria suona
Per l’Olimpo beato.
     Vergine avventurata in mortal velo
Di bellezze immortali adorna apparve;
Stupì vedendo, e l’adorò la terra.
15Venere al terzo Cielo

Tornò da’ freddi suoi vedovi altari
Te consigliando alla giurata guerra.
Ma la vendetta invano
Volgean gli occhi di Psiche.
20Ardesti, e a te l’antiche
Arme cadean di mano.
     Vìttima incerta entro a funereo letto
Tradotta al monte, abbandonata, e pianta,
Giù per valli profonde in ricco tetto
25Peso a un Zefiro amico ella scendea.
Là di sè in forse i vuoti dì vivea
Fra tema e speme a sconosciuto amante:
E tu le usate prove,
Terribil Nume, esercitar solevi
30Sovra Nettuno e Giove;
Poi col favor dell’ombre
Ti raccogliea nella segreta reggia
Talamo aurato d’immortal lavoro.
Ivi alle tue fatiche
35Offría dolce ristoro
Il molle sen di Psiche.

     Irrequíeta Diva,
Che nelle gioje altrui t’angi, e rattristi,
Tu dall’inferna riva
40L’aure a infestar del lieto albergo uscisti:
La giovinetta intanto
Gli avidi orecchi a tue menzogne apriva;
Nè vide più nell’amator celato,
Che spoglie anguine ed omicida artiglio,
45Finchè il terror poteo nel cor turbato
Strano eccitar d’atrocità consiglio.
E già un placido sonno
Gli occhi d’Amor chiudea,
Quando alle quete coltri
50Perversa il piè volgea.
Apparía nella manca
La lucerna vietata;
Era l’infida e mal secura destra
D’ingiusto ferro armata.
     55Primi s’offriro ai desíosi sguardi
Sovra l’estrema sponda,
Amor, gli aurei tuoi dardi:

Psiche li tocca appena, e n’è ferita.
Scorge la chioma bionda,
60Il volto, e l’ali, Amor conosce, ed ama;
E cade il ferro, e la lucerna incauta
Coll’ardente liquor l’omero impiaga.
Fuggiva il sonno; a lei vergogna, e duolo
L’alma pungean. Tu rapido movevi
65Per l’aure lievi a volo.
     Te ritenne Citera. Ivi t’accolse
La rosata di Psiche emula antica,
E medicava la pietosa mano
L’offese della tua dolce nimica,
70Mentre la sconsolata
Te richiamava lagrimando invano.
Parlò a lungo il dolore,
Poscia il furor non tacque,
E invocò morte, e si lanciò nel fiume:
75Cara un tempo ad Amore
La rispettaron l’acque.
     Lei che raminga in traccia
Del perduto Signor scorrea la terra,

Incoraggì soave
80La Dea, che al crin le bionde spiche allaccia;
A lei stendea le braccia
Racconsolando, e la compianse Giuno.
Sola Venere altera
Non calmò l’ire gravi, e su l’afflitta
85Compier giurò la sua vendetta intera.
Chi dir potría l’oscura
Carcere, e i duri uffici?
Chi l’auree lane, e la difficil onda?
Amor, dov’ eri? a te che tutto sai
90Come furono ignoti
Della tua Psiche i guai?
     Ella, come imponea la sua tiranna,
Osò d’entrar per la Tenaria porta,
E por vivendo il piede
95Ne’ tristi regni della gente morta.
Allo splendor dell’auro
Lei l’avaro nocchier pronto raccolse,
E varcò la palude.
Latra Cerbero invano,

100Le gole il cibo, e gli occhi il sonno chiude.
Ella passa, e il soggiorno
Tenta di Pluto, e il fatal dono chiede:
Ricusa i cibi, e al giorno
Da Proserpina riede.
     105Deh qual ti mosse femminil disegno,
Psiche, ad aprir la chiusa urna fatale?
Là dell’ira immortale
Era il più orribil pegno,
Ed ecco un vapor nero
110Uscía la cara a te luce togliendo,
E rendea l’alma al mal lasciato impero.
Ma vide Amor dall’alto,
Vide, e pietate il prese:
Sentì l’antica fiamma,
115Ed obbliò le offese,
E a più beata sorte
La conservò da morte.
     E volgea ratto al sommo Olimpo l’ali,
E innanzi al Re, che i maggior Dii governa,
120Narrò di Psiche e di sè stesso i mali,

E chiedea modo a tanta ira materna.
Impietosiva il gran Tonante; e Imene,
Siccome piacque a Citerea placata,
Obblío versò su le fraterne pene;
125E l’ambrosia celeste Ebe ministra
Dolce a Psiche porgea.
Ella bevve, e fu Dea.

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