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Assai cretti celare
ciò che mi conven dire,
ca lo troppo tacere
noce manta stagione,
5e di troppo parlare
può danno adivenire:
per che m’aven temere
l’una e l’altra cagione.
Quand’omo ha temenza
10di dir ciò che convene,
levemente adivene
che ’n suo dire è fallenza:
omo temente no è ben suo segnore;
per che, s’io fallo, il mi perdoni Amore.
15Certo ben so’ temente
di mia voglia mostrare;
e quando io creo posare,
mio cor prende arditanza;
e fa similemente
20come chi va a furare,
che pur veder li pare
l’ombra di cui ha dottanza,
e poi prende ardimento
quant’ha mag[g]ior paura.
25Così Amor m’asicura,
quando più mi spavento,
chiamar merzé a quella a cui so’ dato;
ma, poi la veo, ublio zo c’ho pensato.
Dolce m’è l’ublïanza,
30ancor mi sia nocente,
ch’eo vivo dolzemente
mentre mia donna miro;
ed honne gran pesanza,
poi ch’io so’ canoscente
35ch’ella non cura nente
di ciò dond’io sospiro.
piango per usag[g]io,
come fa lo malato
che si sente agravato
40e dotta in suo corag[g]io,
ché per lamento li par spesse fiate
li passi parte di ria volontate.
Così pianto e lamento
mi dà gran benenanza,
45ch’io sento mia gravanza
per sospiri amortare;
e dammi insegnamento
nave ch’ha tempestanza,
che torna in allegranza
50per suo peso alleg[g]iare.
E quando ag[g]io al[l]eg[g]iato
de lo gravor ch’io porto,
io credo essere in porto
di riposo arivato;
55così m’aven com’a la cominzaglia:
ch’io creo aver vinto, ancor so’ a la bat[t]aglia.
Però com’a la fene
vorria m’adivenisse,
s’Amor lo consentisse,
60poi tal vita m’è dura,
che s’arde e poi rivene:
ché forse, s’io m’ardesse
e di nuovo surgesse,
ch’io muteria ventura;
65o ch’io mi rinovasse
come cervo in vec[c]hiezze,
che torna in sue bellezze:
s’essa mi ritrovasse,
forse che rinovato piaceria
70là donde ogne ben sol merzé saria.