< Asolani < Libro primo
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Libro primo - Capitolo XVIII
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Ma perciò che, fatto Idio da gli uomini Amore per queste cagioni che tu vedi, Lisa, parve ad essi convenevole dovergli alcuna forma dare, acciò che esso più interamente conosciuto fosse, ignudo il dipinsero, per dimostrarci in quel modo non solamente che gli amanti niente hanno di suo, con ciò sia cosa che essi stessi sieno d’altrui, ma questo ancora, che essi d’ogni loro arbitrio si spogliano, d’ogni ragione rimangono ignudi; fanciullo, non perché egli si sia garzone, che nacque insieme co’ primi uomini, ma perciò che garzoni fa divenire di conoscimento quei che ’l seguono e, quasi una nuova Medea, con istrani veneni alcuna volta gli attempati e canuti ribambire; alato, non per altro rispetto se non perciò che gli amanti, dalle penne de’ loro stolti disideri sostentati, volan per l’aere della loro speranza, sì come essi si fanno a credere, leggiermente infino al cielo. Oltre a.cciò una face gli posero in mano accesa, perciò che, sì come del fuoco piace lo splendore ma l’ardore è dolorosissimo, così la prima apparenza d’Amore, in quanto sembra cosa piacevole, ci diletta, di cui poscia l’uso e la sperienza ci tormentano fuor di misura. Il che se da noi conosciuto fosse prima che vi si ardesse, o quanto meno ampia sarebbe oggi la signoria di questo tiranno e il numero de gli amanti minore che essi non sono. Ma noi stessi, del nostro mal vaghi, sì come farfalle ad essa n’andiam per diletto; anzi pure noi medesimi spesse volte ce l’accendiamo, onde poi, quasi Perilli nel proprio toro, così noi nel nostro incendio ci veggiamo manifestamente perire. Ma per dar fine alla imagine di questo Idio, male per gli uomini di sì diversi colori della loro miseria pennellata, a tutte queste cose, Lisa, che io t’ho dette, l’arco v’aggiunsero e gli strali, per darci ad intendere che tali sono le ferite che Amore ci dà, quali potrebbono essere quelle d’un buono arciere che ci saettasse; le quali però in tanto sono più mortali, che egli tutte le dà nel cuore, e questo ancora più avanti hanno di male, che egli mai non si stanca od a pietà si muove, perché ci vegga venir meno, anzi egli tanto più s’affretta nel ferirci, quanto ci sente più deboli e più mancare. Ora io mi credo assai apertamente averti, Lisa, dimostrato quali fossero le cagioni che mosser gli uomini a chiamare Idio costui, che noi Amore chiamiamo, e perché essi così il dipinsero, come tu hai veduto; il quale, se con diritto occhio si mira, non che egli nel vero non sia Idio, il che essere sarebbe sceleratezza pure a pensare non che mancamento a crederlo, anzi egli non è altro se non quello che noi medesimi vogliamo. Perciò che conviene di necessità che Amore nasca nel campo de’ nostri voleri, senza il quale, sì come pianta senza terreno, egli aver luogo non può giamai. È il vero che, comunque noi, ricevendolo, nell’animo gli lasciamo aver piè e nella nostra volontà far radici, egli tanto prende di vigore da se stesso, che poi nostro mal grado le più volte vi rimane, con tante e così pungenti spine il cuore affligendoci e così nuove maraviglie generandone, come ben chiaro conosce chi lo pruova.

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