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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Atti di debita umanità e diversione ai Banchi di Terra Nuova.
Non intendo far torto nè a questi nè a quelli. Senza dubbio molti fra essi ve n’ebbe che ringraziarono in appresso chi si doveva ringraziare; ma la prima esultanza fu si gagliarda ne’ loro petti, che non sapeano signoreggiarla. Dominati pressochè tutti da una specie di delirio, di frenesia, furono pur pochi quelli che seppero mantenersi composti e dignitosi nella loro gioia.
Forse della scena che mi stava dinanzi agli occhi bisognava attribuire molta parte alla nazione cui appartenevano gli attori: intendo dire che erano Francesi, a cui natura, in questa sentenza tutti convengono, e più leggiera, più appassionata, più focosa, lo spirito più aereo di quanto si ravvisi in ogn’altra nazione. Io non sono abbastanza filosofo per dar la cagione di ciò. Certo non ho mai veduta dianzi veruna cosa che potesse venire a petto di questa. Le frenesie del povero Venerdì, del mio fedele selvaggio, allorchè trovò suo padre nella piroga, le si avvicinavano di più; un poco ancora la gioia del capitano di filuca e de’ suoi due compagni per me liberati dai due mascalzoni che li gettarono su la spiaggia della mia isola; ma nè le pazzie di Venerdì nè quant’altre ne ho veduto fare in mia vita venivano al paragone di quelle che mi tocco vedere in tale occasione.
Una cosa da notarsi anche più si era che tutte queste stravaganze non si manifestavano in guise sì diverse in diverse persone soltanto, ma ogni sorta di varietà si mostrava a sua volta entro una breve successione di momenti in una stessa persona. Avreste veduto tal uomo in quest’istante mutolo e con cera la più sbalordita e confusa mettersi tutt’ad un tratto a ballare e a cantare come un saltimbanco; poco appresso strapparsi i capelli, squarciarsi le vesti e pestarle co’ piedi; di lì ad un momento prorompere in un dirotto pianto, indi star male, svenire e ridursi a tale stato che se non gli foste corso in aiuto, sarebbe morto. Nè tal cosa la vedevamo accadere soltanto ad uno o a due, a dieci o anche a venti, ma a quasi tutti della brigata salvatasi a bordo del nostro vascello: onde, se ben mi ricordo, il nostro chirurgo fu costretto levar sangue ad una trentina circa di essi.
Vi erano fra gli altri due preti, un giovine, l’altro attempato e, ciò che v’ha di più singolare, chi mostrò meno giudizio fu il vecchio. Appena messo il piede a bordo del nostro bastimento, stramazzò sul tavolato, che ognuno lo avrebbe detto morto: non potevate scorgere in lui il menomo segno di vita. Il nostro chirurgo, unico in mezzo a noi che non lo credesse morto da vero, dopo avergli apprestati quanti rimedî credè opportuni a farlo rinvenire, finalmente ricorse a quello di aprirgli la vena ad un braccio che egli avea prima debitamente fregato e strofinato, per richiamarvi quanto mai si poteva il calore. Il sangue che su le prime usciva a lente gocce, cominciò indi a sgorgare liberamente, e tre minuti appresso il prete aperse gli occhi; dopo un quarto d’ora parlava, stava meglio; e di lì a poco fu perfettamente rimesso. Ristagnato il sangue, camminava attorno, ne affermava di stare benissimo. Prese una sorsata di cordiale offertagli dal chirurgo; in una parola, era un uomo riavuto del tutto. Passato un quarto d’ora, si dovette correre in cerca del chirurgo (che stava traendo sangue ad una Francese svenuta) per dirgli che il prete si era buttato matto del tutto. A quanto apparve egli avea principiato a meditare sul portentoso cangiamento che lo avea tratto in un subito da morte a vita, la qual considerazione nel primo istante lo trasportò in un’estasi di gioia, di lì a poco la circolazione dei suoi spiriti vitali essendosi fatta più violenta e sproporzionata con quella del suo sangue, questo si accese e gli generò una gagliarda febbre. Se lo avessero portato all’ospedale dei pazzi niun uomo in quel punto vi sarebbe stato meglio annicchiato di lui. Il chirurgo, non volendo avventurarsi a fargli un’altra cacciata di sangue, gli diede un rimedio per sopirlo e conciliargli il sonno: rimedio che fece effetto perchè il nostro prete nella mattina appresso si svegliò sano affatto di mente e di corpo. Il prete giovine, più abile nel dominare le proprie emozioni, mostrò in sè stesso il vero esempio d’una mente retta e giudiziosa. Al suo primo entrare a bordo, prosternò a terra la faccia in atto di render grazie della sua liberazione al Signore; dalla quale opera sfortunatamente e fuor di tempo lo distogliemmo. Che volete? realmente lo credemmo preso da uno svenimento; ma egli mi parlo con calma, ringraziandomi e dicendomi come stesse in quel tempo adempiendo i propri debiti verso il Signore che lo avea salvato; che nondimeno, soddisfatto a tale obbligo col suo Creatore, non avrebbe omessi verso di me gli ufizi che si conveniva.
Afflittissimo d’averlo disturbato, non solamente lo lasciai quieto, ma feci che altri non lo interrompessero nelle sue orazioni. Rimasto in quella postura tre minuti, o poco più, dopo che ve l’ebbi lasciato, venne a cercarmi come avea promesso di fare. Con accento grave ed affettuoso, e con le lagrime agli occhi ringrazio me perchè con l’aiuto di Dio aveva restituito lui e tante miserabili creature alla vita.
— «Io non vi stimolerò, gli risposi, a ringraziar Dio piuttosto che me, perchè vedo che la prima cosa l’avete già eseguita. Circa a me, circa a quanto abbiamo fatto noi, non fu più di quello che la natura e l’umanità dettano a tutti gli uomini, anzi tocca a noi ringraziar Dio che ci ha benedetti al segno di essere stromenti della sua misericordia verso un sì grande numero di sue creature.»
Dopo di che il giovine sacerdote datosi a conversare co’ suoi compatriotti molto s’adopero a sedarne gli animi. Persuadeva, pregava, ammoniva, argomentava con essi, e fece l’estremo di sua possa per contenerli entro i limiti della ragione; con alcuni riuscì, benchè i più rimanessero ancora per un pezzo fuori di senno.
Non ho potuto starmi dal consegnare al mio scritto tali particolarità, che potranno forse per coloro cui cadrà un dì fra le mani tornare utili a governare le stravaganze delle proprie emozioni; perchè se un eccesso di gioia può tenere uomini per sì lungo tempo fuor dei limiti della ragione, a quali stravaganze non ci condurranno l’ira, la rabbia, la sete della vendetta? Io stesso veramente da questo caso ritrassi una scuola: quella cioè che non possiamo mai troppo far la guardia alle nostra passioni, procedano esse dalla gioia e dalla felicità o dalle ambasce e dall’ira.
Fummo alquanto disturbati da queste stranezze d’una gran parte de’ nostri ospiti pel primo giorno; ma poichè ebbero avuto letti, sostentamento e ristori quali poteva offrir loro il nostro vascello; poichè ebbero fatta una sontuosa dormita, e ciò avvenne ai più, perchè erano veramente affaticati dal disagio e dalla paura, dopo ciò apparvero una tutt’altra gente nel dì seguente.
Non vi fu sorta di civiltà o buona grazia ch’eglino omettessero per mostrarci la loro gratitudine: già si sa che per indole i Francesi danno principalmente negli eccessi anche da questo bel lato. Il capitano del bastimento incendiato e uno de’ due preti vennero a cercare me e il mio nipote il dì appresso. Il capitano soprattutto desiderava sapere quali fossero intorno a loro le nostre intenzioni, ma prima d’ogni altro discorso ne manifestarono entrambi il loro dispiacere, perchè avendo noi salvato ad essi le vite, ben poco rimaneva loro per mostrarci una corrispondente gratitudine.
— «Potemmo per buona sorte, ne diceva il capitano, preservare, sottraendole in fretta alle fiamme, alcune monete e cose di valore nelle nostre scialuppe. Se volete accettarle, abbiamo commissione di offrirvele tutte; sol brameremmo di essere, lungo il vostro cammino, posti a terra su qualche spiaggia, ove ne sia possibile trovare un’occasione per tornare alla nostra patria.»
Mio nipote stava lì lì per prenderli in parola, accettando le monete e le cose preziose offerte: avrebbe poi più tardi pensato a quel che si potea fare per loro; ma fui presto a dargli la voce. Sapeva ben io che cosa volesse dire l’essere buttato a terra senza danari in un estranio paese; e se il capitano portoghese mi avesse salvato così prendendosi poi in prezzo della sua buon’opera tutto quello che aveva, mi sarebbe poi convenuto morire di fame, o divenire schiavo nel Brasile com’era stato in Barbaria, con la sola differenza che non sarei stato schiavo di un Maomettano: ma forse un Portoghese non è migliore padrone di un Turco, se in certi casi non è peggiore. Così pertanto parlai al capitano francese:
— «Vi abbiamo, è vero, salvali nel momento del vostro disastro; ma gli era un nostro dovere il far questo, e desidereremmo noi pure di trovare chi ci liberasse, se fossimo in caso simile o in altra crudele estremità. Abbiamo fatto per voi sol quel tanto che voi avreste fatto per noi, cangiato le parti e le condizioni. Ma vi abbiamo accolti per salvarvi, non per saccheggiarvi; e la sarebbe una grande barbarie il portarvi via quel che avete campato dalle fiamme, poi gettarvi in una spiaggia e piantarvi là; tanto sarebbe il salvarvi prima da morte, poi l’uccidervi noi medesimi; camparvi da morire annegati, poi farvi morire affamati. Oh no! no! non permetterò che la menoma delle vostre proprietà vi sia tolta. Quanto al mettervi a terra su qualche spiaggia, la è questa veramente una grande difficoltà per noi, perchè il nostro vascello ha l’obbligo di veleggiare alle Indie Orientali; e benchè ci siamo distolti un bel pezzo dalla nostra via governando verso ponente, per venirvi in aiuto, diretti forse dal cielo che ha voluta la vostra salvezza, non per questo n’è lecito cangiare per voi di nostro arbitrio la direzione del viaggio prescrittone: nè il capitano, mio nipote, può assumersi un simil rischio co’ padroni del carico di questo bastimento; perchè il suo contratto di noleggio l’obbliga a continuare direttamente e senza interruzione il suo viaggio alla volta del Brasile. Tutto quanto vedo potersi fare per voi si è mettervi su la via d’incontrarvi in altro bastimento che torni dall’Indie Orientali, e cercarvi, se è possibile, sovr’essi un tragitto a qualche parte dell’Inghilterra o della Francia.»
La prima parte della mia proposta era sì generosa e cortese rispetto a loro, che non poteano non essermene grati, ma li pose nella massima costernazione, specialmente i passeggieri, l’udire che non poteano evitare di essere trasportati all’Indie Orientali. Si fecero quindi a supplicarmi affinchè, essendo io già deviato assai verso ponente, prima ancora d’incontrarli, facessi tanto di continuare la stessa direzione fino ai Banchi di Terra Nuova, ove probabilmente potrebbero abbattersi in qualche bastimento o schifo, che avrebbero noleggiato per farsi trasportare nuovamente al Canadà, donde venivano.
Parvemi sì ragionevole questa loro inchiesta, che mi sentii tosto propenso a secondarla. Considerai in oltre che costringere tutte quelle povere creature a venire con noi sino alle Indie Orientali sarebbe stato non solamente una intollerabile asprezza esercitata sovra esse, ma pure un compromettere tremendamente la nostra navigazione, perchè ci avrebbero mangiate tutte le vettovaglie. Pensai però che il condiscendere ai loro desideri non era un mancare al nostro contratto di noleggio, ma bensì un arrendersi ad una necessità nata da un incidente che non potendo essere preveduto da niuno, niuno potea farne colpa di averle obbedito. Certamente tutte le leggi divine ed umane ne proibivano di negar rifugio a quelle due scialuppe cariche di miserabili, ridotti ad una condizione sì disperata. Dopo ciò la natura stessa della cosa volea che e per amor nostro e per amor loro li tragettassimo in una spiaggia, fosse poi una od un’altra, per compiere nel miglior modo l’opera della loro salvezza. Acconsentii pertanto di condurli a Terra Nuova, semprechè i venti e la stagione lo permettessero; altrimenti, non essendovi altro rimedio, gli avremmo trasportati alla Martinica nell’Indie Orientali.
Ancorchè il tempo fosse buono, il vento, che spirava gagliardo da levante, continuò lunga pezza a mantenersi lo stesso tra nord-est e sud-est (tra greco e scirocco). Ciò fece perdere parecchie occasioni di rimandare in Francia i nostri imbarcati, perchè incontrammo veramente più d’un bastimento diretto per l’Europa, e tra questi uno francese reduce da San Cristoforo: ma l’additata contrarietà di venti gli avea costretti ad indugiar tanto costeggiando, che non s’arrischiarono a prendere a bordo i nostri passeggieri per paura di mancare di viveri sì per sè medesimi e sì per essi; onde fummo obbligati a tirare innanzi.
Passata quasi una settimana dopo di ciò fummo ai Banchi di Terra Nuova, ove, per accorciare questo episodio, mettemmo i nostri Francesi a bordo di una filuca che noleggiammo su quelle acque con patto di sbarcarli alla costa e di ricondurli indi in Francia se riuscivano a fornirla di vettovaglie. Dai Francesi che si fermarono su quella spiaggia devo eccettuare il giovine sacerdote menzionato poco fa, che avendo udito come fossimo diretti all’Indie Orientali, ne pregò di poter venire in nostra compagnia e di essere lasciato a terra su la costa di Coromandel, inchiesta ch’io secondai di tutto buon grado, perchè aveva preso ad amare, non vi so dir quanto, quest’uomo, e ben ebbi di che esser contento di ciò, come vedrete a suo luogo. Mi conviene pure eccettuare quattro piloti, che volontari entrarono nella nostra ciurma, e per dire la verità acquistammo in loro buoni marinai.