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CRONACA



COMMEMORAZIONE.


Col giorno 11 del prossimo luglio stanno per compiere due anni dalla morte del Prof. Comm. Bernardino Biondelli, già Direttore del R. Gabinetto Numismatico di Brera. La Rivista crede di non poter meglio onorare il nome di Lui, che riassumendo — in seguito a gentile permesso — la bella Commemorazione pronunciata dal ch. Prof. Vigilio Inama nella solenne adunanza del R. Istituto Lombardo, il 12 gennaio dell’anno corrente.


Nacque il Biondelli in Verona il 14 marzo 1804, e quivi fece gli studj ginnasiali e liceali, dedicandosi subito dopo all’insegnamento della matematica, della storia e della geografia, grafia, ora nelle scuole della sua città, ora in altri istituti del Veneto.

Venuto nel 1839 a Milano, qui prese stabile dimora, e più non si mosse da questa città, che diventò sua seconda patria dilettissima, se non per fare più o meno lunghe escursioni o viaggi in Italia e fuori, sempre per ragioni di studio o per doveri d’ufficio.

Nel 1849 venne nominato Aggiunto e presto dopo Direttore del Gabinetto Numismatico, ufficio che egli conservò fino al giorno della sua morte. Nello stesso tempo aveva avuto l’incarico dall’I. R. Governo austriaco di dare un pubblico corso di Archeologia e di Numismatica, nei locali del Gabinetto; e quando mutarono felicemente i tempi venne dal R. Governo nominato, nel 1861, professore ordinario di Archeologia nella R. Accademia scientifico-letteraria, allora istituita, dal quale ufficio cessò solo due anni prima che egli morisse, avendo egli stesso chiesto di essere collocato a riposo.

Fu nominato Socio Corrispondente, poi Membro Effettivo del R. Istituto Lombardo, coprì la carica di Segretario nel biennio 1880-81 e fece parte di parecchie Commissioni nominate per iscopi scientifici o artistici.

Quando il Biondelli giunse a Milano ferveva qui operosa una vita intellettuale piena di nobili aspirazioni e di alte promesse, ridestata sopra tutto per la iniziativa di Carlo Cattaneo, il quale in quell’anno appunto (nel 1839) vi aveva fondato il suo Politecnico, organo insieme ed efficace promotore di codesta insolita operosità di studj.

Il nuovo giornale aveva preso subito il primo posto fra i giornali letterarj e scientifici della penisola.

Il Cattaneo era circondato e sorretto nell’impresa da una eletta schiera di valorosi che miravano con lui a rialzare sempre più insieme colla prosperità economica anche la coltura del paese.

In quella eletta schiera di studiosi entrò, e ben presto ebbe un posto distinto, il nostro Biondelli. Egli coltivava allora gli studj linguistici e dialettologici, e di questi fu il rappresentante nel Politecnico.

In una serie di articoli, più tardi raccolti in un volume, egli si era proposto di far conoscere a’ suoi compatrioti la scienza della Comparazione dei linguaggi che il genio del Grimm e del Bopp aveva da poco creato in Germania; e discorreva dell’Origine e dello sviluppo della linguistica.

In un altro articolo metteva in evidenza la grande utilità di codesti studj, per le molteplici loro applicazioni alla ricerca delle origini delle nazioni e sopratutto di quelle che occuparono anticamente il nostro paese (Della linguistica applicata alla ricerca delle origini italiche).

Era un campo di studj affatto nuovo per l’Italia codesto che il Biondelli veniva rivelando nelle pagine del Politecnico, e i suoi articoli, scritti con bella chiarezza, venivano letti avidamente dai giovani italiani, ai quali aprivano un orizzonte del tutto sconosciuto.

Ma egli tuttavia non pretendeva punto di essere creatore di nuove dottrine. Modestamente anzi ripeteva che a “null’altro egli aspirava che a rendere, co’ suoi scritti, maggiormente diffusa presso di noi la coltura di questi studj importantissimi,” nei quali ormai gli stranieri erano d’assai progrediti e ci avevano di tanto preceduti.

A tale intento egli concepì il disegno di un vasto lavoro che “adunasse in un’opera sola le più recenti scoperte linguistiche sparse in molti scritti di varia favella, e tracciasse sulle norme di questi, confermata e ampliata dalle sue proprie induzioni, una classificazione compiuta di tutti i popoli d’Europa, in riguardo al genio e ai rapporti delle lingue che parlano.” Quest’opera fu l’Atlante linguistico d’Europa, il quale doveva constare di quattro grossi volumi in-8 gr. e di un Atlante in foglio di 40 tavole, nei quali tutte le molte lingue parlate in Europa dovevano essere classificate. Ma non uscì che il primo volume con cinque tavole.

Se in questi lavori che riguardano la linguistica in generale, il Biondelli si accontentava di raccogliere e di riprodurre, con lucida esposizione, quanto gli altri avevano fatto prima di lui, nello studio dei dialetti italiani invece egli portava indagini sue proprie, e raccogliendo abbondanti danti materiali nuovi li disponeva e illustrava con metodi da nessuno tentati ancora prima di lui.

Fin dal 1840 egli dettava per la Enciclopedia popolare del Pomba di Torino il lungo articolo che tratta delle lingue e dei dialetti d’Italia.

Questo lavoro è steso, come richiedeva l’indole della pubblicazione, in forma popolare; ma il Biondelli “si riservava di svolgere più tardi e di proposito su tela più vasta e di documentare con irrefregabili monumenti il prospetto che qui aveva solamente sbozzato.”

E tale suo divisamento cominciò egli ad attuare nel Saggio sui dialetti Gallo-italici che pubblicò parecchi anni più tardi, nel 1863, in tre volumi.

Questo lavoro seriamente pensato, s’ebbe meritamente larghissime lodi in tutto il paese quando comparve alla luce e rese illustre il nome di Biondelli fra tutti i cultori degli studj dialettologici.

A compimento di questo suo Saggio pubblicò il Biondelli, tre anni dopo, alcune Poesie lombarde inedite del secolo XIII (Bernardoni, 1856), per mostrare che in Lombardia, non meno che in altre parti d’Italia, si usasse fin dal 1200 il dialetto volgare in componimenti poetici.

Ultimo frutto degli studj linguistici del Biondelli è la splendida edizione dell’Evangeliarium, epistolarium et lectionarium Aztecum sive Mexicanum (1868), tolto da un antico codice scritto assai nitidamente su fogli di agave, che circa trent’anni prima (1826) era stato portato dall’America dal dotto viaggiatore bergamasco Giulio Cesare Beltrami. Al testo del codice segue un glossario azteco-latino, il quale, dieci anni più tardi, venne dal Biondelli ripubblicato coll’agglunta di un corrispondente glossario latino-azteco.

Ma le nuove cure che la direzione del Gabinetto e la cattedra di archeologia richiedevano dal Biondelli lo distolsero mano mano e sempre più dagli studj linguistici; e dal 1850 in poi gli studj del Biondelli furono rivolti principalmente appunto alla numismatica e all’archeologia.

Quando assunse l’incarico di darne pubbliche lezioni, egli aveva già dato qualche prova del suo sapere in tali discipline.

Nel Congresso degli Scienziati che si tenne in Napoli nel 1845 il Biondelli fece parte della Sezione archeologica, e ne fu Segretario, e come tale stese la relazione dei lavori e delle discussioni che vi si fecero, la quale venne stampata negli Atti del Congresso.

Il nuovo insegnamento di Archeologia ebbe principio nel 1851, nella sala di lettura annessa in quel tempo al Gabinetto Numismatico, e il Biondelli, innanzi a scelto e numerosissimo uditorio, vi lesse la prolusione (che fu poi stampata nel Crepuscolo di quell’anno) per indicare a larghi tratti la via che intendeva di percorrere nel corso biennale delle sue lezioni. “Egli si proponeva” (seguo le sue parole) “di esaminare tutti i monumenti architettonici delle antiche nazioni, prendendo le mosse dai Celtici, perchè più semplici e più strettamente collegati colle origini lombarde, per passare poi agli Etruschi, e quindi all’India dalla cui civiltà scaturirono l’assira e babilonese, la persiana e la egiziana, di ciascuna delle quali doveva trattare. Dall’Egitto egli passerà poscia nella Grecia e da questa in Boma, e trascorso così tutto il mondo antico, tratterà anche dei monumenti cristiani. Compiuta poi la ispezione generale dei monumenti architettonici dell’Asia, dell’Africa e dell’Europa egli si farà ad adombrare quelli degli antichi abitatori del Nuovo Mondo.”

Programma vastissimo ed audace davvero, che io ho voluto qui esporre perchè mi sembra caratteristico per mostrare qual fosse l’indole dell’ingegno e dell’insegnamento del prof. Biondelli.

Un saggio di codesto suo insegnamento diede il Biondelli pubblicando nel Crepuscolo del 1853 un breve Sunto di alcune lezioni sulle antichità americane.

Quando, nel 1861, il Biondelli inaugurava nella medesima sala del Gabinetto Numismatico il suo nuovo corso come professore della R. Accad. Scentifico-letter., le opinioni sue e i suoi propositi sul cómpito di un insegnamento superiore dell’Archeologia non erano mutati. Era sempre la vastità dei nuovi orizzonti archeologici che attraeva sopratutto e seduceva il Biondelli.

Ma oltre che colla viva parola dalla cattedra, il Biondelli promoveva qui a Milano lo studio e il culto dell’Archeologia in altri due modi; coll’illustrare, vale a dire, tutto quanto si conservasse in città o in Lombardia di antiche iscrizioni, o ruderi, o monumenti che non fossero già stati da altri convenientemente illustrati, e collo spingere le autorità competenti e le persone più autorevoli alla fondazione di un Museo Archeologico, il quale provvedesse “così alla coltura di storia patria come ad impedire l’ulteriore dispersione dei ruderi ohe vengono di mano in mano dissotterrati.”

Noi dobbiamo senza dubbio attribuire in gran parte a merito suo se Milano potè finalmente avere un Museo Archeologico non del tutto indegno della ricca città.

Nè ristava intanto egli dallo studiare le antichità milanesi e lombarde, e la illustrazione delle iscrizioni romane valse al Biondelli l’amicizia di Teodoro Mommsen, il quale quando venne a Milano per raccogliere anche in questa parte d’Italia i materiali per quella monumentale sua opera che è il Corpus inscriptionum latinarum, si giovò non poco della molta pratica e della profonda conoscenza ohe dei monumenti milanesi aveva il Biondelli, e di lui parla con assai lusinghiere espressioni in quel volume appunto ove sono raccolte le iscrizioni della regione lombarda.

La attività del Biondelli nella illustrazione delle antichità del paese fu per parecchi anni grandissima.

Nel 1863 egli qui descrisse un’antica necropoli etrusca scoperta nell’Umbria; nel 1864 riferisce intorno a un sepolcreto romano discoperto nella pianura sottoposta a Vergiate, sepolcreto che egli crede di dover attribuire all’epoca della decadenza romana, deducendolo da alcune monete e dai piccoli oggetti che vi si rinvennero. Di un altro sepolcreto scoperto a Vittuone egli rende conto nel 1868, rilevando il probabile significato simbolico di alcuni oggetti là ritrovati.

Due anni prima egli aveva richiamato l’attenzione sulle: Iscrizioni e monumenti romani scoperti ad Angera sul Verbano.

Di un’altra scoperta rese conto il Biondelli nel 1867, pubblicando la descrizione di Una tomba gallo-italica a Sesto Calende sul Ticino.

Che se la predilezione del Biondelli e la operosità sua erano sopratutto rivolte ai monumenti delle età più remote, non per questo egli trascurava quelli che potevano illustrare qualche punto della storia dell’età di mezzo.

Ed anche di storia più recente si occupò il Biondelli quando pubblicò un Nuovo documento storico relativo alle condizioni politico-economiche della città di Milano al tempo della conquista del Ducato fatta dal re di Francia Lodovico XII (Archivio Storico Lombardo, V, 1878).

Per ciò che concerne la numismatica, già nell’elogio che egli fece del conte Carlo Ottavio Castiglioni quando, il 5 settembre 1855, venne solennemente inaugurata la statua che gli fu eretta nel palazzo di Brera, il Biondelli diede prova di molta dottrina parlando con rara competenza della illustrazione che il Castiglioni aveva fatto delle monete cufiche del Gabinetto milanese, competenza riconfermata presto dopo nella pubblicazione di alcune interessanti Lettere inedite sulle zecche d’Italia del chiaro numismatico Guido Antonio Zanetti (Milano, 1861) con erudite annotazioni esplicative. Ma il primo lavoro che mostrasse quanto ormai il Biondelli fosse addentro in questi studj è la sua bella Memoria sulle Monete auree dei Goti in Italia presentata a questo R. Istituto nella tornata del 13 dicembre 1860, come rapporto di una Commissione che era stata nominata per rispondere a un quesito proposto da un dotto straniero, l’illustre numismatico francese C. Robert.

“Per unanime consenso dei dotti era ormai ammesso il fatto che i re Ostrogoti coniarono in Italia monete auree colle effigie degli Imperatori romani (Anastasio, Giustino I, Giustiniano) ad imitazione delle monete bizantine, sia per convenzione stipulata fra Teodorico e Zenone, sia per agevolarne il corso in commercio presso le popolazioni ormai avvezze al tipo imperiale”. Ma in quali zecche fossero state battute codeste monete non si sapeva. Il numismatico Lenormant, pochi anni prima aveva manifestato e sostenuto l’opinione che certe sigle o lettere isolate nell’area delle monete dovessero interpretarsi come iniziali dei nomi delle officine donde erano uscite e in tal modo era venuto a conchiudere che i Goti battessero monete d’oro non solo nelle città principali come Roma, Ravenna, Milano, ma anche in altre di minore importanza, quali p. es. Bologna, Verona, Vicenza, Pavia.

Il Biondelli con prudente e assennato riserbo mostra nel suo rapporto la incertezza di tali deduzioni fondate sopra base così poco sicura, e consiglia a non accettare, senza prove ulteriori e più convenienti, le conclusioni del dotto francese.

Qualche anno più tardi, nel 1869, pubblicò una estesa e assai pregevole Memoria su La Zecca e le Monete di Milano, nella quale riassumeva con molta diligenza quanto su questo argomento era già stato scritto prima, sopratutto in un accurato lavoro del conte Giovanni Mulazzani (Sulla Zecca di Milano dal secolo XIII fino ai giorni nostri) uscito nel 1834 nella Rivista Europea, e aggiungeva molte nuove notizie e osservazioni sue proprie, quali venivangli suggerite dalla lunga esperienza ormai fatta nel Gabinetto, e dal numero sommamente accresciuto delle monete ivi raccolte.

Parlando delle origini prime della zecca milanese asseriva allora il Biondelli che non volendo “affermar cosa che non sia da fatti indiscutibili dimostrata, conveniva limitarsi ad asserire che la serie incontrovertibile delle monete milanesi non incominciava che colle monete Carolingie e più precisamente con quelle di Lodovico il Pio.” Ma in lavori successivi che egli scrisse intorno alla nostra Zecca si accostò anch’egli sempre più all’opinione di altri chiari eruditi i quali sostennero che a Milano si battesse regolarmente moneta non solo durante il regno dei Longobardi, ma anche assai prima sotto il dominio dei Goti, e anzi già nel quarto secolo al tempo degli imperatori Teedosio e Valentiniano (395). Se non che solo da Carlo Magno in poi la zecca di Milano diventò veramente autonoma.

Egli passa in diligente rassegna la serie delle monete milanesi da quel tempo sino alla fine del secolo scorso, distribuendole in sei periodi storici, assegnando al primo le monete dei Carolingi e successivi re d’Italia, al secondo quelle degli Imperatori germanici (Case di Franconia, di Sassonia, di Svevia, 290 anni), al terzo le monete autonome della prima repubblica milanese comprendendo il governo dei consoli, e tutto il periodo Visconteo (fino a Filippo Maria, morto nel 1447, che fu l’ultimo della stirpe), al quarto le monete della repubblica Ambrosiana, degli Sforza e dei re di Francia (sino a Francesco II, morto nel 1535) e finalmente ai due ultimi periodi le monete dei re spagnuoli (da Carlo V a Filippo V, 1713) e quelle degli imperatori di Casa d’Austria (da Carlo VI a Francesco II) fino al trattato di Campo Formio (17 ottobre 1797).

Il sistema fondamentale di monetazione decretato da Carlo Magno per tutta la vasta sua monarchia, e ben presto introdotto anche in Italia, fu quello che regolò sempre pel corso di circa dieci secoli la monetazione della zecca milanese. Tale sistema fondato interamente sull’argento è prova, dice il Biondelli “della molto sapienza dalla quale furono dettate in generale le nuove istituzioni di quel Grande, essendo ormai pienamente dimostrati dalla ragione e dall’esperienza i difetti di un sistema monetale che sia fondato simultaneamente sopra due metalli diversi.”

E segue il Biondelli di secolo in secolo le vicissitudini del sistema monetale in uso nella nostra zecca e i turbamenti cui andò soggetto, notando “come interceda un nesso inseparabile e costante fra le vicende politiche delle nazioni e quelle della rispettiva moneta.”

Dà intera tutta la serie dei principi dei quali si conoscono monete coniate in Milano, discorre dei nomi diversi coi quali nei varii tempi queste furono distinte, e delle impronte e dei tipi loro, delle iscrizioni e leggende che vi furono impresse, del loro pregio artistico, della loro importanza storica, e conchiude la sua Memoria, assai bene elaborata e compiuta, col dichiarare “che la officina monetaria milanese, sotto qualsiasi aspetto si consideri, non solo è una illustrazione della metropoli lombarda, ma è ancora una gloria nazionale, dapoichè giureconsulti artisti ed eruditi di varie provincie concorsero in ogni tempo a mantenerla in onore.”

Pel Gabinetto cui era preposto aveva il Biondelli grandissima affezione, e illustrò con dotte Memorie alcune delle medaglie e delle monete più rare o più importanti che vi sono contenute. Così fra le altre egli descrisse, in seno a questo R. Istituto, due medaglioni imperiali greci correggendo la erronea attribuzione che prima n’era stata fatta. Uno si credeva che appartenesse alla città di Lampsaco nella Misia, l’altro a Stratonicea nella Caria; ma esaminata meglio l’impronta e letta più attentamente la leggenda egli mostrò come il primo sia da ascrivere alla città di Lamos in Cilicia che lo fece battere in onore dell’imperatore Elagabalo, e il secondo alla città di Temnus nell’Eolide. E il Biondelli nel fare codesta illustrazione diede bella prova di modestia e di lealtà assai lodevole dichiarando che la correzione gli era stata suggerita dal chiarissimo archeologo Waddington, quando questi venne a visitare il nostro gabinetto per maturare gli studj che egli stava facendo sull’Asia Minore.

Altra numerosa serie di monete illustrò nella dissertazione che pubblicò nell’Archivio Storico Lombardo (Vol. VI, 5-38) nel 1879, intorno all’origine del Cantone Ticinese intorno a Bellinzona e le sue monete edite ed inedite, mettendo sempre più in evidenza la sua diligente accuratezza, la sua larga dottrina e il suo acume.

Del Gabinetto Numismatico egli narrò pure la istoria con cura gelosa e appassionata. In una memoria scritta nel 1880 egli riporta un lungo e particolareggiato rapporto del valente suo antecessore l’archeologo Gaetano Cattaneo, al quale era dovuta la prima fondazione del Gabinetto e la sapiente sua coordinazione. In questo rapporto sono narrate le varie vicende della nuova istituzione, sorta dapprima col nome di Reale Gabinetto di medaglie e monete presso la vecchia zecca nel 1803, e traportata poi insieme colla propria biblioteca nel 1821 nel Palazzo di Brera, e resa autonoma col nuovo nome di Gabinetto Numismatico. Con leale compiacenza narra il Biondelli dei molti acquisti di importanti medaglieri e di rare monete fatti dal Cattaneo, degli incrementi continui che il Gabinetto ebbe per opera di lui e dei molti e costosi volumi di cui egli venne arricchendo la biblioteca che v’era annessa. A chi racconterà in avvenire le ulteriori vicende di questa preziosa raccolta toccherà di mettere in bella evidenza come essa sia stata notevolmente aumentata, durante i trentasei anni in cui l’ebbe in custodia il Biondelli, di quali e quante rare ed importanti monete sia stata arricchita, e come sopratutto fosse diventata insigne per numero di opere archeologiche splendidamente illustrate la sua biblioteca, quella biblioteca cui il Biondelli vide nel 1864, con vivo e non mai dimenticato dolore, fusa insieme colla Braidense.




PUBBLICAZIONI NUMISMATICHE

DI

bernardino biondelli.


Sulle monete auree dei Goti in Italia. Milano, Bernardoni, 1861, con tavole (anche negli Atti dell’istituto Lomb., Vol. II).

La Zecca e la moneta di Milano. Valentini, 1869; riprodotto con parecchie modificazioni nella Prefazione (di pag. 85) all’opera: Le monete di Milano da Carlo Magno a Vittorio Emanuele II, descritte e illustrate da Francesco ed Ercole Gnecchi. Milano, Dumolard, 1884.

Ricordo della Zecca di Milano (nell’Archivio Storico Lombardo, Anno V, pag. 449; 1878); riprodotto con lievi modificazioni nel capitolo: La Zecca, nel libro: Gli Istituti scientifici, letterarj ed artistici di Milano. Pirola, 1880.

Lettere inedite di Guido Antonio Zanetti sulle zecche d'Italia, con prefazione e note. Milano, 1861.

Cenni storici sul R. Gabinetto Numismatico di Milano. Milano, Bernardoni, 1872; riprodotto con lievi modificazioni nell’articolo: Il Gabinetto Numismatico, del libro: Gli Istituti scientifici, letterarj e artistici di Milano, nel 1880.

Dichiarazione di due medaglioni imperiali greci inediti del R. Gabinetto Numismatico di Milano; nei Rendiconti del R. Istituto Lombardo, 13 maggio 1880.

Dichiarazione di sessantatre monete pontificie inedite del Regio Gabinetto Numismatico di Milano. Milano, 1884.

Bellinzona e le sue monete edite ed inedite (Origine del Cantone Ticino), Archivio Storico Lombardo, Vol. VI, pag. 5-38, anno 1879.



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