< Asolani < Libro secondo
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Libro secondo - Capitolo XXII
Libro secondo - XXI Libro secondo - XXIII

Il che avendo detto Gismondo, con un brieve silenzio fatta più attenta l’ascoltante compagnia, così incominciò: - Non sono come quelle de gli altri uomini le viste de gli amanti, o donne, né sogliono gl’innamorati giovani con sì poco frutto mirare ne gli obbietti delle loro luci, come quelli fanno, che non sono innamorati. Perciò che sparge Amore col movimento delle sue ali una dolcezza ne gli occhi de’ suoi seguaci, la quale, d’ogni abbagliaggine purgandogli, fa che essi, stati semplici per lo adietro nel guardare, mutano subito modo e, mirabilmente artificiosi divenendo al loro ufficio, le cose che dolci sono a vedere essi veggono con grandissimo diletto, là dove delle dolcissime gli altri uomini poco piacere sentono per vederle e il più delle volte non niuno. E come che dolci sieno molte cose, le quali tutto dì miriamo, pure dolcissime sopra tutte le altre, che veder si possano per occhio alcuno giamai, sono le belle donne, come voi siete. Non per tanto elle dolcezza non porgono se non a gli occhi de gli amanti loro, sì come que’ soli a’ quali Amore dona virtù di passar con la lor vista ne’ suoi tesori. E se pure alcuna ne porgono, che tuttavolta non è uom quegli a cui già in qualche parte la vostra vaga bellezza non piaccia, a rispetto di quella de gli amanti ella è come un fiore a comperazione di tutta la primavera. Perciò che aviene spesse volte che alcuna bella donna passa dinanzi a gli occhi di molti uomini, e da tutti generalmente volentieri è veduta: tra’ quali, se uno o due ve n’ha che con diletto più vivo la riguardino, cento poi son quelli per aventura che ad essa non mandano la seconda o la terza guatatura. Ma se tra que’ cento l’amante di lei si sta e vedela, che a questa opera non suole però essere il sezzaio, ad esso pare che mille giardini di rose se gli aprano allo ’ncontro e sentesi andare in un punto d’intorno al cuore uno ingombramento tale di soavità, che ogni fibra ne riceve ristoro, possente a scacciarne qualunque più folta noia le possibili disaventure della vita v’avessero portata e lasciata. Egli la mira intentamente e rimira con infingevole occhio, e per tutte le sue fattezze discorrendo, con vaghezza solo da gli amanti conosciuta, ora risguarda la bella treccia, più simile ad oro che ad altro, la quale sì come sono le vostre, né vi sia grave che io delle belle donne ragionando tolga l’essempio in questa e nelle altre parti da voi, la quale, dico, lungo il soave giogo della testa, dalle radici ugualmente partendosi e nel sommo segnandolo con diritta scriminatura, per le deretane parti s’avolge in più cerchi; ma dinanzi, giù per le tempie, di qua e di là in due pendevoli ciocchette scendendo e dolcemente ondeggianti per le gote, mobili ad ogni vegnente aura, pare a vedere un nuovo miracolo di pura ambra palpitante in fresca falda di neve. Ora scorge la serena fronte, con allegro spazio dante segno di sicura onestà; e le ciglia d’ebano piane e tranquille, sotto le quali vede lampeggiar due occhi neri e ampi e pieni di bella gravità, con naturale dolcezza mescolata, scintillanti come due stelle ne’ lor vaghi e vezzosi giri, il dì che primieramente mirò in loro e la sua ventura mille volte seco stesso benedicendo. Vede dopo questi le morbide guancie, la loro tenerezza e bianchezza con quella del latte appreso rassomigliando, se non in quanto alle volte contendono con la colorita freschezza delle matutine rose. Né lascia di veder la sopposta bocca, di picciolo spazio contenta, con due rubinetti vivi e dolci, aventi forza di raccendere disiderio di basciargli in qualunque più fosse freddo e svogliato. Oltre a.cciò quella parte del candidissimo petto riguardando e lodando, che alla vista è palese, l’altra che sta ricoperta loda molto più ancora maggiormente, con acuto sguardo mirandola e giudicandola: mercé del vestimento cortese, il quale non toglie perciò sempre a’ riguardanti la vaghezza de’ dolci pomi che, resistenti al morbido drappo, soglion bene spesso della lor forma dar fede, mal grado dell’usanza che gli nasconde. - Trassero queste parole ultime gli occhi della lieta brigata a mirar nel petto di Sabinetta, il quale parea che Gismondo più che gli altri s’avesse tolto a dipignere, in maniera per aventura la vaga fanciulla, sì come quella che garzonissima era, e tra per questo e per la calda stagione d’un drappo schietto e sottilissimo vestita, la forma di due poppelline tonde e sode e crudette dimostrava per la consenziente veste. Per che ella si vergognò veggendosi riguardare, e più arebbe fatto, se non che madonna Berenice, accortasi di ciò, subitamente disse: - Cotesto tuo amante, Gismondo, per certo molto baldanzosamente guata e per minuto, poi che egli infino dentro al seno, il quale noi nascondiamo, ci mira. Me non vorrei già che egli guatasse così per sottile.
- Madonna, tacete, - rispose Gismondo - ché voi ne avete una buona derrata. Perciò che se io volessi dir più avanti, io direi che gli amanti passano con la lor vista in ogni luogo e, per quello che appare, agevolmente l’altro veggono, che sta nascoso. Per che nascondetevi pure a gli altri uomini a vostro senno, quanto più potete, ché a gli amanti non vi potete voi nascondere, donne mie belle, né dovete altresì. E poi dirà Perottino che ciechi sono gli amanti. Cieco è egli, che non vede le cose che da veder sono, e non so che sogni si va, non dico veggendo, ché veder non si può ciò che non è, anzi pure ciò che non può essere, ma dipingendo: un garzone ignudo, con l’ali, col fuoco, con le saette, quasi una nuova chimera fingendosi, non altramente che se egli mirasse per uno di quelli vetri che sogliono altrui le maraviglie far vedere.

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