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LE DONNE VENETE
che inviano per la emigrazione uno stipo di vezzi.
Barca che passi vigile e furtiva
L’onda fatai del fiume di Virgilio,
Recaci questi vezzi all’altra riva,
Riva gioconda, e pur riva d’esilio.
Colà ci parve udir come un lamento
Di nota voce languida per fame,
Che vereconda dimandasse a stento
La carità d’un obolo di rame;
E noi venimmo rapide col pondo
Lieve di questa piccioletta offerta;
Poi che ci pose a la miseria in fondo
La bieca Signoria che ne diserta.
Giacchè il nipote d’Attila che impera
Legislator d’assidüe rapine,
Presago che il suo regno è giunto a sera,
L’ultima gemma ne torría dal crine.
A noi meschine in questi dì supremi
Fra la speme e lo spasimo ondeggianti
Non si confanno anelli o dïademi,
Perle non si confanno o dïamanti:
Abbiam catene in cambio di smaniglie,
La fune al collo in cambio di monili;
Le nostre fronti gocciano vermiglie
Sotto un serto di rie spine servili.
Ma ormai già spunta un fior di libertade
Dai nostri serti d’alemanne spine;
Ma coi ceppi si temperano spade
Nel misterio di venete fucine:
E se avverrà che una funèbre sera
Suoni i secondi Vesperi, siccome
Fecer le donne di Messina arciera,
Noi pur, se giova, taglierem le chiome;
E con le trecce dei capelli neri
Tenderem corde da avventar saette,
Da avventarle nel cor degli stranieri,
Bersaglio eterno all’itale vendette....
Vela la nebbia de le stelle il lume;
Va’, barcaiolo, e ti compensi Iddio:
Varca furtivo di Virgilio il fiume;
Va’, generoso barcaiolo; addio.
Brescia, 2 febbraio 1860.