< Catone Maggiore
Questo testo è completo.
XIX XXI

Dispregio della morte per forza di ragionamento.

Tutte le età hanno un termine determinato, ma quello della vecchiezza è incerto. La sopporta onorevolmente quel vecchio, che senza lasciarsi sgomentare dal pensiero della prossima fine non dismette le funzioni del proprio stato. Da ciò dipende che la vecchiezza sia anche più intrepida e ferma della gioventù.

Tale era appunto l’opinione di Solone, quando richiesto dal tiranno Pisistrato dove mai trovasse la forza di resistergli con tanta energia, narrasi, gli rispondesse: nella vecchiezza!

Merita preferenza sopra ogni altro, il fine della vita, se arrivi in quel punto in cui sono tuttora intatte le facoltà della mente e del corpo. Allora natura da sé scompone il proprio lavoro, con facilità pari a quella con cui l’artefice disgiunse i membri della nave o della macchina già prima costrutta.

Le saldature fatte di fresco si sconnettono a stento; se logorate dal tempo, a scomporle basta lieve scossa. Laonde a questo fugace avanzo di vita, né debbono i vecchi afferrarsi troppo tenacemente, né abbandonarlo da spensierati; e pensò con giudizio Pitagora, facendo divieto all’uomo di disertare dalla guardia della vita senza comando del generale, cioè di Dio. Mostravasi filosofo, siccome era infatti, Solone dicendo che alla sua tomba non voleva mancasse né dolore, né il pianto degli amici. Tante care memorie studiavasi quel saggio di lasciare di sé!

Non credo che meglio la pensi Ennio con i seguenti versi:

La vana pompa di singulti e pianto
Risparmiate, miei cari, al cener mio

considerando essere superfluo il rimpianto a que’ nomi che passano all’immortalità.

Il senso della morte, se avvenne alcuno, dura un istante tanto più nei vecchi. Morti che siamo una volta, ogni sensibilità è spenta: o se nol fosse, abbiamo di che esserne lieti. I giovani debbono meditarvi di buon’ora per avvezzarsi a non darsi pensiero della morte, perché chi non impara ad addomesticarsi con questo pensiero, non può passare tranquillamente i giorni.

Certa è la morte, incerto se verrà a sorprenderci anche in questo medesimo giorno. L’uomo che trema ad ogni istante di vedersene colto, può egli mai conservare l’animo imperturbato? Né è d’uopo di molte parole a dimostrarlo.

Basti di rammentare quel Giunio Bruto che morì sul campo per la libertà della patria; i due Deci che si scagliavano di carriera contro le spade nemiche; Attilio Regolo che andò incontro al supplizio, anziché tradire la data fede; i Scipioni, che ambedue chiusero il varco ai Cartaginesi col proprio cadavere; l’avo tuo Lucio Paulo, che lavò col sangue la macchia del temerario collega nella vergognosa rotta di Canne; Marco Marcello, alle cui spoglie mortali lo stesso ferocissimo nemico non rifiutò gli onori della sepoltura. Che più? Se le stesse nostre legioni (come dettai nel libro delle Origini) con lieto e intrepido animo coprirono quei posti di combattimento da cui sapevano perduta ogni speranza di ritorno? E questa morte adunque, la quale da giovinetti e da uomini ignoranti e rozzi non è temuta, dovrà sgomentare l’animo del vecchio assennato?

Fu sempre in me ferma l’opinione, che dalla sazietà d’ogni cosa si arrivi alla sazietà della vita. Vediamo i fanciulli: amano certi semplici giuochi; se ne curano essi quando fatti giovinetti? E i passatempi di costoro non vengono forse a noia nell’età virile? Alla sua volta questa si compiace di tali esercizi da cui distogliesi al vecchiezza. Né a questa estrema età mancano pure godimenti che le si attagliano. Ma nello stesso modo con qui vengono meno le sensazioni gustate nei precedenti stadi, spengonsi quelle della vecchiezza. Scema il diletto con l’uso: e la sazietà della vita ferma il punto immutabile della morte.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.