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XXVIII. Misero me, ch’io non oso mirare
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XXVIII.


Misero me, ch’io non oso mirare
     Gli occhi ne’ quali stava la mia pace;
     Però che, come il ghiaccio si disface
     Al sol, così mi sento il cor disfare
     Per soverchio disio nel riguardare:5
     Et, s’altro miro, tanto mi dispiace,
     Ch’un giel noioso vienmi, il qual mi face
     Di morte spesse volte dubitare.
Tra questi extremi sto, né so che farmi:
     O arder tutto lor mirando fiso,10
     O di freddo morire altro guardando.
     L’un1 mi duol men, ma troppo grave parmi
     Da cui salute spero esser ucciso,
     Et più duro mi par morir guardando.

  1. Uno dei due extremi: quello, cioè, indicato nel v. 10.


Note

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