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Traduzione dall'inglese di Gaetano Barbieri (1842)
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Migrazione de’ tre mascalzoni e inaspettato loro ritorno.
alle prime bricconate commesse dianzi, non solo recò gran danno ad essi, ma poco mancò non fosse la rovina dell’intera colonia. Cominciati, sembra, a stancarsi della vita affaticata che conducevano, nè sperando di migliorare così la propria condizione, saltò a costoro il ghiribizzo d’intraprendere un viaggio a quel continente donde approdavano i selvaggi nell’isola, e provare se fosse ad essi riuscito l’impadronirsi d’alcuni de’ prigionieri fatti da que’ nativi, indi condurseli a casa per incaricarli poscia della parte più gravosa delle loro fatiche.
Il disegno non potea dirsi cattivo, se si fossero tenuti entro questi limiti; ma coloro non facevano e non pensavano cosa in cui non fosse alcun che di tristo o nel divisamento o nell’esito; e, se mi è lecito il profferire qui la mia opinione, viveano propriamente sotto l’influsso della maledizione celeste. Di fatto, se non ammettessimo una manifesta maledizione che castigasse i manifesti delitti, come altrimenti potremmo conciliare gli eventi con la divina giustizia? Fu del certo un’apparente punizione dei loro precedenti atti di ammutinamento e di pirateria quella che li trasse allo stato in cui si trovavano. Nè contenti a non mostrare il menomo rimorso per le antiche colpe, aggiunsero ribalderie a ribalderie, siccome fu l’orrida crudeltà di percuotere con un’accetta quel povero schiavo non reo d’altro che di non aver eseguito a dovere, o forse non inteso il comando datogli, e percuoterlo in modo da lasciarlo storpio per tutta la vita in un luogo ove non si trovavano nè medici nè chirurgi che potessero curarlo; e il peggio si era che fu questo, quanto all’intenzione, un vero assassinio, come era stato il disegno pattuito in appresso fra loro di trucidare a sangue freddo tutti gli Spagnuoli mentre dormivano.
Ma lasciamo da banda le osservazioni e torniamo alla nostra storia. I tre furfanti per mettere in opera il loro disegno ricorsero ad un sutterfugio; onde venuti una mattina all’abitazione degli Spagnuoli, chiesero con modi i più umili di essere ascoltati. Secondata di tutto cuore dagli Spagnuoli la loro inchiesta, ecco le cose che esposero:
— «Da vero non possiamo durarla alla vita che facciamo. Noi non siamo abili al lavoro abbastanza per procurarci da noi le cose di cui manchiamo, e privi d’aiuto prevediamo che un dì o l’altro morremo di fame. Se voi vorreste lasciarci uno de’ vostri canotti, entro cui potessimo imbarcarci e fornirci armi e munizioni proporzionate al bisogno della nostra difesa, noi imprenderemmo un viaggio al continente per cercare ivi se ne riuscisse di avere più buona fortuna. Così anche voi sareste liberi dalla molestia di farci novelle sovvenzioni di viveri.»
Certamente non pareva una disgrazia agli Spagnuoli il liberarsi da questi galantuomini; pure, onesti com’erano, non si stettero dal fare ad essi rimostranze, tutte intese al loro meglio.
— «Figliuoli, voi volete correre in braccio alla vostra distruzione. Nel paese ove vi prefiggete di andare abbiamo passati troppi disastri per potervi pronosticare senza spirito di profezia, che ci morrete o affamati o scannati. Pensate bene ai casi vostri.
— Qui già, replicarono audacemente i mascalzoni, morremmo di fame sicuramente, perchè non abbiamo nè forza nè volontà di lavorare. Il peggio che possa accaderne e morir di fame anche dove andremo. Se poi ci ammazzano, la morte fa finire tutte le disgrazie. Noi non abbiamo nè donne nè ragazzi che ci piangano dietro. In somma (soggiunsero rincalzando con insistenza la loro inchiesta), se acconsentite alla nostra domanda, bene; se no, andremo anche se non ci date armi.
— Quando poi siate così risoluti di andarvene, soggiunsero gli Spagnuoli con la massima cortesia, non permetteremo che partiate ignudi ed in istato da non potervi difendere. E benchè d’armi da fuoco non nè abbiamo troppe nemmeno per noi, nondimeno vi daremo due moschetti ed una pistola, cui aggiungeremo una spada piatta e a ciascuno di voi una scure, che è quanto dovrebbe bastarvi.»
In una parola, costoro accettarono l’offerta. Gli Spagnuoli fecero cuocere per essi tanto pane, quanto basterebbe per un mese, li provvidero di carne di capra per quel tempo che potea mantenersi fresca, di un gran paniere di zibibbo, di un vasto recipiente d’acqua dolce oltre ad un capretto vivo; indi i tre Inglesi arditamente si avventurarono sopra un canotto ad una traversata di quaranta miglia a un dipresso di mare.
Il canotto era sì ampio che avrebbe servito a trasportare quindici o venti uomini, troppo grosso anzi per essere governato da tre soli uomini. Nondimeno aveano per sè buon vento e alta marea, onde i presagi del viaggio apparvero felici abbastanza. D’un lungo palo si aveano formato l’albero, ed una vela con quattro pelli di capra secca, non so se cucite o connesse insieme con stringhe. Si mostrarono bastantemente allegri nell’andarsene, e gli Spagnuoli dissero loro ben volentieri buon viaggio; nè alcuno dell’isola si aspettava di tornarli a vedere mai più.
Gli Spagnuoli andavano spesse volte facendo considerazioni, or fra loro or co’ due Inglesi buoni rimasti addietro, su la vita piacevole e tranquilla che si conducea da che quegl’inquieti cialtroni se n’erano andati, perchè che questi tornassero addietro era la cosa più lontana di tutte dalla loro immaginazione. Pare a voi! dopo ventidue giorni d’assenza un de’ due Inglesi rimasti che era fuori ai lavori della sua piantagione, vede in distanza venirsi in verso tre stranieri armati.
Corso addietro in fretta, come se avesse veduto il diavolo, l’Inglese si presentò tutto spaventato ed attonito al governatore spagnuolo.
— «È finita, gli disse, per noi, perchè ho veduto tre stranieri sbarcati nell’isola; non so poi dire chi sieno.
— Come sarebbe a dire? rispose dopo una breve pausa il governatore. Non sapete chi sieno? sicuramente selvaggi.
— No, no; uomini vestiti ed armati come noi.
— Di che cosa dunque vi prendete fastidio? soggiunse lo Spagnuolo. Se non sono selvaggi, bisogna credere che sieno amici. Evvi sopra la terra nazione cristiana che nel caso nostro non volesse farci del bene anzichè del male?»
Mentre s’intertenevano in tale discussione arrivarono i tre noti viaggiatori che, fermatisi fuor del bosco piantato recentemente, si diedero a chiamar per nome gli altri coloni. Riconosciutene tosto le voci il primo stupore cessò, ma un altro diverso ne subentrava. Come andava questa faccenda? Qual motivo aveva indotti costoro a tornare indietro?
Non passò molto prima che fossero introdotti e richiesti dove fossero andati, che cosa avessero fatto. Un di loro diede in poche parole il compiuto ragguaglio di tutta questa spedizione.
In due giorni o poco meno furono a veggente della terra che cercavano; ma accortisi che i nativi posti in agitazione dalla loro comparsa, preparavano archi e dardi per combatterli, non ardirono approdare, e veleggiarono per sei o sette ore verso tramontana, finchè giunti ad una grande imboccatura si avvidero che ciocchè stando nella nostra isola prendevano per un continente era un’altra isola. Appena entrati in questo canale videro una nuova isola a mano destra, a tramontana, e parecchie altre a ponente. Risoluti di approdare ad ogni costo a qualche spiaggia, si trassero ad una di quelle isole più occidentali, ove coraggiosamente sbarcati, trovarono una popolazione assai cortese e sociabilissima, perchè li regalò tosto di molte radici e di un poco di pesce secco. Anzi le donne, non men degli uomini, si affrettavano ad andare in traccia di cose buone a cibarsene e a portarle di lontano su le proprie teste agli approdati stranieri.
Questi rimasero colà quattro giorni, durante i quali, informatisi siccome meglio il potevano per segni su le nazioni che abitavano qua e là in quelle spiagge, udirono come parecchie feroci e terribili genti vivessero da per tutto in que’ dintorni, gente che, come quei selvaggi fecero capire a cenni, mangiavano gli uomini. Essi per altro diedero loro a comprendere di non mangiar mai uomini o donne, fuorchè presi in guerra; allora sì, confessarono, che faceano grande gozzoviglia e mangiavano i loro prigionieri.
Gl'Inglesi chiesero quando sarebbe che farebbero un banchetto di simil natura. I selvaggi risposero che ciò sarebbe avvenuto di qui a due lune, accennando la luna e con le dita il numero due; che il loro gran re aveva allora duecento prigionieri da lui fatti in guerra, e ch’essi nudrivano perchè fossero ben grassi al momento del prossimo banchetto. Gl’Inglesi mostrarono forte desiderio di vedere quegli sgraziati; curiosità che fu frantesa dagl’isolani, i quali credettero che gli stranieri bramassero averne non so quanti per portarseli via seco e mangiarseli. Come intesero dunque, risposero additando la parte del tramonto e la parte del nascer del sole. Ciò volea dire che nella seguente mattina avrebbero recato loro alquanti di questi prigionieri. Di fatto la mattina tratti fuori del loro chiuso undici uomini e cinque donne, ne fecero presente agl’Inglesi, affinchè se li menassero seco nel viaggio, nella stessa maniera onde noi condurremmo al porto d’una città mercantile un branco di vacche e di buoi per provvedere un bastimento.
Quantunque brutali e disumani si fossero mostrati verso i loro compagni que’ tre malandrini, i loro stomachi a tal vista si rivoltarono. Ma in tal caso non sapeano troppo a qual partito appigliarsi. Ricusare i prigionieri sarebbe stato il più alto affronto che potesse farsi alla selvaggissima cortesia di que’ donatori; mostrarsi grati al dono nella maniera che questi s’immaginavano, no vivaddio! In fine dopo qualche discussione decisero di accettare il dono e offrire in contraccambio ai selvaggi un’accetta, una chiave frusta, un temperino, sei o sette palle da moschetti, delle quali cose, benchè non ne conoscessero l’uso, i presentati mostrarono compiacersi assaissimo; laonde legate le mani di quelle povere creature, le trascinarono nel canotto dei nostri navigatori, che si videro alla necessità di salpare alla presta. Perchè certo, se avessero indugiato niente niente, coloro da cui veniva un così nobile donativo si sarebbero aspettati che i tre stranieri si mettessero a fargli onore col macellare due o tre di quegli animali uomini, convitando in oltre i donatori al banchetto.
Si congedarono dunque dai selvaggi abbondando con essi di tutti quegli atti di rispetto e di ringraziamento che possano praticarsi fra due bande di persone, nessuna delle quali è buona d’intendere una sola parola che venga pronunziata dall’altra. Dato indi vela, tornarono addietro dirigendosi alla prima isola che vedeano. Quivi sbarcati, misero in libertà otto di que’ prigionieri, perchè tutti al bisogno loro erano troppi.
Durante il viaggio, s’ingegnarono di porsi in qualche comunicazione co’ prigionieri conservati; ma era impossibile il fare capire ad essi veruna cosa. Quanto venisse detto o somministrato loro o fatto per loro, quegli infelici lo aveano per un apparecchio di morte. Prima di tutto gl’Inglesi gli sciolsero; le povere creature si diedero ad urlare, massimamente le donne, come se già si sentissero il coltello alla gola. Veniva dato ad essi del cibo? Era lo stesso: ciò si facea, secondo loro, per paura che smagrissero troppo e divenissero men atti al proposito di cucinarli. Qualcuno di essi si vedea guardato con qualche occhio di parzialità? Si scandagliava qual di loro fosse più grasso per farlo primo nel macellarlo. Ogni giorno si vedeano trattati anche meglio e più affabilmente, ogni giorno s’aspettavano sempre più di divenire l’imbandigione del pranzo o della cena dei novelli loro padroni.
Qui stava l’intero sunto del viaggio di que’ tre navigatori.