Questo testo è completo. |
◄ | Giornata quarta - Novella prima | Giornata quarta - Novella terza | ► |
[II]
Frate Alberto dá a vedere ad una donna che l’agnol Gabriello è di lei innamorato, in forma del quale piú volte si giace con lei; poi, per paura de’ parenti di lei della casa gittatosi, in casa d’un povero uomo ricovera, il quale in forma d’uom salvatico il dí seguente nella piazza il mena, dove riconosciuto e da’ suoi frati preso, è incarcerato.
Aveva la novella dalla Fiammetta raccontata le lagrime piú volte tirate infino in su gli occhi alle sue compagne; ma quella giá essendo compiuta, il re con rigido viso disse: — Poco prezzo mi parrebbe la vita mia a dover dare per la metá diletto di quello che con Guiscardo ebbe Ghismunda, né se ne dèe di voi maravigliare alcuna, con ciò sia cosa che io, vivendo, ognora mille morti sento, né per tutte quelle una sola particella di diletto m’è data. Ma lasciando al presente li miei fatti ne’ lor termini stare, voglio che ne’ fieri ragionamenti, ed a’ miei accidenti in parte simili, Pampinea ragionando seguisca; la quale se, come Fiammetta ha cominciato, andrá appresso, senza dubbio alcuna rugiada cadere sopra il mio fuoco comincerò a sentire.
Pampinea, a sé sentendo il comandamento venuto, piú per la sua affezione conobbe l’animo delle compagne che quello del re per le sue parole, e per ciò, piú disposta a dovere alquanto ricrear loro che a dovere, fuori che del comandamento solo, il re contentare, a dire una novella, senza uscir del proposto, da ridere si dispose, e cominciò:
Usano i volgari un cosí fatto proverbio: «Chi è reo, e buono è tenuto, può fare il male e non è creduto»; il quale ampia materia a ciò che m’è stato proposto mi presta di favellare, ed ancora a dimostrare quanta e quale sia l’ipocresia de’ religiosi, li quali co’ panni larghi e lunghi e co’ visi artificialmente pallidi e con le voci umili e mansuete nel domandar l’altrui, ed altissime e rubeste in mordere negli altri li loro medesimi vizi e nel mostrar, sé per tôrre ed altri per lor donare venire a salvazione, ed oltre a ciò, non come uomini che il paradiso abbiano a procacciare come noi, ma quasi come possessori e signori di quello danti a ciaschedun che muore, secondo la quantitá de’ denari loro lasciata da lui, piú e meno eccellente luogo, con questo prima se medesimi, se cosí credono, e poscia coloro che in ciò alle loro parole dan fede sforzansi d’ingannare. De’ quali se quanto si convenisse fosse licito a me dimostrare, tosto dichiarirei a molti semplici quello che nelle lor cappe larghissime tengon nascoso. Ma ora fosse piacere di Dio che cosí delle loro bugie a tutti intervenisse come ad un frate minore, non miga giovane, ma di quelli che de’ maggior cassesi era tenuto a Vinegia; del quale sommamente mi piace di raccontare, per alquanto gli animi vostri pieni di compassione per la morte di Ghismunda forse con risa e con piacer rilevare.
Fu adunque, valorose donne, in Imola uno uomo di scellerata vita e di corrotta il quale fu chiamato Berto della Massa, le cui vituperose opere molto dagl’imolesi conosciute a tanto il recarono, che, non che la bugia, ma la veritá non era in Imola chi gli credesse; per che, accorgendosi quivi piú le sue gherminelle non aver luogo, come disperato, a Vinegia, d’ogni bruttura ricevitrice, si trasmutò, e quivi pensò di trovare altra maniera al suo malvagio adoperare che fatto non aveva in altra parte. E quasi da coscienza rimorso delle malvage opere nel preterito fatte da lui, da somma umiltá soprappreso mostrandosi ed oltre ad ogni altro uomo divenuto catolico, andò e sí si fece frate minore, e fecesi chiamare frate Alberto da Imola: ed in tale abito cominciò a far per sembianti un’aspra vita ed a commendar molto la penitenza e l’astinenza, né mai carne mangiava né bevea vino, quando non n’avea che gli piacesse. Né se ne fu appena avveduto alcuno, che di ladrone, di ruffiano, di falsario, d’omicida subitamente fu un gran predicator divenuto, senza aver per ciò i predetti vizi abbandonati, quando nascosamente gli avesse potuti mettere in opera. Ed oltre a ciò, fattosi prete, sempre all’altare, quando celebrava, se da molti veduto era, piagneva la passione del Salvatore, sí come colui al quale poco costavan le lagrime quando le volea. Ed in brieve, tra con le sue prediche e le sue lagrime, egli seppe in sí fatta guisa li viniziani adescare, che egli quasi d’ogni testamento che vi si faceva era fedecommessario e dipositario, e guardatore di denari di molti, confessore e consigliatore quasi della maggior parte degli uomini e delle donne: e cosí faccendo, di lupo era divenuto pastore, ed era la sua fama di santitá in quelle parti troppo maggiore che mai non fu di san Francesco ad Ascesi. Ora, avvenne che una giovane donna bamba e sciocca che chiamata fu madonna Lisetta da ca’ Quirino, moglie d’un gran mercatante che era andato con le galee in Fiandra, s’andò con altre donne a confessar da questo santo frate; la quale essendogli a’ piedi, sí come colei che viniziana era, ed essi son tutti bergoli, avendo parte detta de’ fatti suoi, fu da frate Alberto addomandata se alcuno amadore avesse. Al quale ella con un mal viso rispose: — Deh! messer lo frate, non avete voi occhi in capo? Paionvi le mie bellezze fatte come quelle di queste altre? Troppi n’avrei degli amadori, se io ne volessi: ma non son le mie bellezze da lasciare amare da tale né da quale. Quante ce ne vedete voi, le cui bellezze sien fatte come le mie, che sarei bella nel paradiso? — Ed oltre a ciò, disse tante cose di questa sua bellezza, che fu un fastidio ad udire. Frate Alberto conobbe incontanente che costei sentia dello scemo, e parendogli terreno da’ ferri suoi, di lei subitamente ed oltre modo s’innamorò: ma riserbandosi in piú commodo tempo le lusinghe, pur per mostrarsi santo quella volta cominciò a volerla riprendere ed a dirle che questa era vanagloria, ed altre sue novelle; per che la donna gli disse che egli era una bestia e che egli non conosceva che si fosse piú una bellezza che un’altra, per che frate Alberto, non volendola troppo turbare, fattale la confessione, la lasciò andar via con l’altre. E stato alquanti dí, preso un suo fido compagno, n’andò a casa madonna Lisetta, e trattosi da una parte in una sala con lei e non potendo da altri esser veduto, le si gittò davanti inginocchione, e disse: — Madonna, io vi priego per Dio che voi mi perdoniate di ciò che io domenica, ragionandomi voi della vostra bellezza, vi dissi, per ciò che sí fieramente la notte seguente gastigato ne fui, che mai poscia da giacere non mi son potuto levar se non oggi. — Disse allora donna mestola: — E chi ve ne gastigò cosí? — Disse frate Alberto: — Io il vi dirò. Standomi io la notte in orazione, sí come io soglio star sempre, io vidi subitamente nella mia cella un grande splendore, né prima mi potei volger per veder che ciò fosse, che io mi vidi sopra un giovane bellissimo con un grosso bastone in mano, il quale, presomi per la cappa e tiratomisi a’ piè, tante bastonate mi die’, che tutto mi ruppe. Il quale io appresso domandai perché ciò fatto avesse, ed egli rispose: — Per ciò che tu presummesti oggi di riprendere le celestiali bellezze di madonna Lisetta, la quale io amo, da Dio in fuori, sopra ogni altra cosa. — Ed io allora domandai: — Chi siete voi? — A cui egli rispose che era l’agnol Gabriello. — O signor mio, — dissi io — io vi priego che voi mi perdoniate. — Ed egli allora disse: — Ed io ti perdono per tal convenente, che tu a lei vadi come tu prima potrai, e facciti perdonare: e dove ella non ti perdoni, io ci tornerò e darottene tante, che io ti farò tristo per tutto il tempo che tu ci viverai. — Quello che egli poi mi dicesse, io non ve l’oso dire, se prima non mi perdonate. — Donna zucca-al-vento, la quale era anzi che no un poco dolce di sale, godeva tutta udendo queste parole e verissime tutte le credea, e dopo alquanto disse: — Io vi diceva ben, frate Alberto, che le mie bellezze eran celestiali; ma, se Dio m’aiuti, di voi m’incresce, ed infino da ora, acciò che piú non vi sia fatto male, io vi perdono, sí veramente che voi mi diciate ciò che l’agnolo poi vi disse. — Frate Alberto disse: — Madonna, poi che perdonato m’avete, io il vi dirò volentieri; ma una cosa vi ricordo, che cosa che io vi dica voi vi guardiate di dire ad alcuna persona che sia nel mondo, se voi non volete guastare i fatti vostri, che siete la piú avventurata donna che oggi sia al mondo. Questo agnol Gabriello mi disse che io vi dicessi che voi gli piacete tanto, che piú volte a starsi con voi venuto la notte sarebbe, se non fosse per non ispaventarvi. Ora, vi manda egli dicendo per me che a voi vuol venire una notte e dimorarsi una pezza con voi; e per ciò che egli è agnolo e venendo in forma d’agnolo voi noi potreste toccare, dice che per diletto di voi vuol venire in forma d’uomo, e per ciò dice che voi gli mandiate a dire quando volete che egli venga ed in forma di cui, ed egli ci verrá; di che voi, piú che altra donna che viva, tenervi potete beata. — Madonna baderla allora disse che molto le piaceva se l’agnolo Gabriello l’amava, per ciò che ella amava ben lui, né era mai che una candela d’un mattapan non gli accendesse davanti dove dipinto il vedea; e che qualora egli volesse a lei venire egli fosse il ben venuto, ché egli la troverebbe tutta sola nella sua camera: ma con questo patto, che egli non dovesse lasciar lei per la Vergine Maria, ché l’era detto che egli le voleva molto bene, ed anche si pareva, ché in ogni luogo che ella il vedeva, le stava inginocchione innanzi; ed oltre a questo, che a lui stesse di venire in qual forma volesse, pure che ella non avesse paura. Allora disse frate Alberto: — Madonna, voi parlate saviamente, ed io ordinerò ben con lui quello che voi mi dite. Ma voi mi potete fare una gran grazia, ed a voi non costerá niente: e la grazia è questa, che voi vogliate che egli venga con questo mio corpo. Ed udite in che voi mi farete grazia: che egli mi trarrá l’anima mia di corpo e metteralla in paradiso, ed egli entrerá in me, e quanto egli stará con voi, tanto si stará l’anima mia in paradiso. — Disse allora donna poco-fina: — Ben mi piace; io voglio che, in luogo delle busse le quali egli vi diede a mie cagioni, che voi abbiate questa consolazione. — Allora disse frate Alberto: — Or farete che questa notte egli truovi la porta della vostra casa per modo che egli possa entrarci, per ciò che venendo in corpo umano, come egli verrá, non potrebbe entrare se non per l’uscio. — La donna rispose che fatto sarebbe. Frate Alberto si partí, ed ella rimase faccendo sí gran galloria, che non le toccava il cui la camiscia, mille anni parendole che l’agnolo Gabriello a lei venisse. Frate Alberto, pensando che cavaliere, non agnolo, esser gli convenia la notte, con confetti ed altre buone cose s’incominciò a confortare, acciò che di leggeri non fosse da caval gittato; ed avuta la licenza, con un compagno, come notte fu, se n’entrò in casa d’una sua amica, dalla quale altra volta aveva prese le mosse quando andava a correr le giumente: e di quindi, quando tempo gli parve, trasformato se n’andò a casa della donna, ed in quella entrato, con sue frasche che portate aveva, in agnolo si trasfigurò, e salitosene suso, se n’entrò nella camera della donna. La quale, come questa cosa cosí bianca vide, gli s’inginocchiò innanzi, e l’agnolo la benedisse e levolla in piè, e fecele segno che a letto s’andasse; il che ella, volonterosa d’ubidire, fece prestamente, e l’agnolo appresso con la sua divota si coricò. Era frate Alberto bello uomo del corpo e robusto, e stavangli troppo bene le gambe in su la persona; per la qual cosa, con donna Lisetta trovandosi che era fresca e morbida, altra giacitura faccendole che il marito, molte volte la notte volò senza ali, di che ella forte si chiamò per contenta: ed oltre a ciò, molte cose le disse della gloria celestiale. Poi, appressandosi il dí, dato ordine al ritornare, co’ suoi arnesi fuor se n’uscí e tornossi al compagno suo, al quale, acciò che paura non avesse dormendo solo, aveva la buona femina della casa fatta amichevole compagnia. La donna, come desinato ebbe, presa sua compagnia, se n’andò a frate Alberto e novelle gli disse dell’agnol Gabriello e ciò che da lui udito avea della gloria di vita eterna e come egli era fatto, aggiugnendo oltre a questo maravigliose favole. A cui frate Alberto disse: — Madonna, io non so come voi vi steste con lui; so io bene che stanotte, venendo egli a me ed io avendogli fatta la vostra ambasciata, egli ne portò subitamente l’anima mia tra tanti fiori e tra tante rose, che mai non se ne videro di qua tante, e stettimi in un de’ piú dilettevoli luoghi che fosse mai infino a stamane a matutino: quello che il mio corpo si divenisse, io non so. — Non vel dico io? — disse la donna — Il vostro corpo stette tutta notte in braccio mio con l’agnol Gabriello; e se voi non mi credete, guateretevi sotto la poppa manca, lá dove io diedi un grandissimo bascio all’agnolo, tale che egli vi si parrá il segnale parecchi dí. — Disse allora frate Alberto: — Ben farò oggi una cosa che io non feci giá è gran tempo piú, che io mi spoglierò per vedere se voi dite il vero. — E dopo molto cianciare la donna se ne tornò a casa; alla quale in forma d’agnolo frate Alberto andò poi molte volte senza alcuno impedimento ricevere. Pure avvenne un giorno che, essendo madonna Lisetta con una sua comare ed insieme di bellezze quistionando, per porre la sua innanzi ad ogni altra, sí come colei che poco sale avea in zucca, disse: — Se voi sapeste a cui la mia bellezza piace, in veritá voi tacereste dell’altre. — La comare, vaga d’udire, sí come colei che ben la conoscea, disse: — Madonna, voi potreste dir vero: ma tuttavia, non sappiendo chi questo si sia, altri non si rivolgerebbe cosí di leggeri. — Allora la donna, che piccola levatura avea, disse: — Comare, egli non si vuol dire, ma lo ’ntendimento mio è l’agnolo Gabriello, il quale piú che sé m’ama, sí come la piú bella donna, per quello che egli mi dica, che sia nel mondo o in maremma. — La comare ebbe allora voglia di ridere, ma pur si tenne per farla piú avanti parlare, e disse: — In fé di Dio, madonna, se l’agnolo Gabriello è vostro intendimento e dicevi questo, egli dèe bene esser cosí; ma io non credeva che gli agnoli facesson queste cose. — Disse la donna: — Comare, voi siete errata, per le plaghe di Dio: egli il fa meglio che mio marido, e dicemi che egli si fa anche colá sú, ma, per ciò che io gli paio piú bella che niuna che ne sia in cielo, s’è egli innamorato di me e viensene a star con meco bene spesso: mo vedivu? — La comare, partita da madonna Lisetta, le parve mille anni che ella fosse in parte ove ella potesse queste cose ridire; e ragunatasi ad una festa con una gran brigata di donne, loro ordinatamente raccontò la novella. Queste donne il dissero a’ mariti e ad altre donne, e quelle a quelle altre, e cosí in meno di due di ne fu tutta ripiena Vinegia. Ma tra gli altri a’ quali questa cosa venne agli orecchi furono i cognati di lei, li quali, senza alcuna cosa dirle, si posero in cuore di trovar questo agnolo e di sapere se egli sapesse volare: e piú notti stettero in posta. Avvenne che di questo fatto alcuna novelluzza ne venne a frate Alberto agli orecchi; il quale, per riprender la donna una notte andatovi, appena spogliato s’era, che i cognati di lei, che veduto l’avevan venire, furono all’uscio della sua camera per aprirlo. Il che frate Alberto sentendo, ed avvisato ciò che era, levatosi né veggendo altro rifugio, aperse una finestra la qual sopra il maggior canal rispondea, e quindi si gittò nell’acqua. Il fondo v’era grande ed egli sapeva ben notare, sì che male alcun non si fece: e notato dall’altra parte del canale, in una casa che aperta v’era prestamente se n’entrò, pregando un buono uomo che dentro v’era che per l’amor di Dio gli scampasse la vita, sue favole dicendo perché quivi a quella ora ed ignudo fosse. Il buono uomo, mosso a pietá, convenendogli andare a far sue bisogne, nel suo letto il mise, e dissegli che quivi infino alla sua tornata si stesse; e dentro serratolo, andò a fare i fatti suoi. I cognati della donna, entrati nella camera, trovarono che l’agnol Gabriello, quivi avendo lasciate l’ali, se n’era volato; di che quasi scornati grandissima villania dissero alla donna, e lei ultimamente sconsolata lasciarono stare ed a casa loro tornarsi con gli arnesi dell’agnolo. In questo mezzo, fattosi il dì chiaro, essendo il buono uomo in sul Rialto, udí dire come l’agnolo Gabriello era la notte andato a giacere con madonna Lisetta, e da’ cognati trovatovi, s’era per paura gittate nel canale, né si sapeva che divenuto se ne fosse; per che prestamente s’avvisò, colui che in casa avea esser desso: e lá venutosene e riconosciutolo, dopo molte novelle, con lui trovò modo che, se egli non volesse che a’ cognati di lei il desse, gli facesse venire cinquanta ducati; e cosí fu fatto. Ed appresso questo, disiderando frate Alberto d’uscir di quindi, gli disse il buono uomo: — Qui non ha modo alcuno, se giá in un non voleste. Noi facciamo oggi una festa, nella quale chi mena uno uomo vestito a modo d’orso e chi a guisa d’uom salvatico e chi d’una cosa e chi d’un’altra, ed in su la piazza di San Marco si fa una caccia, la qual fornita, è finita la festa: e poi ciascun va, con quel che menato ha, dove gli piace; se voi volete, anzi che spiar si possa che voi siate qui, che io in alcun di questi modi vi meni, io vi potrò menare dove voi vorrete; altramenti non veggio come uscirci possiate che conosciuto non siate: ed i cognati della donna, avvisando che voi in alcun luogo quinc’entro siate, per tutto hanno messe le guardie per avervi.— Come che duro paresse a frate Alberto l’andare in cotal guisa, pur per la paura che aveva de’ parenti della donna vi si condusse, e disse a costui dove voleva esser menato: e come il menasse, era contento. Costui, avendol giá tutto unto di mèle ed empiuto di sopra di penna matta, e messagli una catena in gola ed una maschera in capo, e datogli dall’una mano un gran bastone e dall’altra due gran cani che dal macello avea menati, mandò uno al Rialto che bandisse che chi volesse veder l’agnol Gabriello andasse in su la piazza di San Marco: e fu lealtá viniziana questa. E questo fatto, dopo alquanto il menò fuori e miselsi innanzi, ed andandol tenendo per la catena di dietro, non senza gran romore di molti che tutti dicean: — Che sè quel? che sè quel? — il condusse in su la piazza, dove, tra quegli che venuti gli eran dietro e quegli ancora che, udito il bando, dal Rialto venuti v’erano, erano gente senza fine. Questi, lá pervenuto, in luogo rilevato ed alto legò il suo uom salvatico ad una colonna, sembianti faccendo d’attender la caccia; al quale le mosche ed i tafani, per ciò che di mèle era unto, davan grandissima noia. Ma poi che costui vide la piazza ben piena, faccendo sembianti di volere scatenare il suo uom salvatico, a frate Alberto trasse la maschera dicendo: — Signori, poi che il porco non viene alla caccia, e non si fa, acciò che voi non siate venuti invano, io voglio che voi veggiate l’agnolo Gabriello, il quale di cielo in terra discende la notte a consolare le donne viniziane. — Come la maschera fu fuori, cosí fu frate Alberto incontanente da tutti conosciuto; contra il quale si levaron le grida di tutti, dicendogli le piú vituperose parole e la maggior villania che mai ad alcun ghiotton si dicesse, ed oltre a questo per lo viso gittandogli chi una lordura e chi un’altra: e cosí grandissimo spazio il tennero, tanto che, per ventura la novella a’ suoi frati pervenuta, infino a sei di loro mossisi quivi vennero, e gittatagli una cappa indosso e scatenatolo, non senza grandissimo romor dietro, infino a casa loro nel menarono, dove incarceratolo, dopo misera vita si crede che egli morisse. Cosí costui, tenuto buono e male adoperando, non essendo creduto, ardi di farsi l’agnolo Gabriello, e di questo in uom salvatico convertito, a lungo andare, come meritato avea, vituperato senza prò pianse i peccati commessi. Cosí piaccia a Dio che a tutti gli altri possa intervenire.