< Canti (Sole)
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Il negro
Sorrento o Torquato Tasso Ad una stella

IL NEGRO




Polve è la man che sulle curve spalle,
     Povero schiavo, t’imponea la grave
     Soma che duri, e tu, fremente e bello
     Di giovinezza eterna, ancor di lenti
     Sguardi saetti e disperati il cielo.5
     Come l’Arte volea, penar t’è duopo
     Durabilmente; ed ogni età che passa,
     Ti vide indarno, o vittima deserta
     Pria de l’uom poi de l’Arte! E te velaro,
     Te misero locato a tanto affanno,10
     D’epidermide d’òr, perchè più vago
     Spettacol si abbian le beate sale.
     Sovra i muscoli tuoi, per l’anelante
     Nudo torace, tremula balena
     Dei candelabri la rifratta luce,15
     E armoniosa ti ricorse intorno
     La canzon de’ felici, e l’odoroso
     Turbine de la danza: e tu, solingo
     Eternamente, eternamente muto,
     Sotto il tuo carco ti contorci, e fremi!20
     E ripensi, anelando, ai soli ardenti
     Dei tuoi deserti, e de’ leoni al cupo
     Lungo ruggito. A voi, torride rupi,

     A voi, purpuree nuvole, da tanti
     Secoli, e invan, questo infelice anela!25
     E triste e fero d’una man contiensi
     Le costole scoppianti, e puntellando
     L’empia soma coll’altra, ansa, e riprova
     D’una sull’altra spalla il travagliante
     Granito eterno. Ma le gonfie sure,30
     Ma i femori depressi, e per le curve
     Tibie portanti i tendini convulsi,
     Ti apprenderan come sapria costui,
     Sciolto ch’ei fosse, rilevarsi a fronte
     Dei suoi padroni. Così forse un tempo35
     Vide l’artista i tuoi fratelli, o fosco
     Figlio del Sol, per l’Itale marine:
     Quando stridean le splendide galèe
     D’empie catene, e per le nivee spume
     Battean la voga de la strage ignude40
     Braccia d’ebano e petti invidi indarno
     De l’indomito mar! Per l’aurea sera
     Disperata correa de’ remiganti
     La selvaggia canzon verso i lontani
     Regni del sole; onde movea diversa,45
     Ma più triste canzon da le profonde
     Torri del Saraceno! Ivi gemea
     L’Italo schiavo, sospirando invano
     Ai sereni de l’Alpi, e del soave
     Organo d’una chiesa al vespertino50
     Lungo lamento! Ma l’insania antica
     Che l’occaso partia da l’Oriente,
     Cessava; e tutti ricordâr di un biondo

     Giovane Galileo che de lo schiavo
     Il guinzaglio disciolse, e gloriosa55
     Parve la fronte del vagante Adamo,
     Da qual prode si giri al gran paese
     De la promessa. — O generosa donna,
     Di queste inclite sale ospite bella:
     Su quel granito secolar deponi60
     Schiuso il volume degli eterni veri;
     Sì che al contatto de le sante carte
     La tavola s’infranga, e il mesto Atlante
     De la sua lunga oppression respiri;
     O per le veglie clamorose almeno65
     Su le memorie dei dolori antichi
     Splenda il segnal de le venture gioie.

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