< Andria < Atto primo
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Publio Terenzio Afro - Andria (II secolo a.C.)
Traduzione dal latino di Luisa Bergalli (1735)
Atto primo - Scena V
Atto primo - Scena IV Atto secondo


 
PANFILO, E MISIDA.

Panfilo
E’ egli questo un fare, e un risolvere

Da uomo? è questa un’azion da Padre?

Misida
Cos’è?


Panfilo
Poter di Dio, poter del Mondo!

Sennon è questa una soperchieria,
Che altro potrà esserlo? egli ha fermo
Di darmi moglie: non era dovere,
Ch’ io lo fapessi avanti? e non dovere,
Ch’ ei me l’avesse detto prima d’ora?

Mis.
O rovinata a me; deh che parole

Son queste?

Panfilo
Ora, che fa quel gran maestro

Di Cremete, il qual’era sul negarmi
La sua figlia per moglie? E’ si sarà
Mutato, poichè vede, ch’ io non sono
Per mutarmi. Così ostinatamente
Egli si adopra, desolato me?
Per istaccarmi a viva forza dalla
Mia Gliceria? lo che se mai succede
Sono spedito affatto. Deh, potrebbesi
Trovar alcuno, più infelice, e misero
Di me? Oh Dio, ch’io non possa sfuggire
Per nessun modo il parentado di
Cremete? In quante guise sono stato
Schernito, vilipeso? Ecco accordata,
Stabilita ogni cosa. Guata s’io
Sto fresco. Io era il rifiutato, ed ora
Sono il bramato: che viene a dir ciò?
Sennon, che, come ho sospetto, vi sia
Malizia sotto, e vogliano affibbiare
Colei a me, poichè non troveranno
A chi attaccarla.

Misida
Trista alla mia vita

Questo ragionamento mi fa propio
Spiritar di paura.

Panfilo
Che dovrò

Dir di mio Padre? far un interesse
Di tal fatta con tanta milensaggine?
Così passando alla sfuggita per la
Piazza, mi disse: Panfilo, tu dei
Oggi tor moglie; apparecchiati; va
In Casa; Ch’ei mi parve, che dicesse:
Spacciati, vatti ad impiccare, ed io
Rimasi li, come un palo, e va a dire,
Ch’abbia potuto far una parola:
Inventar qualche scusa goffa almanco,
Sennon bugiarda, e maliziosa: io stetti
Là muto, che se alcun dicesse, oh, che
Avresti fatto, se ne fossi stato
Prima avvertito. Averei fatto tanto,
Ch’ ora non farei questo. Che riparo
Ci vuole imprima? Tante passioni
Mi turbano, e mi fanno andar la mente
In mille cose. L’amore da un lato
E la compassion di questa, e lo
Affrettamento delle nozze. Poi
Dall’ altro il vergognarmi di mio Padre,
Il qual sì dolcemente fino a quì
Mi lasciò viver di mia volontà.
Averò dunque animo di oppormi
A ciò ch’ei voglia? Ahi, ch’io non so, che deggia
Farmi.

Misida
Meschina a me, che non so dove

Finirà questo dubbio. Ma bisogna,
O ch’ ei si abbocchi con lei, o sì ch’io
Parli con lui qualche cosa di lei
Perocchè quando l’animo è in bilancia
Per ogni pocolino dà giù da
Una, o dall’altra parte.

Panfilo
Chi favella

Di qua? Buongiorno, Misida.

Misida
Oh, buongiorno

Panfilo.

Panfilo
Che fa ella?


Misida
Domandate?

Ella ha le doglie, poverina, ed è
Travagliata di ciò, che s’hanno a fare
Oggi le vostre nozze: inoltre teme,
Non voi l’abbandoniate.

Panfilo
Che di tu?

Come vuoi tu, ch’io potessi tentare
Questo? Come vuoi tu, ch’io sofferissi,
Che la trista recassesi da me
Inganno alcuno; se ella dette a me
Il suo cuore, e la vita sua, ed io
L’ho avuta sopra modo cara, come
Mia moglie? Lascierei, ch’essendo ella
Allevata sì bene, e ammaestrata
Sì onestamente; fosse poi costretta
Dalla necessità a rovinarsi?
Non saprei farlo mai.

Misida
Io ne son certa

Inquanto a voi; ma il punto sarà vincere
La violenza.

Panfilo
Tiemmi tu per tanto

Vigliacco, tiemmi per sì sconoscente,
Salvatico, e crudel, che nè la pratica
Nè la vergogna, nè l’amor mi movano
Nè tengan persuaso a mantenerle
Fede?

Misida
Io so sol, ch’ella meriterebbe

Che non ve la scordaste.

Panfilo
Ch’io non me

La scordassi. Oime, Misida, Misida,
Ancora io le ho scritte in mezzo all’anima
Quelle parole, che mi disse Crisida
Di Gliceria. Ell’era per morire,
Che mi chiamò, ed io le andai vicino:
Voi eravate fuori tutte, ed ella
Incominciò, ch’eravamo noi soli:
Panfilo mio, tu vedi la bellezza,
E l’età di costei: tu sai benissimo
Quanto queste due cose posson esserle
Dannose per salvar la sua onestà,
E la sua roba; onde per questa mano,
Ch’io ti stringo, ti prego, e per la buona
Tua indole, per la tua fede, e per la
Orfanità di lei, io ti scongiuro,
Che tu non rompa seco l’amicizia:
E che non l’abbandoni, e se t’ho amato.
Come un carnal fratello, e s’ella ha fatto
Sempre stima di te, e se ti fu
Ubbidiente in ogni cosa, io le
Ti do in marito, in amico, in tutore
Ed in Padre: e a te lascio la cura
Di questi nostri beni, e raccomandolo
Alla tua fede. Poscia mi ripose
La mano di Gliceria in mano, e subito
Spirò. sò l’ho accettata, e sarò sempre
In suo prò.

Misida
Così spero.


Panfilo
Ma perchè

La lasci tu?

Misida
Io vo, che ho a chiamare

La Levatrice?

Panfilo
Spacciati: ma ascolta

Un poco; guarda non le far parola
Di queste nozze, che non aggiungessi
Anche questo al suo mal.

Misida
Buono, io v’intendo.
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