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NOTE
alla seconda edizione
Ci sono parolette che mal s’intendono. È vero. Sono, in vero, proprie dell’agricoltore; e chi non è agricoltore, non le sa; sono vive ancora, dopo tanti secoli, su queste appartate montagne; e chi in queste montagne non è stato, crede che siano parole morte, risuscitate per far rimaner male lui. Ma no, non per codesto io le rimetto in giro; bensì, ora per amor di verità, ora per istudio di brevità. I miei contadini e montanini parlano a quel modo, e parlando a quel modo parlano spesso meglio che noi, specialmente quando la parola loro è più corta, e ha l’accento su la sillaba radicale, sicchè s’intende anche a distanza, da colletto a colletto, e fa il suo uffizio da sè e non ha bisogno dell’aiuto d’un aggettivo o d’un avverbio. Sì: lo scrittore o dicitore che spende due parole per un’idea sola è come l’uccellatore che spreca due cartuccie per un solo pettirosso, e non lo coglie.
E c’è un altro perchè. I non toscani, per via dell’educazione scolastica, ripudiano, sempre e in tutto, il loro vernacolo, credendo ch’esso sia al bando della letteratura. Io voglio mostrar loro che possono, molto spesso, usare bellamente e rettamente in italiano vocaboli del loro, a torto ora prediletto ora spregiato, linguaggio materno; sia perchè quei vocaboli sono comuni al parlar toscano, vivo e puro, dei monti: sia perchè sono necessari o almeno utili, pur non essendo toscani. Cito ad esempio, per il primo rispetto, la parola schiampa o stiampa, che un buon romagnolo si periterebbe d’usare, scrivendo o dicendo per il pubblico; e per il secondo, il bellissimo vede svede, che un buon siciliano non oserebbe, credo, tradurre così per gli altri italiani che pure hanno bisogno di tanto breve e chiara espressione.
A ogni modo, ecco una lista di parole che posso supporre ignote a questo o quello de’ miei lettori.
accia. Lino o canapa filata, in matassa.
accoccare. Fermare la gugliata alla cocca del fuso.
accollare. Piegar la vite per legarla.
accorare. " Giungere al cuore „ anche senza l’idea di male, anche senza l’idea del coltello.
Alpe. Le alte montagne.
anta. Imposta d’una porta o finestra.
appietto. Del tutto, a finire, senza scelta.
arsita. Prosciugata.
arzillo. Frizzante. Si dice spesso del vino.
aspro. Reso scabro o ruvido dal sole. Donde asprura, quando l’erba è secca, e vi si scivola su.
astile. Veramente stilo. Manico della vanga.
avvinare. Sciacquare... ma col vino. Non lo fanno i bevitori per pulizia, veramente, ma, come dicono, per far perdere al bicchiere il sapor dell’acqua.
azzeccare. Mordere.
bardella. Un sacco o altro, con paglia o fieno, per servir di riparo alla nuca e al collo sotto il carico.
begetto. Piccolo baco o begio. bestie. Proprio bestie sono le vacche.
Bi e Ro. Grido dei contadini romagnoli ai due bovi, quel di dritta e quel di mancina.
bono. Far bono vale far pro', o prode, come meglio si dice.
bresche. Favi di miele.
brolo. Parola antica, che vale verziere o vivaio di piante, conservata dai romagnoli che peraltro dicono brôi.
bronzino. Campanello di bronzo.
campanello (campare a). Senza lavorare, dando di piglio al campanello, quando si vuol qualcosa.
campàno. Quello che si attacca al collo delle bestie.
cannaiola. Bastone per fare la graticciata su cui metter le castagne a seccare nel metato.
capparone. Capanna per ricoverarvi fronde, paglia, fieno ecc.
cardo. Il riccio delle castagne.
carraiola o carraietta, da callaia. Viotterello pei monti.
cavestro. Fune per legar le bestie e anche i carichi.
ceppa. L’insieme dei novelli al calcio dei castagni.
cestinella. Cesta di bacchi o bacchietti, cioè torchi, di castagno, per portare il rusco.
Chioccetta. Nome contadino delle Pleiadi: vedi Mercanti.
cicchin cicchino. Piccolino.
ciulire. Cigolare, presso a poco.
cocco. Ovo. Il preferito.
collo (portare in). Si dice di uomini che portano carichi. Le donne portano “in capo„
coltare. Scassare.
concino. L’uomo che riconcia stoviglie e simili.
contendere. Sgridare. crinella. Una cesta, rada, di salcio (torchi o vinchi) a uso di portar fieno e erba ecc.
croccolare. Il verso della gallina quando vuol far l’uovo o della chioccia quando guida i pulcini. Si dice anche del vino quando si versa dal fiasco senza tromba.
cuccare. Tagliare tutti i rami a una pianta.
cuccolo. Bocciuolo.
diluvio. Sorta di rete bestiale per pigliar molti uccelli.
dolco. Morbido.
esporsi. Porre il carico su un poggetto per riposarsi un poco, e riprenderlo subito comodamente.
faccende. È opposto, mi pare, dai contadini assai spesso a roba. Tempo delle faccende, tempo della roba.
“farlotti„ Parola romagnola. In questi monti si dice verlorotti. I piccoli delle averle o verle o verlette.
fradicio. Bagnato, zuppo.
fràngolo. Che facilmente si stritola o rompe.
frondaio. Mucchi di fronde che fa il vento nel verno.
frullana. Falce fienaia.
furigello. (follicellus). Bozzolo.
gente. Molto usato per un plurale indeterminato: “gente lo sa„ per dire “si sa„ ma “da più„
godi. Scompartimenti. Detto anche, per esempio, della noce che ha più godi separati dal forcellone o dai tragòdi.
gracilare. Presso a poco, come croccolare. Ma c’è più sforzo. È un verso più lungo, quasi penoso.
grasce. Le così dette " regalie „ che i contadini devono ai padroni in più del raccolto: uova, galline, capponi, galletti. grispollo. Non vale come grappolo, ma parte di grappolo. Il grappolo o pigna ha tanti grispolli, il grispollo tanti chicchi. Grappolo anzi vale per pigna bensì, ma piccola e rada. “Quest’anno non c’è che grappoli„ vuol dire che l’uva è poca.
gronchio. Intormentito. Si dice, per esempio, delle mani, quando uno si desta.
gruppi. Giorni di freddo e di cattivo tempo, prima che si sia fuori del verno.
guaìme. Secondo fieno.
guamacci o guaimacci. Terzo e anche secondo fieno, detto così spregiativamente.
guindolo. Arcolaio.
incaschito. Uno che ha fatto un casco, ossia s’è d’un tratto invecchiato, ammalazzito.
indafarito o indafarato. Pieno di faccende.
intarmolire. Fare il tarmolo.
ire. Si può dire che il verbo “andare„ non esiste quassù, almeno nel senso nostro.
legoro. Il fiore della canape, che si avvolge alla rócca, cioè s’arrocca.
leo leo. Piano piano.
lolla. Pula o pulacchio.
màcole. Baccole: vaccinia nigra.
mamai (in). Lontano lontano.
mannella. Una quantità di stoppa o tozzi.
mazzo. Lo strumento di legno duro, cerchiato di ferro, con cui si picchia su la zeppola o bietta.
Mercanti. Così lo Zi Meo e tutti chiamano le stelle della cintura d’Orione.
metato. Seccatoio delle castagne. miccetto. Asinello, ciuchino.
molgere. Mungere.
mucido o muscido. Muffa.
nettare (pag. 76). Sbrattare. Andarsene.
nimo o nimmo. Nessuno.
Oceàno. Così pronunzia lo Zi Meo e tutti quanti.
opre. “Le opere enno buone o cattive, secondo che si fanno. Le opre son quelle che vengono a lavorare„ Zi Meo.
pannello. “Grembiale è quello che ci si colgon le castagne. Pannello è quello che portan le donne„ Zi Meo.
passaggio. La traversata del mare.
paternostri. Erbaccia con la radice fatta a chicchi di corona.
penero. Frangia.
pennato. Strumento con cui si pota e taglia.
pensiere. Cappiettino per regger la rócca.
picchiare. Così senz’altro, levar le buccie alle castagne secche.
pigliare (le gambe pag. 51). Andar via.
(la zeppola pag. 49). Lasciare che entri.
pigna. Grappolo, ma grande saldo unito.
potere (un carico). Reggerlo.
prata. Così, per prati.
prillare. Dar il giro al fuso.
ranella. Raganella.
rappa. Spiga e anche pannocchia.
redo. Vitello.
riessere. Bell’uso del ri- a risparmiare un “anche„, un lungo e brutto “a sua volta„.
rimastico. Il ruminare. rimessa (pag. 10 e 51). La provvista.
rimettere. Fare le rimesse.
rintombare. Si dice quando il tempo si chiude e vien buio.
riscoppiare. Delle piante, quando rimettono dopo essere state cuccate.
roba. Vedi faccende.
ròccia. Spazzatura. Immondezza.
rugliare. Urlare. Sonare cupo.
rugnare. Grugnire.
rumare. Frugare.
Santo Pescatore. Sant’Andrea. Il 30 novembre è il termine per la licenza.
saracco. Sega col manico, senza corda, fatta come una coltella.
sbisciare. Guizzare come le bisce.
sbozzolato. Levato dalla frasca.
scentare. Tagliare, per esempio, il bosco del tutto, perchè riscoppi.
scerbare. Sradicare.
schiampa o stiampa. Schiappa o Stiappa.
schiacciare. “Schiacciare, si schiaccia la ghiara, schicciare, si schiccian le noci„ Zi Meo.
schiocchi o stiocchi. Scoppi.
sciàmina. Erba cattiva.
sciurìno. Ventarello fresco.
scurire. Imbrunire.
seme (la). Non il seme, se è tanti semi.
sericcia. Né buio né giorno.
sfare. Il contrario di “fare„ non sempre il sinonimo di “disfare„
sodo. Del campo, quando non è ancor lavorato. solivo. Solatìo.
soppiano o suppiano. Specie di madia per metterci grano e granturco.
sornacchiare. Ronfare, russare.
spianto. Squillo.
statina. L’estate al suo principio.
stendìno. Una fucina dove è il maglio che distende il ferro.
stiglia. Scheggia fina e lunga.
stioccare o schioccare. Il colpo secco della folgore, della frusta etc.
stradare. Continuare la sua strada.
strino. Bella parola (da strinare) per dire “peronospora„
strinto. Stretto, ma solo come participio.
strusciare. Strisciare, presso a poco.
svedere. Siciliano, nella frase vede e svede.
tarmolo. La polverina a cui si riduce il legno marcio.
telare. Andar via rapidamente.
telo. (pag. 93) Un pannolino o pannicello che si mette ai bimbi per belluria.
tiglia. Filamento della canapa.
tirare, (pag. 47) Prender con le dita il filo.
tozzo o tozzi. La canape ha tre parti: il fiore o il filo, la stoppa, i tozzi. Col filo si fanno i legori, con la stoppa e i tozzi le mannelle.
tracogliere. La prima colta che si fa delle castagne.
valletto. Specie di cestinella.
vecciùli. Una veccia piccina.
vellicare (pag. 52) o bellicare. Solleticare. Si dice: Io vellìco, come Io desìno ecc.vermena. Veramente qui si usa vermella per dire ramicello.
verno. Non si dice in inverno.
vignuolo. Viticcio.
vinciglio. Ramo di castagno, nel fusto, tagliato per seccarlo e governarne le bestie nel verno.
vizzato. È uva forestiera.
vocerìo. Vocìo.
volastro. Buono a volare.
volastruccio. Balestruccio.
zeppala. Bietta.
* grecchia. Specie di stipa più piccola che fiorisce in autunno. Cesti.
* Lombardo. Si chiamano lombardi i modenesi dei monti, a confine coi toschi (così li chiamano). Son uomini alti, quadrati, biondi, con occhi cerulei: veri langobardi; e sono poveri e forti, e vengono ogni anno in Toscana donde muovono per le isole e anche per l’Africa, a segare e squadrare legna. Essi, che sono imaginosi e poetici, grandi raccontatori di fole a veglia, dicono che la cinciallegra dà a loro il segno della partenza, cantando tent’ a su. E pare, in verità.
* sicceccè. Verso del saltimpalo, formato dal popolo con molta esattezza.
* tecco. Intirizzito o inferito.
* uccellino del freddo. Lo sgricciolo, detto cocla o guscio di noce dai romagnoli. Questo e altro il lettore potrà imparare intorno al grazioso uccellino da un vispo libretto di A. Bacchi della Lega, “Caccie e costumi degli uccelli silvani (Città di Castello, Lapi, 1892, ora alla seconda edizione)„ Dal qual libretto ho preso anche, con una lievissima modificazione, il verso arido dello sgricciolo: trr trr trr terit terit.
Ora alle soavi lettrici voglio spiegare qualcos’altro. Non credano mai le mie soavi lettrici che io inventi! Non son da tanto. E poi, non mi pare che si debba e che... si possa. Tutte sanno per certo che non io ho trovato che la lodala loda Dio e che il merlo (e anche la capinera) fischia Io ti vedo (pag. 100). Qualcuna può ignorare invece che al cuculo si grida (pag. 86): “Cuculo di là dal mare, Quanti anni ho da campare?„ Qualche altra può ignorare che in Romagna nel chicchiricchi dei galletti sentono il grido: Vita da re... (pag. 115-6). E così qui, quando la pentola fa i sonagli, dicono che “passano i miccetti„ (pag. 167-8). E così, quando il bambino vagisce, qui sentono che egli grida: Ov’è? Ov’è? e gli dicono: Ov’è chi? il babbo? il puppo? (pag. 163 sgg. ). Sanno tutte, le mie soavi lettrici (a proposito di ov’è? ov’è?), che ai fratellini e alle sorelline del nuovo venuto si suole spiegare la sua apparizione nei modi adombrati in quel Canto: che l’hanno preso in una ceppa di castagno, che l’hanno comprato alla fiera, che l’hanno impastato le monache, che è stato preso in paradiso (cfr. anche a pag. 93); e vai dicendo. Non sanno forse tutte che il brivido che qualche volta ci scuote all’improvviso è interpretato (in Romagna, che io sappia) come il passaggio della morte (pag. 25-26); che in Romagna si raccomanda veramente di sparecchiare dopo cena, perchè, se si lascia la tovaglia su la tavola, vengono i morti (pag. 67-68); che le ragazze di questi monti, quando vedono le prime serpi dell’anno, buttano la pezzola in aria (pag. 77). Un’esperienza che tutte possono fare, è quella del fiore reciso, che si apre, se si mette al sole (pag. 81-82). Un’altra, altrettanto facile, è quella dell’Or di notte. Prèstino l’orecchio, e le lettrici in campagna sentiranno, nella prima ora di notte, quando già il silenzio è grande, la campana della parrocchia sonare tre tocchi, poi cinque, poi sette. E se vengono a Caprona, sentiranno, un’ora prima, il suono della schilletta o squilletta.
E a Caprona si faranno raccontare dallo Zi Meo la storiella dello spazzacamino e dello stacciaio (pag. 23-4), che si trovarono a gridare a Perpoli, un paesettinó della Garfagnana posto su un cuccurello di monte. Si picchiarono, quei due poveri uomini!
Per rendere poi a ognuno il suo, confesso che è di Catullo il canto La nonna (a pag. 35): Cana... anilitas Omnia omnibus annuit. E per un mio sfogo di amor fraterno, osservo ai governanti d’Italia, ch’essi fanno molto male ad aprir la caccia, voglio dire la distruzione degli uccelletti utili e belli, il giorno di Santa Maria, cioè il 15 d’agosto (pag. 151). Ritardino l’apertura d’un mese! di quindici giorni, almeno! Tra gli uccelletti utili non ve n’ha di più utili delle verle o averle, che si nutrono solo d’insetti. Ebbene a quella stagione i verlorotti o farlotti non sono ancora ben volastri. E se ne fa scempio.
- Castelvecchio di Barga 10 agosto 1903.