< Canti (Leopardi - Donati)
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I nuovi credenti
XL. Dal greco di Simonide Note

I NUOVI CREDENTI



     Ranieri mio, le carte ove l’umana
vita esprimer tentai, con Salomone
lei chiamando, qual soglio, acerba e vana,
     spiaccion dal Lavinaio al Chiatamone,
5da Tarsia, da Sant’Elmo insino al Molo,
e spiaccion per Toledo alle persone.
     Di Chiaia la Riviera, e quei che il suolo
impinguan del Mercato, e quei che vanno
per l’erte vie di San Martino a volo;
     10Capodimonte, e quei che passan l’anno
in sul Caffé d’Italia, e in breve, accesa
d’un concorde voler, tutta in mio danno
     s’arma Napoli a gara alla difesa
de’ maccheroni suoi; ch’ai maccheroni
15anteposto il morir, troppo le pesa.
     E comprender non sa, quando son buoni,
come per virtú lor non sien felici
borghi, terre, province e nazioni.
     Che dirò delle triglie e delle alici?
20Qual puoi bramar felicitá piú vera
che far d’ostriche scempio infra gli amici?
     Sallo Santa Lucia, quando la sera,
poste le mense al lume delle stelle,
vede accorrer le genti a schiera a schiera,

     25e di frutta di mare empier la pelle.
Ma di tutte maggior, piena d’affanno,
alla vendetta delle cose belle
     sorge la voce di color che sanno,
e che insegnano altrui dentro ai confini
30che il Liri e un doppio mar battendo vanno.
     Palpa la coscia, ed i pagati crini
scompiglia in su la fronte, e con quel fiato
soave, onde attoscar suole i vicini,
     incontro al dolor mio dal labbro armato
35vibra d’alte sentenze acuti strali
il valoroso Elpidio; il qual beato
     dell’amor d’una dea che batter l’ali
vide giá dieci lustri, i suoi contenti
a gran ragione omai crede immortali.
     40Uso giá contra il ciel torcere i denti
finché piacque alla Francia; indi veduto
altra moda regnar, mutati i venti,
     alla pietá si volse, e conosciuto
il ver senz’altre scorte, arse di zelo,
45e d’empio a me dá nome e di perduto.
     E le giovani donne e l’evangelo
canta, e le vecchie abbraccia, e la mercede
di sua molta virtú spera nel cielo.
     Pende dal labbro suo con quella fede
50che il bimbo ha nel dottor, levando il muso
che caprin, per sua grazia, il ciel gli diede,
     Galerio, il buon garzon, che ognor deluso
cercò quel ch’ha di meglio il mondo rio,
che da Venere il fato avealo escluso.
     55Per sempre escluso: ed ei contento e pio,
loda i raggi del dí, loda la sorte
del gener nostro, e benedice Iddio.
     E canta; ed or le sale ed or la corte
empiendo d’armonia, suole in tal forma
60dilettando se stesso, altrui dar morte.

     Ed oggi del suo duca egli su l’orma
movendo, incontro a me fulmini elice
dal casto petto, che da lui s’informa.
     — Bella Italia, bel mondo, etá felice,
65dolce stato mortal! — grida tossendo
un altro, come quei che sogna e dice;
     a cui per l’ossa e per le vene orrendo
veleno andò giá sciolto, or va commisto
con Mercurio ed andrá sempre serpendo.
     70Questi e molti altri, che nimici a Cristo
fûro insin oggi, il mio parlare offende,
perché il vivere io chiamo arido e tristo.
     E in odio mio, fedel tutta si rende
questa falange, e santi detti scocca
75contra chi Giobbe e Salomon difende.
     Racquetatevi, amici. A voi non tocca
dell’umana miseria alcuna parte,
che misera non è la gente sciocca.
     Né dissi io questo, o se pur dissi, all’arte
80non sempre appieno esce l’intento, e spesso
la penna un poco dal pensier si parte.
     Or mia sentenza dichiarando, espresso
dico, ch’a noia in voi, ch’a doglia alcuna
non è dagli astri alcun poter concesso.
     85Non al dolor, perché alla vostra cuna
assiste, e poi sull’asinina stampa
il piè per ogni via pon la fortuna.
     E se talor la vostra vita inciampa,
come ad alcun di voi, d’ogni cordoglio
90il non sentire e il non saper vi scampa.
     Noia non puote in voi, ch’a questo scoglio
rompon l’alme ben nate; a voi tal male
narrare indarno e non inteso io soglio.
     Portici, San Carlin, Villa reale,
95Toledo, e l’arte onde barone è Vito,1
e quella onde la donna in alto sale,

     pago fanno ad ogni or vostro appetito,
e il cor, che né gentil cosa, né rara,
né il bel sognò giammai, né l’infinito.
     100Voi prodi e forti, a cui la vita è cara,
a cui grava il morir; noi femminette,
cui la morte è in desio, la vita amara.
     Voi saggi, voi felici: anime elette
a goder delle cose: in voi natura
105le intenzioni sue vide perfette.
     Degli uomini e del ciel delizia e cura
sarete sempre, infin che stabilita
ignoranza e sciocchezza in cuor vi dura:
     e durerá, mi penso, almeno in vita.

  1. [p. 171 modifica]«onde barone è Vito». — Celebre venditore di sorbetti, che, divenuto ricco, comperò una baronia e fu domandato il barone Vito (Nota di Antonio Ranieri).


Note

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