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Era tolto di fasce Ercole appena Se dell'Indegno acquisto
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni eroiche di Gabriello Chiabrera


XVI

per lo medesimo.


Benché tra’ monti solitaria insegni
     Savona a’ figli suoi battendo i remi
     Intra perigli estremi,
     Merce raccòr da fortunati regni,
     Ond’ella di ricchezza in pregio ascenda,
     E per nobile industria aurea risplenda.
Io non per tanto singolar da loro
     Varco di Pindo a' porti almi, e soavi;
     Indi sciolgo mie navi
     Carche di paline, e d’immortale alloro;
     E con povera man ne fo felici
     I cor d’onore e di virtude amici.
S’io già del Tebro, e del gran Po sul corno
     Mirar mi feci, e del Metauro all’onde,
     E sulle vaghe sponde
     Di Dora impressi alte vestigia; or torno
     D’Arno famoso alle dirette rive
     Carco di cetre, e di bell'arpe argive.
Qui fra solinghe Ninfe, il crin cosparte
     Di gigli, e d’ostro, a lor sì cari fregi,
     Ammirabili pregi
     D’un Medici vo'dir, ramo di Marte,
     Per cui nel mezzo d’altrui danni, ed onte
     Pur tiene Italia nostra alta la fronte.
Quando nell’alto Ciel sue rote adduce
     Cimmeria notte, e l'Universo imbruna;
     Allor dell’alma Luna
     Mirasi chiara fiammeggiar la luce
     E suoi lampi virtù vibra da lunge,
     Quando tetra viltà seco s’aggiunge.
Quinci fra'nembi, onde pur dianzi in guerra
     S’avvolse il cor delle Tedesche gentij
     Noi rimirando ardenti
     Uscir tuoi raggi a rallegrar la terra,
     Portiam la guancia di letizia impressa;
     O forte a sollevar l'annonia oppressa.
Or di questo non più. Gaudio s’appresta
     Per noi più grande: eserciti infiniti,
     Crude strida, nitriti
     Ecco empion ogni piaggia, ogni foresta;
     Scuotonsi i monti, e par che il Ciel ne cada,
     Ma ciò fia messe alla tua nobil spada.
Non paventar: su dall’eteree cime
     Al fin calpesta gli empj il gran Tonante;
     Pongonsi mostri avante
     Alla virtù, che ha da venir sublime;
     Odi la bella Clio, che d’aurei detti
     Tiene ha le labbra, e n’arricchisce i petti.
Che un tempo armasse, ella non canta in vano,
     L’alma Acidalia il peregrino Enea;
     Nè che la tomba Etnea

     Di fumo empiesse, e di sudor Vulcano,
     Quando temprare infra’ Ciclopi il vide
     L'usbergo celebrato al gran Pelide.
Tal ha cosparto di fulminei rai
     Scelto scudo per le salda difesa;
     Sì nella sacra impresa
     Contro superbi quasi turbo andrai,
     Che suona da lontan su rigid'Alpe,
     O mar che atroce inonda Abila, e Calpe.
Come scorgendo grandinose i grembi
     L’Iliadi ornar la region stellata
     Con destra alta infocata
     Fulmina Giove adunator di nembi,
     E fece Olimpo, o di Tifeo sul fianco,
     E ciascun'alma di terror vien manco.
Tal per la Fé che in Vatican s'adora,
     Feroce avventerai folgori, e tuoni;
     Ed io fra danze e suoni,
     Inebbriato il sen d’onda canora,
     Vestirò piume a celebrar l'assalto,
     Ne darò nomo al mar, volando in alto.

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