< Che cosa è l'arte?
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Lev Tolstoj - Che cosa è l'arte? (1897)
Traduzione dal russo di Anonimo (1904)
La bellezza
I III

Capitolo II.


La bellezza.


Cominciamo dal fondatore dell’estetica, da Baumgarten (1714-1762).

A suo parere, la conoscenza logica ha per oggetto la verità, e la conoscenza estetica, vale a dire che tocca i sensi, ha per oggetto la bellezza. La bellezza è il perfetto, o l’assoluto riconosciuto dai sensi; la verità è il perfetto percepito dalla ragione. E la bontà dal suo canto è il perfetto raggiunto dalla volontà morale.

Il Baumgarten definisce la bellezza come una “armonia„ cioè un ordine tra certe parti, nelle loro mutue relazioni e nel loro rapporto col tutto. Il fine poi della bellezza è quello di “piacere e d’eccitare un desiderio„. Tra parentesi, abbiamo qui esattamente l’opposto della definizione kantiana.

Quanto alle manifestazioni del bello, l’autore in questione crede che la suprema incarnazione del bello si trovi nella natura, e che perciò l’ideale dell’arte consista nel copiare la natura; altra sentenza questa che fa a pugni colle opinioni degli estetici successivi.

Ci sia concesso lasciar da parte gl’immediati successori del Baumgarten, cioè il Maier, l’Eschenburg e l’Eberhard, che solo ritoccarono leggermente la dottrina del maestro, distinguendo dal bello il gradevole. Ma non dobbiamo tacere le definizioni dovute ad altri contemporanei del Baumgarten, per esempio allo Sulzer, a Mosè Mendelssohn, al Moritz, che contraddicono apertamente alle dottrine di quello, considerando come oggetto dell’arte la bontà, non la bellezza. Secondo il Sulzer (1720-1779) non si può ritenere per bello se non ciò che partecipi in qualche modo del buono; quindi la bellezza è ciò che desta e svolge il sentimento morale. Mendelssohn (1729-1786) ravvisa nella perfezione morale il solo scopo dell’arte. Codesti estetici distruggono totalmente la distinzione che il Baumgarten stabiliva tra le tre forme del perfetto, cioè il vero, il bello e il buono; e rannodano il bello al vero e al buono.

Codesto concetto non solo non è conservato dagli estetici del periodo seguente, ma è anche contraddetto nella sua sostanza dal famoso Winckelmann (1717-1768), che disgiunge la funzione dell’arte da ogni fine di moralità, e attribuisce all’arte come suo oggetto la bellezza esteriore, ristretta alla sola bellezza visibile. Secondo il Winckelmann la bellezza è di tre sorta: 1.° la bellezza della forma; 2.° la bellezza dell’idea, che risulta dall’atteggiamento delle figure; 3.° la bellezza dell’espressione che scaturisce dalla fusione delle altre due. La bellezza dell’espressione è il fine supremo dell’arte, e si trova effettuata nell’arte antica; perciò l’arte moderna deve tendere ad imitare l’antica.

Analogo concetto della bellezza si mostra nel Lessing, nell’Herder, nel Goethe e nei più degli altri estetici tedeschi, finchè non venne il Kant ad abbatterlo sostituendo vene un altro affatto diverso.


Nel medesimo perìodo in Inghilterra, in Francia, in Italia e in Olanda sorge uno sciame di teorie estetiche, le quali, benchè indipendenti dalle tedesche, stanno loro a paro per l’oscurità e la confusione.

A detta dello Shaftesbury (1690-1713); “ciò che è bello, è armonico e ben proporzionato; ciò che è armonico e ben proporzionato è vero; e ciò che è a un tempo bello e vero, è necessariamente gradevole e buono„. Dio è il fondamento d’ogni bellezza; la bellezza e la bontà procedono da lui. Così per codesto inglese la bellezza si distingue dalla bontà, e pur tuttavia si confonde con essa.

Secondo l’Hutcheson (1694-1747) l’oggetto dell’arte è la bellezza, l’essenza della quale sta nell'evocare in noi la percezione dell’uniformità nella varietà. Noi possediamo “un senso„ interno che ci permette di riconoscere che cosa sia l’arte, ma può tuttavia essere in contraddizione col senso estetico. Per dippiù, secondo l’idea dell’Hutcheson la bellezza non corrisponde sempre alla bontà, ma se ne distingue, e in certi casi le è contraria.

Secondo l’Home (1696-1782) la bellezza è ciò che piace. Non c’è per essa altra determinazione che il godimento. L’ideale del godimento sta in questo che il massimo di ricchezza, di pienezza, di forza e di varietà d’impressioni si trovi condensato entro i limiti più ristretti. Codesto è pure l’ideale d’una perfetta opera d’arte.

Secondo il Burke (1729-1797) il sublime e il bello, che sono gli oggetti dell’arte, trovano la loro origine nel nostro istinto di conservazione e nell’istinto di socievolezza. La difesa dell’individuo e la guerra, che ne scaturisce, sono le fonti del sublime; la socievolezza e l’istinto sessuale che ne deriva, sono la fonte del bello.

Se i pensatori inglesi nelle loro definizioni del bello e dell’arte si contraddicevano a vicenda, nemmeno gli estetici francesi riuscivano ad accordarsi meglio. Secondo il padre André (Essai sur le Beau, 1741) ci sono tre specie di bellezza: la bellezza divina, la bellezza naturale e la bellezza artificiale. Secondo Batteaux (1713-1780), l’arte consiste nell’imitare la bellezza della natura, e il suo scopo dev’essere di piacere. Questa a un dipresso è pure la definizione del Diderot.

Il Voltaire e il D’Alembert pensano che le sole leggi del buon gusto possano decidere del bello; ma che alla loro volta codeste leggi sfuggano a ogni definizione.

Secondo il Pagano, fiorito in Italia nel medesimo periodo, l’arte consisterebbe nel raccogliere in uno le bellezze disseminate nella natura. L’attitudine a percepire codeste bellezze costituisce il buon gusto, la facoltà di raccoglierle in un tutto s’identifica coll'ingegno artistico. La bellezza, per lui, si confonde colla bontà; la bellezza è la bontà resa visibile, e la bontà è la bellezza resa interiore.

Secondo altri italiani, ad esempio il Muratori (1672-1750) e lo Spaletti (Saggio sopra la Bellezza, 1765), l’arte va ricondotta a una sensazione egoistica fondata sul nostro istinto di conservazione e di socievolezza.

Degli estetici Olandesi il più notevole è Hemsterhuis (1720-1790) il quale influì realmente sugli estetici tedeschi, sul Goethe medesimo. Per lui la bellezza è ciò che procura il maggior piacere, e desta in noi il massimo numero d’idee nella minima durata di tempo. Quindi a suo parere il godimento del bello è il più alto di tutto, come quello che ci procura nel più piccolo spazio di tempo la più grande quantità di percezioni.


Tali erano all’incirca in Europa le principali dottrine estetiche, allorchè sorse quella del Kant (1724-1804) che rimase poi, come sappiamo, tra le più celebrate.

La teoria estetica del Kant si può riassumere nel modo seguente: — L’uomo ha la conoscenza della natura esteriore e ad un tempo di sè stesso entro la natura. Nella natura esso cerca il vero; in sè stesso cerca la bontà. La prima ricerca risguarda la ragione pura, la seconda la ragione pratica. Ma oltre a quei due mezzi di percezione havvi ancora la capacità di giudicare, atta a produrre dei “giudizi senza concetti, e dei piaceri senza desideri„. Codesta capacità è la base del sentimento estetico.

Secondo il Kant la bellezza considerata soggettivamente è quello che piace in modo generale e necessario, senza concetto alcuno (Begriff) e senza utilità pratica. Oggettivamente considerata, la bellezza è la forma d’un oggetto piacente, in quanto ci piaccia senza alcun riguardo alla sua utilità.

Definizioni della bellezza poco diverse da questa del Kant furono date dai suoi successori, tra i quali meritano menzione lo Schiller (1759-1805) e Guglielmo di Humboldt.

Oltre ai filosofi di second’ordine, dopo il Kant s’occuparono d’estetica anche il Fichte, lo Schelling, l’Hegel, e i loro discepoli. Il Fichte (1762-1814) sostiene che il mondo per noi ha due aspetti, costituiti per una parte dalla somma delle nostre limitazioni, per l’altra da quella della nostra libera attività ideale. Sotto il primo aspetto ogni cosa è sfigurata, rimpicciolita, mutilata, e scorgiamo così la bruttezza; sotto l’altro aspetto percepiamo gli oggetti nella loro pienezza, nella loro vita intima, vale a dire ravvisiamo la bellezza. Perciò la bellezza e la bruttezza delle cose dipendono dal punto di vista di chi le osserva, e la bellezza non ha radice nel mondo, ma nell’“anima bella„. L’arte è la manifestazione di siffatta “anima bella„, e ha per fine l’educazione della mente, del cuore, anzi dell’uomo intiero. Per la qual cosa i caratteri della bellezza non risiedono nelle cose o sensazioni esteriori, ma nella presenza di un’anima bella, nell’artista.

Senza diffonderci intorno alle teorie di Federico Schlegel (1772-1829) e di Adamo Müller (1779-1829) tocchiamo di quella celebre dello Schelling (1775-1854). Secondo questo filosofo l’arte defluisce da una concezione delle cose nella quale il soggetto diventa oggetto a sè stesso, e l’oggetto diventa per sè soggetto. La bellezza è la percezione dell’infinito nel finito. L’arte è l’unione del soggettivo e dell’oggettivo, della natura e della ragione, del cosciente e dell’incosciente. E la bellezza del pari è la contemplazione delle cose in sè, quali cioè esistono nel loro prototipi. La bellezza non è prodotta dal sapere o dall’abilità dell’artista, ma dall’idea della bellezza che lo governa.

Dopo lo Schelling e la sua scuola, come a dire il Solger, il Krause, ecc., viene innanzi la famosa dottrina estetica dell’Hegel, la quale, in fondo, è pur sempre la base delle opinioni correnti intorno all’arte e alla bellezza. Del resto nemmeno questa teoria è più chiara o più precisa delle precedenti, che anzi le supera in astrusità e nebulosità. Secondo l’Hegel (1770-1831), Dio si manifesta nella natura e nell’arte sotto la forma della bellezza. La bellezza è il riflesso dell’idea nella materia. L’anima sola è veramente bella; ma lo spirito si palesa a noi sotto la forma sensibile, e in questa apparenza sensibile dello spirito risiede l’unica realtà della bellezza. Nel sistema hegeliano bellezza e verità sono tutt’uno; poichè la bellezza non è altro che la manifestazione sensibile della verità.

Questa dottrina fu ripresa, svolta, arricchita di molte nuove formole dai discepoli dell’Hegel, Weisse, Ruge, Rosenkrantz, Vischer, e altri. Ma non si creda che l’hegeinismo avesse il monopolio delle teorie estetiche in Germania! Al suo fianco comparivano altri sistemi in gran numero, i quali, ben lungi dall’ammettere coll’Hegel che la bellezza fosse il riflesso dell’idea, impugnavano quella definizione, confutandola e deridendola. Ci contentiamo di addurre le dottrine dell’Herbart e dello Schopenhauer.

Secondo Herbart (1776-1811) non c’è e non può esserci bellezza esistente di per sè stessa. Non esiste nient’altro che la nostra opinione, e questa è fondata sulle nostre impressioni personali. Ci sono certe relazioni che noi chiamiamo bello, e l’arte sta nello scoprirle, tanto nella pittura, quanto nella musica e nella poesia.

Secondo lo Schopenhauer (1788-1860) la volontà si oggettiva nel mondo su piani diversi, ciascuno dei quali ha la sua bellezza propria, e il più elevato è il più bello. La rinuncia alla nostra individualità, permettendoci di contemplare codeste manifestazioni della Volontà, ci dà una percezione della bellezza. Tutti gli uomini hanno la facoltà di oggettivare l’idea in disegni differenti; ma il genio dell’artista la possiede in più alto grado, e può quindi produrre una bellezza superiore.

Dopo questi scrittori famosi ne sorsero in Germania degli altri meno originali e meno autorevoli, ma pur sempre accaniti a sradicare le dottrine dei loro confratelli passati e presenti: tali sono l’Hartmann, il Kirchmann, lo Schnasse, il fisico Helmholtz, il Bergmann, il Jungmann, ecc.

Secondo Hartmann (nato nel 1842) la bellezza non risiede nè nel mondo esterno, nè nella “cosa in sè stessa„, nè nell’anima nostra, ma all’apparenza (Schein) prodotta dall’artista. La “cosa in sè„ non è punto bella, ma ci sembra tale quando è trasformata dall’artista.

Secondo Schnasse (1798-1875), non c’è nel mondo bellezza perfetta; |a natura non fa che accostarvisi soltanto; l’arte ci dà quel che la natura non può darci.

Secondo Kirchmann(1802-1884) ci sono sei regni della storia: i regni della scienza, della ricchezza, della morale, della fede, della politica, e della bellezza. L’arte è l’attività che s’esercita in quest’ultimo regno.

Secondo Helmholtz (1821-1896) il quale non s’occupò che dell’estetica musicale, la bellezza in musica non s’ottiene se non coll’osservazione di certe leggi invariabili, leggi che l’artista ignora, ma a cui obbedisce incoscientemente.

Secondo Bergmann (Ueber das Schöne, 1887) è impossibile definire oggettivamente la bellezza. Essa non si può percepire che soggettivamente, quindi il problema dell’estetica sta nel determinare quello che piace a ciascuno.

Secondo Jungmann (morto nel 1885): 1.° la bellezza è una qualità soprasensibile delle cose; 2.° il piacere artistico è prodotto in noi dalla semplice contemplazione della bellezza: 3.° la bellezza è il fondamento dell’amore.

Credete voi che mentre la Germania partoriva tante dottrine, gli estetici di Francia ed Inghilterra scioperassero?

In Francia, c’era Cousin (1792-1867), un eclettico che s’ispirava alle dottrine degl’idealisti tedeschi. Secondo lui la bellezza posa sempre sopra un fondamento morale. Diceva inoltre che la bellezza può esser definita oggettivamente, e ch’essa è, per essenza, la varietà nell’unità.

Il Jouffroy, suo scolaro (1796-1842) scorgeva nella bellezza l’invisibile reso per mezzo di segni sensibili.

Il metafisico Ravaisson considerava la bellezza come termine e fine supremo dell’Universo. “La beauté la plus divine et principalement la plus parfaite contient le secret.„ E appresso: “Le monde entier est l’œuvre d’une beauté absolue, qui n’est la cause des choses que par l’amour qu’elle met en elles.„ M’astengo a bello studio dal tradurre in russo codeste espressioni metafisiche, perchè i francesi quando prendono a imitare i tedeschi li superano d’assai nell’arruffio delle idee eterogenee.

Il metafisico Renouvier alla sua volta diceva: “Ne craignons pas d’affirmer qu’une vérité qui ne serait pas belle ne serait qu’un jeu logique de notre esprit, et que la seule vérité solide, et digne de ce nom, c’est la beauté.„

Tutti questi pensatori si riferivano colle loro dottrine all’estetica tedesca; altri loro contemporanei si sforzarono d’esser più originali, come il Taine, il Guyau, lo Cherbuliez, il Véron, ecc.

Secondo Taine (1828-1893) c’è la bellezza quando il carattere essenziale d’una idea importante si manifesta più completamente che non nella realtà. Secondo Guyau (1854-1888) la bellezza non è cosa esteriore all’oggetto, ma è il fiore stesso dell’oggetto. L’arte è l’espressione d’una vita ragionevole e cosciente, evocando in noi a un tempo la più profonda consapevolezza nella nostra esistenza e i sentimenti più elevati e i pensieri più nobili. L’arte, secondo lui, trasporta l’uomo dalla vita individuale nella vita universale per mezzo della comunione dei sentimenti e delle idee.

Secondo Cherbuliez l’arte è un’attività che: 1.° soddisfa il nostro amore innato delle apparenze; 2.° incarna in queste apparenze delle idee; 3.° procura a un tempo godimento ai sensi, al cuore, alla ragione.

Presentiamo ancora, per esser completi, il parere di alcuni autori francesi più recenti. La Psicologia del bello e dell’arte scritta da Mario Pilo1 (1895) afferma che la bellezza è un prodotto delle nostre impressioni fisiche.

Fine dell’arte è il piacere; ma l’autore pensa che questo piacere è di necessità eminentemente morale. Il Saggio sull’arte contemporanea di Fierens-Gevaert (1897) dice che l’arte consiste nell’equilibrio tra la conservazione delle tradizioni del passato, e l’espressione dell’ideale del presente. Infine il Sâr Péladan afferma che la bellezza è una delle manifestazioni di Dio. “Non c’è altra Realtà che Dio, non c’è altra Verità che Dio, non c’è altra Bellezza che Dio.„

L’Estetica di Véron (1878) si distingue dalle opere affini se non altro per maggiore chiarezza e facilità. Senza dare una definizione esatta dell’arte, l’autore ha il merito di sbarazzare l’estetica da tutte le vaghe nozioni del bello assoluto. Secondo il Véron l’arte è la manifestazione d’un’emozione estrinsecata per mezzo di qualche combinazione di linee, di forme, di colori, o con una successione di movimenti, di ritmi, di suoni.


Quanto agli Inglesi, in massima parte s’accordano in questo, che definiscono la bellezza non per le sue qualità proprie, ma seguendo le impressioni e i gusti individuali. Così fecero già il Reid (1704-1796), l’Alison ed Erasmo Darwin (1731-1802). Ma le teorie dei loro successori sono assai più notevoli.

Secondo Carlo Darwin (1805-1882) la bellezza è un sentimento naturale, non soltanto dell’uomo, ma eziandio degli animali. Gli uccelli adornano i loro nidi, e tengono conto della bellezza nei rapporti sessuali. Del resto la bellezza è la risultante di varie nozioni e di vari sentimenti. L’origine della musica si deve rintracciare nelle chiamate che il maschio rivolge alla femmina.

Secondo Erberto Spencer (nato nel 1820) l’origine dell’arte dev’essere cercata nel giuoco. Negli animali inferiori l’energia vitale è rivolta per intiero alla conservazione della vita individuale e della specie; nell’uomo invece, soddisfatti i primi istinti, rimane un dippiù d’energia, che si consuma nel giuoco, e poscia è trasformata in arte. E l’autore continua a discorrere delle varie sorgenti del piacere estetico, cioè della facoltà d’esercitare qualche senso nella sua maggiore interezza e col minore dispendio di forza, della massima varietà delle sensazioni, ecc.

Grant Allen nei suoi Physiological Esthetics (1877) assegna alla bellezza un’origine fisica. I piaceri estetici derivano dalla contemplazione della bellezza, ma il concetto della bellezza è il risultato di un processo fisiologico. Il bello è ciò che procura il maximum dì stimoli col minimum di spesa.

Le varie opinioni ora addotte intorno all’arte e alla bellezza, senza dire di quelle degl’inglesi Todhunter, Morley, Kerd, Knight, ecc., non esauriscono di certo quanto s’è scritto intorno al nostro argomento. Non passa giorno senza che sorgano dei nuovi estetici, nella dottrina dei quali si trovano, invariabilmente, lo stesso vago e le stesse contraddizioni. Alcuni per inerzia si contentano di adottare con qualche variante l’estetica mistica dei Baumgarten e dei Hegel; altri trasportano la questione nel campo soggettivo, riconnettendo la bellezza al gusto; altri, gli estetici delle ultime generazioni, ricercano l’origine della bellezza nelle leggi della fisiologia; altri infine affrontano risoluti il problema dell’arte indipendentemente dal concetto di bellezza.

Così il Sully, in Sensation and Intuition, elimina per intero la nozione di bellezza. Nella sua definizione l’arte non è che un prodotto idoneo a procurare al produttore un godimento attivo, e a suscitare un’impressione gradevole in un certo numero di spettatori o d’uditori, astraendo da ogni considerazione d’utilità pratica.


  1. Mario Pilo è un professore italiano. L’A. ha avuto sott’occhi la traduzione francese del suo volume.

    (N. d. T.)

Note

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