< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
Grata sorpresa
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Grata sorpresa.



N
ella durata di tutti i descritti lavori mi era occorso, frugando le cose mie, di rinvenire un sacchetto che, come accennai tempo prima, era stato empiuto di grano per nutrire i polli del vascello, non già per questo viaggio, ma prima, come io suppongo, quando lo stesso vascello si partì da Lisbona. La picciola quantità di grano rimasta nel sacchetto era stata mangiata tutta dai sorci, onde io non ci vidi nulla fuorchè pule di grano e polve. Desideroso di valermi dello stesso sacchetto a qualche altro uso (credo per metterci della polvere, quando la separai in più partite per la paura del lampo, o per non so qual altro fine) ne scossi fuori le pule in un canto della mia fortificazione al di sotto del monte.

Avvenne un pocolino prima della strepitosa pioggia menzionata dianzi, ch’io mi disfeci di tutta questa robaccia, non pensando ad altro, nè tenendo al certo gran conto del luogo ove la gettai. Or bene; un mese dopo vidi spuntar dalla terra alcuni verdi steli ch’io pensai potessero appartenere a qualche pianta non anche veduta da me. Qual fu la mia sorpresa, il mio compiuto stupore, allorchè dopo un brevissimo tempo vidi sorgere dieci o dodici spiche di perfetto orzo in erba, della medesima specie del nostro orzo europeo, anzi del nostro orzo inglese!

Egli è impossibile l’esprimere lo sbalordimento, la confusione dei miei pensieri in tale occasione. Fin qui le mie azioni non si erano regolate sopra verun religioso principio; da vero io aveva ben poche notizie di religione nella mia testa, nè m’era avvezzo a riguardare le cose che mi occorrevano se non come un caso, o come sogliamo dire, non ponderando quel che diciamo, voler di Dio, senza poi internarmi altro nei fini della providenza o prendermi pensiere dell’ordine da essa tenuto nel governare gli eventi di questo mondo. Ma dopo aver veduto crescere qui l’orzo, sotto un clima ch’io sapeva non essere atto al grano (e ciò che specialmente io non sapeva si era, come il grano fosse venuto qui) ciò mi scosse d’una straordinaria maniera. Allora cominciai a supporre che Dio avesse miracolosamente disposto, che questa biada nascesse senza alcun aiuto di semina e che avesse predisposto ciò unicamente pel mio sostentamento in questa selvaggia isola della sfortuna.

Tale avvenimento che toccò alquanto il mio cuore, mi spremette lagrime dagli occhi, onde cominciai a riputarmi benedetto e beato poichè un tal prodigio di natura a mio solo favore avveravasi; e il fatto riusciva tanto più stravagante per me, in quanto osservava nello stesso tempo in vicinanza alcuni altri steli dispersi lungo il fianco del monte che apparivano gambi di riso, a me ben noti per averne veduti crescere nell’Africa quando mi trovai su quella spiaggia.

Non solamente io pensai che quegli steli fossero meri doni mandatimi in soccorso dalla providenza, ma, non dubitando che ve ne fosse una maggior copia nell’isola, mi diedi a percorrerla per tutte le bande ove era già stato altre volte, e ad indagare per ciascun angolo, sotto ciascun dirupo per vedere se di queste spiche benefiche ve ne fossero altrove, ma non ne trovai in nessun’altra parte. Finalmente tornatomi al pensiere ch’io aveva scosso in quel luogo il sacchetto della provvigione dei polli, principiò a cessare in me la meraviglia; e bisogna lo confessi, la mia religiosa gratitudine alla providenza divina s’andò dileguando, poichè ebbi scoperto nulla esservi in ciò che uscisse dall’ordinario. Pure, se avessi ragionato meglio, io doveva esser grato a questa non preveduta ed inaspettata providenza, come se fosse stata miracolosa; perchè fu realmente verso di me un’opera di lei e tale come se quel grano mi fosse venuto dal cielo, l’aver essa preordinato che dieci o dodici grani d’orzo rimanessero intatti quando i sorci ne avevano distrutto il rimanente; fu una predestinazione della providenza ch’io gettassi quel grano in tal particolare luogo, ove essendo protetto dall’ombra di un’alta rupe potesse immediatamente spuntare; giacchè se fosse stato gettato altrove in quella stagione dell’anno sarebbe tosto arso e perito.

Raccolsi con grande cura, potete bene esserne certi, quelle spiche d’orzo quando ne fu la stagione, verso il fine di giugno all’incirca; e messone in serbo tutti i grani, divisai di seminarli un’altra volta nella speranza di averne col tempo una ricolta sufficiente per provvedermi di pane. Ma ci vollero quattro anni prima ch’io potessi far conto su la più piccola quantità di quel grano per cibarmene, e ciò ancora con molto risparmio, come lo dirò in appresso quando ne verrà l’occasione; perchè andò perduto quasi interamente quello che seminai la prima volta per non avere io colto il vero tempo e per averlo consegnato alla terra prima della stagione asciutta, onde non venne mai a maturità, almeno in quella copia che poteva sperarsi altrimenti; ma di ciò parleremo a suo luogo.

Oltre all’orzo, scopersi, come ho detto, venti o trenta steli di riso che colsi con la stessa premura e che adoperai nella stessa maniera e col medesimo fine, vale a dire di farmi del pane o piuttosto di ritrarne nudrimento; perchè trovai modo di cuocerlo senza metterlo al forno, benchè in appresso mi fabbricassi anche un forno. Ma torniamo al mio giornale.

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