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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1839-1942
AR ZOR COME-SE-CHIAMA1
Disce che vvoi, c’a cquella pascioccona
State in prescinto d’infilà ll’anello,
Sete bbono in zur gusto d’un aggnello
E bbello com’un angiolo in perzona.
Ma avete una gran zorte bbuggiarona,
Pe’ la raggione che ssi Iddio, fratello,
V’ha ffatto accusì bbono e accusì bbello,
Lei puro è bbella bbella e bbona bbona.
Pe’ sta vostra bbellezza e bbontà ddoppia
Quanno ve vederanno avanti ar prete
Tutta la ggente strillerà: “Cche ccoppia!.„
Io solo ho da rimane co’ la sete
De vedevve chè er diavolo me stroppia
E mme tiè a Rroma a cciancicà ssegrete!
19 maggio 1842
- ↑ Allo sposo di Amalia Bettini, la quale poi nella sua lettera di Bologna 23 giugno 1842 mi scrisse chiamarsi Raffaele Minardi, ed essersi con lui maritata colà il 2 di quel mese.
Note
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