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Asolo adunque, vago e piacevole castello posto ne gli stremi gioghi delle nostre alpi sopra il Trivigiano, è, sì come ogniuno dee sapere, di madonna la Reina di Cipri, con la cui famiglia, la quale è detta Cornelia, molto nella nostra città onorata e illustre, è la mia non solamente d’amistà e di dimestichezza congiunta, ma ancora di parentado. Dove essendo ella questo settembre passato a’ suoi diporti andata, avenne che ella quivi maritò una delle sue damigielle, la quale, perciò che bella e costumata e gentile era molto e perciò che da bambina cresciuta se l’avea, assai teneramente era da lei amata e avuta cara. Per che vi fece l’apparecchio delle nozze ordinare bello e grande, e, invitatovi delle vicine contrade qualunque più onorato uomo v’era con le lor donne, e da Vinegia similmente, in suoni e canti e balli e solennissimi conviti l’un giorno appresso all’altro ne menava festeggiando con sommo piacer di ciascuno. Erano quivi tra gli altri, che invitati dalla Reina vennero a quelle feste, tre gentili uomini della nostra città, giovani e d’alto cuore, i quali, da’ loro primi anni ne gli studi delle lettere usati e in essi tuttavia dimoranti per lo più tempo, oltre a ciò il pregio d’ogni bel costume aveano, che a nobili cavalieri s’appartenesse d’avere. Costor per aventura, come che a tutte le donne che in que’ conviti si trovarono, sì per la chiarezza del sangue loro e sì ancora molto più per la viva fama de’ loro studi e del lor valore fosser cari, essi nondimeno pure con tre di loro belle e vaghe giovani e di gentili costumi ornate, perciò che prossimani eran loro per sangue e lunga dimestichezza con esse e co’ lor mariti aveano, i quali tutti e tre di que’ dì a Vinegia tornati erano per loro bisogne, più spesso e più sicuramente si davano che con altre, volentieri sempre in sollazzevoli ragionamenti dolci e oneste dimore traendo. Quantunque Perottino, che così nominare un di loro m’è piaciuto in questi sermoni, poco e rado parlasse, né fosse chi riso in bocca gli avesse solamente una volta in tutte quelle feste veduto. Il quale eziandio molto da ogniuno spesse volte si furava, sì come colui che l’animo sempre avea in tristo pensiero; né quivi venuto sarebbe, se da’ suoi compagni, che questo studiosamente fecero, acciò che egli tra gli allegri dimorando si rallegrasse, astretto e sospinto al venirvi non fosse stato. Né pure solamente Perottino ho io con infinta voce in questa guisa nomato, ma le tre donne e gli altri giovani ancora; non per altro rispetto, se non per tôrre alle vane menti de’ volgari occasione, i loro veri nomi non palesando, di pensar cosa in parte alcuna meno che convenevole alla loro onestissima vita. Con ciò sia cosa che questi parlari, d’uno in altro passando, a brieve andare possono in contezza de gli uomini pervenire, de’ quali non pochi sogliono esser coloro che le cose sane le più volte rimirano con occhio non sano.