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Questo testo fa parte della raccolta Poesie inedite (Pellico)


CESSATO IL COLERA.





Cumque quaesieris ibi Dominum Deum
     tuum, invenies eum, si tamen toto
     corde quaesieris, et tota tribulatione
     animae tuae.

(Deut. 4. 29).



Crëato spirto che al mio fral sei vita,
     Potenze tutte onde m’esulta il core,
     Alziamo, alziam di gaudio intenerita
                                                  4Voce al Signore!

Dal ciel suoi doni sulla terra effuse,
     Noi li obblïammo, e ripetè i suoi doni:
     Ci flagellò, ma ne’ flagelli incluse
                                                  8Grazie e perdoni.

Egli è colui che i doloranti sana;
     Che dalla morte, ch’all’uom rugge intorno,
     Sotto il suo scudo amico lo allontana
                                                  12Di giorno in giorno.

Poi quando a molte umane brame arrise,
     Toglie quell’ente che vivendo amollo;
     Ma questo debol ente ei non uccise,
                                                  16Sugli astri alzollo.

Egli è colui che ai sopportanti oltraggio
     In guiderdone offre onoranza eterna;
     Colui che i fati del mortal lignaggio
                                                  20E il ciel governa.
    
Misericordia ed equità lo guida,
     Se crea, e cangia, se mantien, se spezza:
     Amico all’uomo, ei vuol che l’uom divida
                                                  24Sua tenerezza.

Un giorno scese dall’eccelsa sfera
     Per esser uomo e allevïarci il duolo;
     Calice orrendo, affinchè l’uom non pera,
                                                  28Tracannò solo.

Ci favellò non più come in Orebbe
     Con formidabil, mistica favella,
     Ma qual mortal che della donna crebbe
                                                  32Alla mammella.

E quella Madre ch’egli amò cotanto
     Diede alle donne qual modello e amica,
     Qual Madre a ognun ch’a lei con dolor santo
                                                  36Sue pene dica.

Le nostre pene, ah sì! dalle Taurine
     Sponde alla Madre del Signor dicemmo,
     E le pupille sue sovra noi chine
                                                  40Brillar vedemmo.

L’indica lue nostr’aure appena attinse,
     Ci risovvenne la pietà degli avi,
     E quella Madre col sospir respinse
                                                 44Gl’influssi pravi.

Andò assalendo il morbo alcune vite,
     Ma più rifulse indi il recato scampo:
     A gare insiem di carità squisite
                                                  48S’aperse un campo.

Anco una Forte del più debol sesso
     Accorse agli egri, sorbì l’aer funesto,
     E consolò con dolci cure e amplesso
                                                  52L’orfano mesto.

E visti fur della città i Maggiori
     Trar di Maria Consolatrice al piede,
     E in voto stringer tutti i nostri cuori
                                                  56A salda fede.

E visti furo i cittadin più culti
     Coll’umil volgo unirsi, in Dio sperando,
     Nè de’ beffardi paventar gl’insulti
                                                  60Maria invocando.

Piace al Signor che la sua Vergin Madre
     Ne incori e affidi col suo bel sorriso,
     Sì ch’aspiriam con opre alte e leggiadre
                                                  64Al Paradiso.

Vera religïon, ch’è tutta bella,
     Gaudio ne pinge in Dio, non vil cipiglio,
     Se lo onoriam ne’ Santi, e vieppiù in Quella,
                                                  68Cui nacque Figlio.

Guasta dall’uom, religïon ne pinge
     Non so qual Dio alterissimo, cui duole,
     Se a quella Madre che al suo sen lo stringe
                                                  72Drizziam parole.

Fede in te sempre avremo, o Genitrice
     Dell’umanato, ver Lume divino!
     Tu sei potente in ciel, tu salvatrice
                                                  76Sei di Taurino!


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