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Questo testo fa parte della raccolta L'Empedocle ed altri versi


ARGONAUTA





Or che sorte al ciel silente
     Le pensose ombre già sono,
     Alla fervida corrente
     4De’ miei sogni io m’abbandono.

Muta al magico battello
     Veglia l’anima, e s’affida
     Di rapir l’aurato vello
     8A la Colchide omicida.

Ove tendi, audace? Oscura
     L’aria a te stringesi intorno;
     Qui sol regna la Natura;
     12Non è questo il tuo soggiorno.


Urli indarno; in qual sia loco
     S’apre un regno al pensier mio;
     Serve a me la terra e il foco,
     16L’aria e l’acqua, il tempo e Dio.

Ecco, pullula d’aspetti
     Mostruosi il mare: io tendo
     L’arco, e sfolgoro d’eletti
     20Dardi il core al vulgo orrendo.

Fra cozzanti isole al polo
     Salta il mare infellonito;
     Ma quiete a un tocco solo
     24Del mio pollice erudito

Stan le intente isole; chiara
     L’onda ammuta e il dorso porge,
     Mentre all’aria, che si schiara,
     28L’inno mio placido sorge.

Che vuoi tu, splendida immago
     Che fra cielo e mar sorridi?
     De’ tuoi baci io non son vago,
     32Chè ben so che baci e uccidi.


Non è questo il lido bieco
     Del dedaleo labirinto?
     Vieni, Amor; se tu sei meco,
     36Griderò fra poco: ho vinto!



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