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NEL BOSCO.
Quando si entra nel parco, un vivissimo bagliore fa chiudere gli occhi; — ma si riaprono subito perchè si vuol vedere, si vuol sorridere, si vuole ammirare. L’animo è inclinato a trovare tutto buono e bello, la fantasia calza i coturni di festa, ogni pensiero di tristezza è dimenticato; si vorrebbe raddoppiare, triplicare la potenza visiva. Il paesaggio è vasto; sono viali interminabili, tracciati con un rettifilo egualissimo, bianchi, polverosi, senza un sassolino o una erbuccia parassita; ai due lati grandi prati di trifoglio, lasciato crescere a quattro dita da terra e che vi dà una uniformità di verde, senza la più piccola gradazione; a regolari intervalli, gruppi di alberi tagliati a capanne, a scaglioni, non un ramo fuori di posto; enormi masse di acque silenziose e con un moto così lento, che pare siano ferme — ed in ultimo un orizzonte largo, largo, aperto, che non cela nulla. Si guarda tutto questo, si vuole abbozzare un sorriso, ma riesce male, non è sincero; si pruova quasi un senso di delusione: si vorrebbe chiedere se questo è tutto e non si osa per timore di sembrare ignoranti o incontentabili; si fissa ansiosamente l’angolo del viale, sperando di trovare dopo quello il nuovo, l’incantevole. Ecco, l’angolo è girato....: viali polverosi, prati di trifoglio, orizzonte senza fine; è sempre lo stesso spettacolo: allora quelle linee grandi, pure, armoniche, cominciano a stancarvi, a mettervi nell’anima una malinconia indefinita. Questa mestizia viene forse dagli alberi, che hanno un’aria saggia e riflessiva, come persone che abbiano esperimentato la vita; forse si eleva da quelle acque brune e senza riflessi che se ne vanno alla loro via senza fare scappate giovanili; forse è la luce sfolgorante, crudelmente ripercossa dai bianchi viali; forse è la inutile ricerca di un angolo fresco, ombroso, nascosto, dove riposare l’occhio — ed è forse tutto questo insieme. Perchè è lo spasimo della Natura a cui sono state imposte le leggi della prospettiva, della geometria, della idraulica e di non so quante altre orribili parole greche e latine; è la umiliazione, la sommissione di una potenza ad un’altra. Però la vittoria dell’uomo può paragonarsi ad una sconfitta; quello è uno spettacolo magnifico, ma non ha anima, è morto: in quel parco non vi è mezzo nè di amare, nè di sognare, nè di vivere....
— Queste, — ripete la voce fredda e cadenzata della guida — sono le reali delizie....
Se i re hanno solo quelle delizie là!
⁂
In un cantuccio semi-nascosto vi è un cancello. I visitatori l’oltrepassano di rado, perchè giunti a quel punto ne hanno già abbastanza e provano un desiderio vago di fuggire. Solo qualche testa strana, qualche touriste infaticabile, malgrado abbia inteso che quello è il bosco e che non ci si entra in carrozza, si decide ad esaurire le forze delle sue gambe e si fa aprire il cancello.
Qui la vegetazione è libera, le piante crescono invadendo il regno dell’aria coi robusti polloni e penetrando la terra con le grosse radici: i rami si dividono, si moltiplicano, s’intrecciano allegramente. Le fronde salgono, scendono, fanno capolino dappertutto; sono brune in cima, pallide al basso, e presentano tutte le più delicate tinte del verde, da quello opalino, trasparente, aereo, sino al vigoroso e forte che quasi sembra nero. Il sole manda negli interstizi certi raggi sottili sottili che paiono capelli biondi luminosi, getta in terra tanti cerchietti lucidi che sono la sua piccola e ridente immagine; la luce è buona, la luce è soave nel bosco. Malgrado la stagione avanzata spuntano ancora gli anemoni, protetti dalla frescura, e le lucertoline brillanti schizzano tra le alte erbe — i sentieri non sembrano tracciati, vi sono labirinti, crocicchi, salite, discese; ogni tanto un vano azzurro che si allarga, si allarga: è la pianura inondata di luce; è scomparsa, ecco il bosco un’altra volta. Il bosco sorride, parla, canta: si odono dintorno lievi sospiri di benessere, voci indistinte e vaghe, confusi mormorii che sembrano parole di gioia balbettate da labbra infantili. Giungono odori forti e sani, leggermente aspri: sono i profumi energici di quegli alberi vigorosi, è lo scoppio della loro gioventù, è il succhio impetuoso di vita che sale in essi e rompe la corteccia. Calma meravigliosa in tanta vitalità — sicurezza profonda in tanta libertà.
Allora l’azione benefica della natura si manifesta, l’uomo si sente sollevato, sulla fronte bruciata dal sole pare sia passata una mano leggera e carezzevole: entra in lui, per tutti i pori, una nuova parte di vita, di vita ridente e felice. Per la prima volta egli si trova davanti alla più sublime delle verità fisiche, perchè la luce, i profumi, i mormorii gli arrivano come palpiti, vibrazioni di aria; le sue sensazioni sono piene, complete, perfette, ed ognuna di esse riassume tutte le altre e tutte concorrono all’equilibro dell’anima e del corpo. L’uomo pensa; pensa alla stirpe dei primi, vigorosi terrigeni che adorarono la terra come madre e come dea; ai giocondi tempi dì Evandro e di Saturno; pensa alle foreste ombrose, alle sconfinate pianure, alle montagne nevose, a tutti i liberi svolgimenti della natura. L’uomo ama e sogna nel bosco, dove ride la luce e si nasconde la pervinca. E quando domani ritornerà alle strade rumorose, alle sale soffocanti, alle veglie prolungate, porterà in sè un ricordo pieno di soavità e di freschezza; la buona Natura, avrà messo una nota di verde nella affannosa ed incessante lotta dell’esistenza.
- Bosco di Caserta, giugno 1878.