< Avventure di Robinson Crusoe
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Daniel Defoe - Avventure di Robinson Crusoe (1719)
Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
I tre mascalzoni tornano ad imperversare
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I tre mascalzoni tornano ad imperversare.



F
uvvi ora una nuova cagione di rissa coi tre Inglesi. Un di costoro, il più inquieto di tutti, adiratosi con uno de’ tre schiavi (un di que’ tre selvaggi fuggitivi che gl’Inglesi, come dissi altrove, aveano preso al loro servizio) perchè non faceva esattamente quanto il padrone gli avea comandato o si mostrava forse indocile alle sue avvertenze, si trasse un segolo dalla cintura, non per farlo ravvedere intimorendolo, ma a dirittura per ammazzarlo. S’abbatte ivi uno Spagnuolo che vide quando il cialtrone, mirando alla testa del poveretto, lo colpì in vece col segolo su la spalla, ma sì spietatamente che ne credè troncato il braccio. Raccomandatosi tosto perchè il ribaldo non finisse quella misera creatura, si pose fra essa e lui ad impedire di peggio. Inferocito sempre di più lo sgraziato, levò la sua arma su lo Spagnuolo, giurandosi pronto a fargli lo stesso servigio che volea fare al selvaggio. Accortosene in tempo lo Spagnuolo, schivò il colpo con la pala che tenea fra le mani, perchè stavano allora tutti intenti ai lavori della campagna, indi riuscì a stramazzare quell’uomo brutale.

Accorse tosto in aiuto del suo compagno un altro Inglese che buttò per terra lo Spagnuolo. Com’è naturale, s’affrettarono a difendere l’uomo di lor nazione due Spagnuoli; indi il terzo Inglese piombò addosso a questi. Niuno in tale mischia aveva armi da fuoco o d’altra sorta che non fossero stromenti d’agricoltura, eccetto il primo Inglese che lavorava di segolo, ed il terzo sopravvenuto che, armato d’un mio stocco irruginito, mise a mal partito i due Spagnuoli e li ferì entrambi.

Fu una faccenda che pose nel massimo sconquasso l’intera famiglia, ed essendo allora giunti molti Spagnuoli in aiuto dei loro furono finalmente fatti prigionieri i tre Inglesi. Si cominciò indi a pensare che cosa si dovesse far di costoro. Aveano sì spesso disturbata la comunità, erano sì furiosi, sì irragionevoli e d’altra parte tanto disutili, che non si sapea come farla con uomini tanto ribaldi, ed i quali contavano sì poco il far male ai loro simili che da vero era un mal vivere con essi.

Lo Spagnuolo che sosteneva ivi gli uffizi di governatore, disse schietto a costoro che, se fossero stati del suo stesso paese, gli avrebbe fatti senz’altre cerimonie impiccare, perchè tutte le leggi e tutti i governi erano istituiti per la salvezza della società, e chiunque portava pericolo alla società ne doveva essere estirpato; ma che essendo Inglesi, e andando egli debitore della propria vita e liberazione alla generosità di un Inglese, voleva usare loro ogni possibile indulgenza, e conferiva quindi ai loro compatriotti (que’ due che passavano per buoni) l’arbitrio di giudicarli.

Un di questi due levatosi in piedi pregò per essere, lui e il suo compagno, dispensati da tale incarico.

— «Perchè, diss’egli, se stesse a noi il sentenziarli, non potremmo far altro che mandarli alla forca.»

E qui raccontò come Guglielmo Atkins uno dei tre ribaldi avesse fatta ai suoi compatriotti la proposta di unirsi insieme e accoppare tutti gli Spagnuoli mentre fossero addormentati.

All’udire questa bagattella il governatore spagnuolo si volse a Guglielmo Atkins.

— «Come, signor Guglielmo Atkins? volevate dunque accopparci tutti? Che cosa avete da rispondere a questa accusa?»

L’impudente mascalzone lungi dal negare il fatto, anzi disse:

— «Voglio essere dannato se non ci riusciamo prima che la sia finita.

— Bravo, signor Atkins! soggiunse il governatore. E che male vi abbiamo fatto perchè ci vogliate morti? E che cosa ci guadagnereste coll’ammazzarci? Or ditemi, che dobbiamo dunque far noi per impedirvi di scannarci? Dobbiamo lasciarci ammazzar da voi, o ammazzar voi? Perchè metterci a questo bilico, signor Atkins?»

E nel dir così lo Spagnuolo sorrideva, e serbava la massima calma. Il signor Atkins al vedere come lo Spagnuolo prendesse la cosa in ridere, era montato in tal rabbia che, se tre non lo avessero tenuto, e non fosse stato disarmato, era a credersi si sarebbe avventato al governatore, e lo avrebbe ucciso in mezzo all’intera brigata.

Questo disperato matto gli obbligò da vero tutti a meditare sul serio il partito da prendersi. I due Inglesi buoni e lo Spagnuolo che campò da morte il povero selvaggio, erano d’avviso si dovesse impiccare uno di que’ tre sgraziati per servire d’esempio agli altri, e impiccare a preferenza colui che avea tentato due volte di commettere un omicidio col suo segolo. Anzi vi era motivo di credere che, rispetto al selvaggio, l’omicidio non fosse stato unicamente tentato, perchè questo povero diavolo era sì malconcio dalla ferita ricevuta che dava ben poche speranze di vita. Ma il governatore spagnuolo fu di parere contrario.

— «No, egli disse; fu un Inglese l’uomo che ha salvate le vite di tutti noi; nè acconsentirò mai che un Inglese sia mandato alla morte, quand’anche avesse uccisa la metà dei nostri. Vi dirò di più: se avesse ferito a morte me stesso, e mi restasse il tempo di parlare, le ultime mie parole prima di morire sarebbero quelle del suo perdono.»

Questa sentenza fu sostenuta con termini tanto deliberati dal governatore, che non vi fu luogo ad opposizione. D’altra parte i partiti più misericordiosi, ove sieno perorati con tanta energia, sono sì atti a prevalere su gli animi, che tutti vennero nel parere del governatore. Bisognò nondimeno pensare alle maniere d’impedire a que’ tre sciagurati di fare il male che avevano divisato; perchè tutti sentivano, e il governatore esso pure, la necessità di prendere provvedimenti atti a salvare la società dai pericoli che la minacciavano.

Fu questo il soggetto di una lunga discussione, dopo la quale fu stabilito:

Che i tre colpevoli rimanessero disarmati, nè si lasciassero loro o moschetti, o polvere, o palle, o stocchi o altra sorta d’armi.

Che fossero espulsi dalla società, liberi per altro di andar a vivere laddove, e come avessero voluto, purchè niuno della società che li bandiva, o Spagnuolo o Inglese, conversasse con essi, parlasse loro o avesse con loro verun consorzio.

Proibito loro d’innoltrarsi fino ad uno stabilito raggio di distanza dal luogo ove abitavano gli altri.

Che se poi si fossero arrischiati a commettere qualunque sorta di disordini, come depredazioni, incendi, omicidi, guasti di campi, di piantagioni, di edifizi, siepi, o greggia spettanti alla società, sarebbero stati irremissibilmente uccisi e trattati come fiere, ovunque fossero stati colti.

Il governatore, uomo di viscere umanissime, dopo profferita una tale sentenza, si fermò un poco a pensarci sopra, poi voltosi ai due Inglesi buoni, disse:

— «Aspettate! bisogna considerare che ci vorrà un bel pezzo prima che possano da loro far nascere grano e allevarsi una greggia. Non è poi giusto che muoiano di fame, e conviene fornirli di vettovaglie.»

Fece pertanto aggiungere alla sentenza che si desse loro una quantità di biade proporzionata pel loro nudrimento e per la loro seminagione, al bisogno di otto mesi avvenire, nel qual tempo era a supporsi che sarebbero stati in caso di provvedersi da sè medesimi; che allo stesso fine si potessero menare via sei capre madri per mungerle, quattro capri, sei capretti. Furono parimente conceduti a costoro stromenti pei lavori della campagna, che furono sei accette, un pennato, una sega e simili attrezzi, col patto per altro di non averli in loro proprietà, finchè non avessero giurato solennemente di non valersi di essi a pregiudizio di veruno o Spagnuolo o loro compatriotta.

Così disfattasi di costoro quella comunità, lasciò che s’ingegnassero a trarsi d’impaccio come avrebbero potuto da sè medesimi. Essi partirono con le cere accigliate e malcontente di chi non vorrebbe nè andare nè rimanere; ma qui non c’era rimedio. Partirono dunque dando a conoscere l’intenzione di cercare un luogo ove collocarsi stabilmente; nè gli altri omisero provvederli di diverse cose, eccetto che d’armi.

Di lì a quattro o cinque giorni tornarono a lasciarsi vedere per chiedere alcune vettovaglie, e allora raccontarono al governatore ove avessero piantate le loro tende con l’idea di mettere ivi la propria abitazione e piantagione, luogo convenientissimo, per dir vero, e situato in una delle più remote parti dell’isola, molto più in là a greco (nord-est) da quel punto di terra che la providenza mi permise raggiugnere quando fui trasportato in alto mare, Dio solo sa dove, in quel matto mio tentativo di far costeggiando il giro di tutta l’isola.

Quivi si fabbricarono due capanne non prive di garbo, modellandole su la mia prima abitazione, il che riuscì loro tanto più agevole perchè il sito da essi prescelto era protetto da un lato dal fianco di un monte e già provveduto d’alberi da gli altri tre lati, onde col piantarne de’ nuovi poteano facilmente celarsi ad ogni sguardo, semprechè uno non avesse cercato studiosamente di scoprire la loro dimora. Avendo essi chieste alcune pelli secche di capra per farsene letti e coperte, le ottennero, oltre a diverse accette e stromenti di agricoltura, di cui gli altri coloni poterono spropriarsi, dietro sempre la parola formale data dai proscritti che non se ne sarebbero serviti a disturbare la quiete o a danneggiare le piantagioni degli altri. Ebbero pure e legumi e orzo e riso da seminare, in somma quanto mancava loro, fuorchè armi da offesa o munizioni.

Vissuti in questa segregata condizione sei mesi all’incirca, furono fortunati nel primo loro ricolto, benchè, atteso la poca area di terra che aveano posta a coltura, non comparisse di soverchio abbondante. E da vero, dovendo essi fondare affatto di nuovo la loro colonia, non avevano una piccola briga su le spalle. Quando poi vennero al punto di fabbricarsi da sè e tavole e pentole e stoviglie di simil natura, si videro del tutto fuor del loro elemento, e non vennero a capo d’alcuno di tali lavori. Anzi, sopraggiunta la stagione delle piogge, per non avere un luogo ove mantenere asciutto il grano, corsero grande pericolo che andasse a male, ciò che li pose in grave costernazione; laonde si raccomandarono agli Spagnuoli che volessero aiutarli nello scavare una grotta nel monte da cui erano spalleggiati. Acconsentirono questi di tutto buon grado, nè passarono quattro giorni che aveano terminata per quegli sgraziati una grotta ampia abbastanza per custodirvi e riparar dalla pioggia il grano e quant’altre cose volevano. Ad ogni modo questa grotta era una gran meschina cosa, almeno a paragone della mia, soprattutto dopo che gli Spagnuoli l’aveano grandemente ampliata e fatti dentro essa novelli spartimenti.

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