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LIII
AL SIGNOR
AVERARDO MEDICI
Quando il principe D. Carlo fu fatto cardinale1.
Averardo, al cui petto,
Come ad albergo suo, virtù ripara,
Al cui chiaro intelletto
La limpid’acqua di Castalia è cara,
5Io solingo in Savona oggi ho ricetto;
Colà dove tra’ monti, e lungo l’acque
Non appar opra di superbo ingegno:
Non dispregiar perciò, che già qui nacque
Tal, ch’ebbe scettro del celeste regno,
10E tal, che preso Abila, e Calpe a sdegno,
All’ardimento umano
Ruppe il divieto estremo,
Soggiogator supremo
Dell’immenso oceáno,
15E quinci ei fe’ palese,
Che la virtà di nobil alma altera
Non mai dell’alte imprese
A suo favor l’eccelso fin dispera;
Or qui tra selve, che le faci accese
20Del più fervido Sol prendono a scherno,
Lunge dal vulgo vil faccio soggiorno;
E di fiato gentil Zefiro eterno
Sento fra’ rami trasvolare intorno,
E sento, quando in ciel risorge il giorno;
25E quando in mar s’asconde,
D’augelli aerei
E di rivi sonanti
Amabilissime onde.
Scendo talor dal monte,
30E calco presso il mar piani sentieri.
Il varïare è fonte
E de’ trastulli e degli uman piaceri.
A chi del mare le letizie conte
Non son in fra mortali? ed al suo vanto
35Qual non cede quaggiù vanto terreno?
Del buon Parnaso ne fa certi il canto,
Che Venere del mar sorse nel seno;
Qual dunque a cor gentil può venir meno
De i diletti maggiori
40Là dove a nascer ebbe,
E dove al mondo crebbe
La madre degli amori?
Cari giocondi liti,
Schermo dell’altrui duol, scampo alle pene,
45Scherzi e giochi infiniti
Ognora io provo in sulle vostre arene,
Mille con ami al pesce inganni orditi,
Fresc’aurea di zeffiri entro alle vele,
Bella calma al notâre allettatrice;
50Qua l’arso pescatore alza querele,
Là ride dell’ardor la pescatrice;
E chi tesse le reti, e chi predice
Non temute procelle;
Altri canuto i crini
55Canta mostri marini,
E tempestose stelle.
Tra così lieti scogli
Intanto al dolce mormorar de’ venti
Da me sgombro i cordogli,
60Onde vanno quaggiù carchi i viventi;
Oh se le voci, che sì care sciogli
Di Flora in grembo, tua gentil magione,
Mai fosser qui, caro Averardo, udite,
Oh di quanta armonia Glauco, e Tritone,
65E colmerebbe il cor l’ampia Anfitrite;
Ma non son dal buon Carlo unqua partite
Tue vestigia amorose;
Carlo, cui dà giocondo
Arno dal ricco fondo
70Ghirlande glorïose.
E Roma anco gli porge
Non d’industria mortale ostri volgari
Ma di sua man lo scorge
Almo a regnar fra’ sacrosanti altari.
75A ragion del Giordano oggi risorge
La speme: or sua sembianza egra rischiari
Giudea sì vilipesa e sì dimessa:
A ragion l’onte ad obbliare impari
Del giogo vil Gerusalemme oppressa.
80Può dar Lorena alla provincia istessa2
Altra volta salute,
E de’ Medici alteri
A gli ottomani arcieri
Nota è l’alta virtute.
- ↑ Fratello del granduca Cosimo II, sotto il cui regno, cioè dal 1609 al 1621, fu fatto cardinale.
- ↑ Il cardinale Carlo nacque di Ferdinando I e di Cristina della Casa di Lorena, la quale vantava fra i suoi antenati Goffredo di Buglione.