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Benchè la sacra mano Quando Febo al re Ferèo
Questo testo fa parte della raccolta Canzoni di Gabriello Chiabrera


II

IN LODE DEL SIGNOR

GIO. VINCENZO IMPERIALE

Per lo stato rustico ec.

Con la scorta possente
     Delle Muse immortali
     Alti alberghi reali
     Io trascorsi sovente:
     5Ivi d’oro lucente
     Vidi coperte fiammeggiar le mura,
     E con vaghi colori

     Ingannar gli occhi altrui nobil pittura.
     Vidi eccelsi lavori
     10In marmi peregrini,
     E con arte infinita
     Dar sembianza di vita
     A dari sassi alpini.
Ivi pur gli occhi miei
     15Ben sovente ammiraro
     Allor che rimiraro
     Altissimi Imenei.
     Cetre di novi Orfei
     Alle vestigia altrui volgeano il freno;
     20E femminil beltate
     Altrui spargea di care fiamme il seno;
     Bionde chiome gemmate,
     E di vivo ostro aspersi
     Bei sorrisi cortesi
     25Foco di guardi accesi,
     Miracolo a vedersi.
O lucid’acque e vive
     Del real Mincio ombroso,
     O d’Arno glorïoso
     30Incliti Numi e Dive,
     Qual sulle vostre rive
     Già vidi ornarsi e passeggiar destrieri?
     E ’n simulati assalti
     Quaggiù governa i regni.
     35Pur sazio il guardo mio
     Quai vidi aste vibrar veri guerrieri?
     Vidi fra gemme e smalti
     Così splendere un giorno
     Ampi teatri egregi,
     40Che d’ogni antico i fregi
     Volano meno intorno.
Ivi non pur sul mare
     Mosse finto Aquilone,
     Ma dell’alma Giunone
     45Le nubi or fosche, or chiare:
     Ivi siccome appare
     Del Gange uscendo a seminar rugiade
     Sorse bugiarda Aurora
     E del cielo illustrò l’alme contrade;
     50Così forte avvalora
     I peregrini ingegni
     Nel corpo infermo e frale,
     Se destra liberale
     Quaggiù governa i regni.
55Pur sazio il guardo mio
     Di pompa e d’alterezza,
     Or solamente apprezza
     Non superbo disío:
     Corso di puro rio,
     60Che serpeggiando lava erma campagna,
     Par, ch’oggi a sè mi chiami,
     E rosignuol, che sul mattin si lagna
     Entro selvaggi rami.
     Deh chi mi scorge dove
     65Io goda ombre romite?
     E piagge colorite?
     E fresche erbette e nove?
Ove d’Arcadia i monti,
     Desiderate sedi
     70Dalle città, miei piedi
     A colà gir son pronti:
     Tu, che gli Aonii fonti
     Governi Euterpe, d’Aganippe l’onde,
     Additami il sentiero;
     75Sì dico, ed a’ miei detti ella risponde:
     Dolce e gentil pensiero,
     Fedel, t’infiamma il petto;
     Alla virtude odiata
     Piaggia disabitata
     80È ben grato ricetto.
Da che ferro ed acciaro
     Divenne infra la gente
     Quel primo oro lucente
     A rimembrar sì caro,
     85Intra i boschi volaro
     Pace ed Amore, e ratto seco insieme
     Tranquillità sen venne;
     Indi conforto, e non frodata speme
     Seco spiegò le penne,
     90Sì tra foreste oscure
     Stansi le Dee giojose
     Per l’anime orgogliose
     Mal note, e ben sicure.
Or s’al vulgo nemico
     95Le pompe a dietro lassi,
     Governerà tuoi passi
     Spirto di Febo amico,
     Chiaro per sangue antico,
     Fulgida stella alla Liguria splende;
     100E su leggiadre piume
     Contro le nubi inverso il cielo ascende,
     E suo gentil costume
     Di dolci preghi al suono
     Pronta porger la mano,
     105Ed io nel corso umano
     Giammai non l’abbandono.

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