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Che gonfiar trombe, che spronar destrieri Al gran coro Febeo cetra diletta
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera

LIII

AL SIGNOR

AVERARDO MEDICI

Quando il principe D. Carlo fu fatto cardinale1.

Averardo, al cui petto,
     Come ad albergo suo, virtù ripara,
     Al cui chiaro intelletto
     La limpid’acqua di Castalia è cara,
     5Io solingo in Savona oggi ho ricetto;
     Colà dove tra’ monti, e lungo l’acque
     Non appar opra di superbo ingegno:
     Non dispregiar perciò, che già qui nacque
     Tal, ch’ebbe scettro del celeste regno,
     10E tal, che preso Abila, e Calpe a sdegno,
     All’ardimento umano
     Ruppe il divieto estremo,
     Soggiogator supremo
     Dell’immenso oceáno,
15E quinci ei fe’ palese,
     Che la virtà di nobil alma altera
     Non mai dell’alte imprese
     A suo favor l’eccelso fin dispera;
     Or qui tra selve, che le faci accese
     20Del più fervido Sol prendono a scherno,
     Lunge dal vulgo vil faccio soggiorno;
     E di fiato gentil Zefiro eterno
     Sento fra’ rami trasvolare intorno,
     E sento, quando in ciel risorge il giorno;
     25E quando in mar s’asconde,
     D’augelli aerei
     E di rivi sonanti
     Amabilissime onde.
Scendo talor dal monte,
     30E calco presso il mar piani sentieri.
     Il varïare è fonte
     E de’ trastulli e degli uman piaceri.
     A chi del mare le letizie conte
     Non son in fra mortali? ed al suo vanto
     35Qual non cede quaggiù vanto terreno?
     Del buon Parnaso ne fa certi il canto,
     Che Venere del mar sorse nel seno;
     Qual dunque a cor gentil può venir meno
     De i diletti maggiori
     40Là dove a nascer ebbe,
     E dove al mondo crebbe
     La madre degli amori?
Cari giocondi liti,
     Schermo dell’altrui duol, scampo alle pene,
     45Scherzi e giochi infiniti
     Ognora io provo in sulle vostre arene,
     Mille con ami al pesce inganni orditi,
     Fresc’aurea di zeffiri entro alle vele,
     Bella calma al notâre allettatrice;
     50Qua l’arso pescatore alza querele,
     Là ride dell’ardor la pescatrice;
     E chi tesse le reti, e chi predice

     Non temute procelle;
     Altri canuto i crini
     55Canta mostri marini,
     E tempestose stelle.
Tra così lieti scogli
     Intanto al dolce mormorar de’ venti
     Da me sgombro i cordogli,
     60Onde vanno quaggiù carchi i viventi;
     Oh se le voci, che sì care sciogli
     Di Flora in grembo, tua gentil magione,
     Mai fosser qui, caro Averardo, udite,
     Oh di quanta armonia Glauco, e Tritone,
     65E colmerebbe il cor l’ampia Anfitrite;
     Ma non son dal buon Carlo unqua partite
     Tue vestigia amorose;
     Carlo, cui dà giocondo
     Arno dal ricco fondo
     70Ghirlande glorïose.
E Roma anco gli porge
     Non d’industria mortale ostri volgari
     Ma di sua man lo scorge
     Almo a regnar fra’ sacrosanti altari.
     75A ragion del Giordano oggi risorge
     La speme: or sua sembianza egra rischiari
     Giudea sì vilipesa e sì dimessa:
     A ragion l’onte ad obbliare impari
     Del giogo vil Gerusalemme oppressa.
     80Può dar Lorena alla provincia istessa2
     Altra volta salute,
     E de’ Medici alteri
     A gli ottomani arcieri
     Nota è l’alta virtute.

  1. Fratello del granduca Cosimo II, sotto il cui regno, cioè dal 1609 al 1621, fu fatto cardinale.
  2. Il cardinale Carlo nacque di Ferdinando I e di Cristina della Casa di Lorena, la quale vantava fra i suoi antenati Goffredo di Buglione.

Note

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