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Lorenzino de' Medici - Aridosia (1536)
Atto primo
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Tiberio, Livia, Ruffo, Lucido
- Tiberio
- Sazierommi io mai, anima mia, di vederti, parlarti e toccarti?
- Livia
- Se tu non ti sazii resterà da te, perch’io son tua, e sempre sarò.
- Ruffo
- Cotesto non dir tu, che mia sei, e non tua; allora ch’egli m’avrà dato i denari, sua sarai.
- Tiberio
- Oh uomo nato per farmi morire!
- Ruffo
- Uomo nato per farmi morire sei tu, perchè non mi dando i miei denari, mi fai morire, chè questa è la mia possessione e la mia bottega, senza la quale vivere non posso.
- Tiberio
- Io ti darò, s’hai pazienza, quel che tu vuoi, ma lasciami un po’ stare in pace.
- Ruffo
- Allora sarai tu sua; ma in questo mentre ce ne andremo a casa; vieni, Livia.
- Livia
- Tiberio, io mi ti raccomando.
- Lucido
- Guarda se sa fare l’arte questo scannauomini.
- Tiberio
- Oh non pensar d’aver a usare tanta presunzione.
- Ruffo
- Vorrò vedere, chi mi vieterà che del mio non possa fare a mio modo.
- Tiberio
- Io intendo di pagarti avanti che ti parta da me.
- Ruffo
- O da che resta?
- Tiberio
- Provveggo il resto de’ denari.
- Ruffo
- Oh, oh, io sto fresco, se si hanno ancora da provvedere i denari; domattina verrà per essa uno che m’ha dato l’arra.
- Lucido
- Io non posso più patire questo assassino; può fare Iddio che tu parli sì arrogantemente con un giovane da bene?
- Ruffo
- Che direstù, s’io non gli ne volessi vendere?
- Lucido
- O guarda, Ruffo, che non ci venga voglia di averla per forza e senza denari, chè tu sai bene che i tuoi pari non hanno ragione con gli uomini da bene.
- Tiberio
- Ascolta, Lucido; quand’io volessi fare cotesto (che potrei) egli avrebbe causa da dolersi; ma io lo voglio pagare fino a un quattrino.
- Ruffo
- Se questo fosse noi non avremmo a disputare.
- Tiberio
- Tu hai d’aver da me cinquanta scudi, non è così?
- Ruffo
- Sì, se tu vuoi Livia.
- Tiberio
- Mezzi te li dò adesso, e il resto domane.
- Ruffo
- Io gli voglio tutti ora che n’ho bisogno.
- Tiberio
- Io non credo che mai al mondo fosse il più arrogante padrone di costui.
- Ruffo
- Tiberio, abbi pazienza, chi ha bisogno fa così.
- Lucido
- Comportalo fino a stasera.
- Ruffo
- Non posso.
- Livia
- Eh Ruffo, per amor mio.
- Ruffo
- L’hai trovato appunto per amor tuo.
- Tiberio
- Orsù, Ruffo, io ti prometto da vero gentiluomo che stasera a ventiquattro ore avrai i tuoi denari.
- Ruffo
- Chi m’assicura?
- Tiberio
- Non t’ho io detto che mezzi te li darò adesso e mezzi stasera?
- Ruffo
- Di quelli d’adesso sarò in sicuro quando dati me li avrai, ma di quell’altri?
- Tiberio
- La mia fede.
- Ruffo
- D’ogni altra cosa sono avvezzo a stare alla fede che de’ danari.
- Tiberio
- S’io non te li posso dare...
- Ruffo
- Non dico che tu me li dia; ma che tu mi lassi andare con costei.
- Lucido
- E non s’ha egli a credere a un uomo da bene per due ore venticinque ducati?
- Ruffo
- Infine io sono invecchiato in questa usanza.
- Tiberio
- Ascolta, io ti do adesso quelli 25; se stasera non ti do il resto, vattene a mio padre che è in villa e dilli la cosa com’ella sta, e se ti vien bene, dilli com’io ti ho tolta per forza (ch’io vorrei innanzi la febbre ch’egli avesse a sapere niente di questo) e richiedigli Livia; egli subito verrà qua giù, e renderattela; tu sai come gli è fatto: se tu la rihai, 25 scudi sian tuoi, e se gran fatto non è, ella non sarà peggiorata 25 scudi, e così sarai securo o d’essere pagato in tutto, o d’aver Livia e 25 scudi vantaggio che vuoi.
- Ruffo
- A questo son io contento, ma non voglio aspettare più che insino a 20 ore.
- Livia
- Sino a quanto tu vuoi, pur che tu mi ti levi dinanzi; tò, annoveragli.
- Ruffo
- Gli annoverai poco fa; ma non ti doler di me; che se i danari non vengono io farò con tuo padre quanto siamo rimasti d’accordo.
- Tiberio
- Vatti con Dio, in malora, fa quel che ti piace.
- Ruffo
- Addio.
- Livia
- Oh e’ mi s’è levata una macina di sul cuore.
- Tiberio
- E a me di su l’anima; or ti posso guardare e toccare senza che Ruffo mi tiri dall’altro canto.
- Lucido
- Al trovar i denari ti voglio.
- Tiberio
- Qualche cosa sarà, Lucido; se si pensasse tanto alle cose non si farebbe mai nulla. Io so che tu m’aiuterai, e penserai a qualche modo che noi li troviamo.
- Lucido
- Io penserò pur troppo, ma il caso sarebbe a pensare qualche cosa che riuscisse; ma dimmi, tu non ti ricordi tornare in villa; come pensi tu farla con tuo padre s’ei s’avvede che tu sii venuto in Firenze a tante brighe? ci mancherà questa avere a placare quella bestia, e in un medesimo tempo aver a trovar 25 scudi, e che tanto è possibile a far l’uno e l’altro, quanto tener il Ruffo, che passato le venti ore non vadi a gridare a tuo padre, e dicali, che tu lo hai sforzato, o toltoli costei, e la prima cosa te la torrà, e daragliene, e tu n’andrai bene, se non ti caccerà via.
- Tiberio
- Potrà egli mai fare ch’io non mi sia goduto Livia mia?
- Lucido
- E’ potrà ben fare, che tu non la goda mai più.
- Tiberio
- Starò pur seco un pezzo. Chi gode un tratto non istenta sempre: Lucido, io mi ti raccomando, pensa tu qualche cosa, che ovvii a tanti mali. Noi intanto ce ne andremo qui in casa, e aspetteremo Erminio, che ci ha detto di venir a desinare con esso noi.
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