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DI ZOSIMO
CONTE ED AVVOCATO DEL FISCO
DELLA NUOVA ISTORIA
LIBRO SESTO
Alarico dunque vedendo indegnissimamente schernite le giustissime sue domande corre alla testa dell’intero esercito la via di Roma, fermo nel proposito di continuarne l’assedio. Costantino usurpatore della Celtica tirannide mandò intrattanto ad Onorio l’ambasciatore Giovio, personaggio di gran sapere e modello d’ogni virtù, chiedendogli la conferma della pace ed il perdono della morte data agli imperiali congiunti, Didimio e Vereniano, purgandosi di tal colpa col negare avvenutane l’uccisione per voler suo. L’ambasciatore quindi all’osservare Onorio assai gravemente commosso proposegli quale ottimo partito, occupato essendo nelle Italiane vicende, il piegar l’animo a qualche concessione; di più assicurollo che s’egli potesse, di ritorno a Costantino, renderlo consapevole di quanto in Italia si passava, non guari dopo riverrebbe con tutte le Celtiche, Ispaniche e Britanniche truppe in aiuto dell’Italia e Roma. A tali condizioni ebb’egli licenza di partire.
Del resto intralasciata sin qui una regolare narrativa delle Celtiche faccende crediamo di ragione il riferire in questo luogo ed alla spicciolata l’andamento loro infino dagli anni trascorsi. Regnando tuttora Arcadio, e sotto il consolato di Onorio per la settima volta e di Teodosio per la seconda, le Britanniche truppe sollevatesi collocano Marco in trono, prestandogli come sovrano obbedienza. Uccisolo poscia, mostratosi disadatto alle costumante della nazione, surrogangli Graziano e addobbato di porpora e diadema lo corteggiano non altramente che imperatore. Ma dopo quattro mesi disapprovatone il reggimento levangli impero e vita, conferendo il primo a Costantino, ed il nuovo principe, data la capitananza delle Celtiche milizie a Giustiniano e Nevigastio parte dalla Britannia. Messo piede in Bologna (città della inferiore Germania e la prima vicino al mare) dimorovvi alcuni giorni, e conciliatisi tutti gli eserciti sparti dalle Alpi infino alla Gallia ed all’Italia ritenea assicurata la stabilità del suo impero. Stilicone trattanto mandagli contro l’esercito datone il comando al duce Saro, il quale raggiunto Giustiniano e spentolo ad una colla maggior parte de’ militi conquistò ricchissima preda. Udito poi il ritiramento di Costantino in Valenza, città idonea a difenderlo, stabilì assediarla. Nevigastio, l’altro comandante, volendo seco parlare di pace ebbe amichevole accoglienza, ma, quantunque sacramentatosi da entrambi, fu di colpo ucciso, Saro violata avendo la santità del giuro.
Da Costantino allora supplita essendosi la costoro morte col Franco Edobinco1 e col Britannico Geronzio, Saro paventandone la perizia ed il valore nell’arte bellica, dopo sette giorni d’assedio abbandonò Valenza. I duci di Costantino allora con poderosissime forze avventatiglisi contro lo vinsero, lasciandogli agio a pena di sottrarsi con gran fatica dalla prigionia. Tutto il bottino accordato fu ai Bacaudi2, venuti colà dalle Alpi, onde ottenere da loro il passo alla volta d’Italia, suolo anche da Saro in perfetta salvezza ricalcato. Costantino poi, ragunato l’intero esercito determinossi a mettere acconci presidj nelle Alpi. Tre di numero elle sono, che dai Celti ed eziandio sin oltre chiudono i sentieri conducenti in Italia, vo’ dire le Cozzie, le Pennine e le Marittime, e di questo imperiale divisamente propongomi narrare la cagione.
Negli anni addietro sotto il consolato di Arcadio per la sesta volta e di Probo, i Vandali cogli Svevi ed Alani superati detti poggi diedero il guasto alle popolazioni Transalpine, e fattane orrenda strage addivennero formidabili anche agli eserciti de’ Britanni, i quali pigliati da gravissimo timore del nemico avanzamento elessersi dei tiranni, Marco, Graziano e poscia Costantino. I Romani venuti a fiera battaglia contro all'ultimo riportaronne manifesta vittoria, spento rimasovi il più de’ barbari, ma trascurando incalciare i fuggenti (chè di tutti sarebbesi fatta strage) diedono loro tempo di riparare alla tocca sconfitta e ragunata numerosa oste pareggiare altra fiata le imperiali forze. Costantino adunque locò presidio in que’ luoghi onde impedire ai nemici il valico nelle Gallie. Mise parimente al Reno, dai tempi del principe Giuliano negletto, idonee truppe. Così disposti gli affari della universa Gallia invia nella Spagna il suo primogenito Costante ornato de’ cesarei distintivi. Imperciocchè bramava pure colà ridurre sotto la sua giurisdizione tutte le genti, estendere i limiti dell’impero, ed anche abbattervi la potenza della imperiale famiglia, paventando non ella assoldasse ivi truppe onde, superato il monte Pirene, assalirlo, ed Onorio dall’Italia, menandogli contro gli eserciti e circondandolo da ogni lato, non lo privasse della tirannide. Costante dunque con seco il duce Terenzio ed Apollinare prefetto del pretorio, date agli ordini palatini le magistrature così militari come urbane, si trasferì in Ispagna, ed assistito dai prefati duci muove contro ai prossimi per affinità di stirpe al principe Teodosio e conturbanti la regione. Questi da principio co’ Lusitani militi pigliarono a guerreggiarlo, ma osservandosi da lui vinti, con moltitudine di servi e di agricoltori cadutigli sopra per poco non lo ridussero agli estremi; se non che, pur ora dalle concepite speranze delusi, fatti sono da Costante prigioni, salvatisi colla fuga i loro germani, Teodosio3 e Lagodio, l’uno in Italia, nell’Oriente l’altro. Costante, dopo tali vittorie nella Spagna, tornò presso il genitore seco recando Vereniano e Didimio, e lasciando Geronzio a custodire colle Galliche milizie il sentiero che dai Celti mette in Ispagna, quantunque gli Spagnuoli eserciti offerti si fossero a guardarlo, giusta la consuetudine, eglino stessi4, bramosi di evitare che gli estranei avessero la difesa della propria regione. Vereniano e Didimio arrivati laddove soggiornava Costantino ebbero prestamente morte.
Costante in seguito accompagnato dal duce Giusto passa novamente, per ordine del genitore, in Ispagna. Geronzio offesone amicasi quelle truppe ed instiga i barbari nella regione de’ Celti a ribellare da Costantino, manchevole di forze per reprimerne il commovimento, avendo la maggior parte delle sue milizie in Ispagna, ed eglino, oltre al Reno impadronitisi di tutto, sospinsero gli abitatori dell’isola Britannica insiememente con alcune Celtiche popolazioni a sottrarsi dal Romano impero, nulla curandone le leggi, ed a vivere secondo il proprio volere. Costoro dunque impugnate le armi ed espostisi ad ogni pericolo, bramosi di evitare le imminenti sciagure, liberarono le città dalle ostili minacce. Tutta la regione dell’Armorica di parità e le altre Galliche provincie imitaronne l’esempio cacciando i Romani magistrati, e da lor posta formando una foggia di repubblicano governo.
Questa ribellione della Britannia e delle Celtiche popolazioni avvenne mentre Costantino sedea in trono, datisi i barbari alle devastazioni colpa la negligenza del suo impero. Alarico in Italia, non ottenuta la pace mediante le fatte proposizioni nè ricevuti gli statichi, assale di nuovo Roma dichiarando espugnarla colla forza se la cittadinanza ricusasse di parteggiare seco e di mettersi in campagna contro ad Onorio augusto, ma vedendo indugiare la risposta cinge la città d’assedio. Incamminatosi quindi al porto e consumativi nel combatterne il presidio alcuni giorni perviene finalmente ad impadronirsene; trovandovi inoltre ascosa tutta la vittuaglia della città protestò valersene a beneficio delle proprie mili zie, se gli assediati adempiuto non avessero con prestezza alle sue inchieste. Laonde il senato, raccoltosi, pigliò a discutere quale si fosse il miglior partito da’ seguire, ed a pieni voti convenne di prestare obbedienza ad Alarico, più non avendovi mezzo di campar testa al non ricevere dal porto annona veruna. Presa questa risoluzione mandano al nemico legati chiamandolo entro le mura, ed accomodandosi agli ordini da lui avuti collocano Attalo prefetto della città ed ornato di porpora e diadema in alto ed augusto trono; il quale di colta inalzò Lampadio alla prefettura del pretorio e Marciano a quella di Roma. Consegnò in pari tempo le militari prefetture ad Alarico ed a Valente che per lo innanzi capitanato avea le palatine legioni, e ad altri per ordine il resto delle magistrature. Avviasi poscia con reale corteo, ma con poco fausti presagj al palazzo. Il dì appresso entrato nel senato, con discorso pieno di singolare iattanza, millantossi ampollosamente che assoggetterebbe ai Romani l’orbe intero; di sè profferì eziandio vanti maggiori, somministrando così al Nome cagione di forte sdegno e di ben presto atterrarlo.
Grandissimo fu il giubilo de’ Romani all’osservare l’ottima scelta di magistrati sperti nel governo della repubblica, e vie più crebbe per lo inalzamento del console Tertullo. Se non che l’operato cui plaudiva la generalità siccome profittevole a tutti, incresceva soltanto alla famiglia dei nomati Anicii, i quali, unici forse possessori di molte ricchezze, comportavano di mal animo le altrui prosperitadi. Alarico poscia giustamente consigliò Attalo di spedire acconce truppe nell’Africa ed a Cartagine per togliere l’impero ad Eracliano, temendo non costui, seguace delle partì d’Onorio, s’opponesse in qualche modo ai fatti divisamenti. Quegli nulla curandosi di tali esortazioni e pieno delle speranze pronosticategli dai vaticinanti, quasi certo di occupare senza guerra Cartagine e l’Africa intera, non manda Druma, il quale di leggieri avrebbe co’ suoi barbari cacciato dalla tirannia Eracliano; ma sprezzatone il consiglio fida le truppe destinate a combattere gli Africani militi ad un Costatino, mescendovene ben anche di quelle inferiori all’uopo; intanto essendo le Africane imprese tuttora avvolte nella incertezza, egli intraprende una spedizione contro all’imperatore, che da temenza sopraffatto offregli per via di legati società d’impero. Ma Giovio, inalzato da Attalo alla prefettura del pretorio, rispose che non lascerebbe ad Onorio augusto neppure senza offesa il corpo, risoluto avendo, sbandeggiatolo in isola, troncargliene alcuna parte. All’arrogantissima risposta pigliato ognuno da spavento ed Onorio apparecchiatosi alla fuga, pronto avendo in quel porto non iscarso naviglio, ecco afferrarvi sei coorti di militi attesivi da quando Stilicone era in vita, e soltanto allora capitati dall’Oriente, montandone il numero a quattromila, per legarsi in guerra coll’imperatore; questi, riavutosi all’arrivo loro quasi da profondo letargo, consegna ad essi la custodia delle mura, e stabilisce di non partire da Ravenna se prima ricevuto non abbia più esatte notizie delle Africane geste. Poiché riuscito Eracliano vittorioso, cessando ogni timore da colà, egli guerreggerebbe con tutto l’esercito Attalo ed Alarico, e quegli vinto irebbe, con tutte le navi al suo comando nel porto, in Oriente presso Teodosio, rinunziando all’impero delle Occidentali regioni.
Tale correndo gli affari dell’augusto, Giovio speditogli ambasciatore, come teste narrava, e dal principe coll’altrui opera corrotto, prese a macchinare tradimenti; protesta dunque al senato, accompagnando il suo dire con disconvenevoli parole, che più non intraprenderebbe legazioni, e riuscendo a mal fine i conati delle truppe combattenti nell’Africa, sarebbe mestieri d’inviare i barbari contro ad Eracliano, poiché, morto Costantino5, le speranze loro in quella parte volgerebbero all’incertezza. Disdegnatosi Attalo, e per altrui mezzo indicati i necessarj imprendimenti, si manda nell’Africa danaro in soccorso di quelle popolazioni. Alarico, scopertolo e di mal animo comportando l’operato, cominciò a disperare di lui vedendolo con tal quale bessaggine e fuor d’ogni ragione presuntuosamente por mano ad imprese di nessun profitto. Rivolta quindi la mente all’avvenuto, e sebbene propostosi in addietro di spignere l’assedio contro a Ravenna sino all’entrarvi, ne fe’ partire le truppe. Confermavanlo poi in questo suo proposito le esortazioni di Giovio, il quale sentendo che gli sforzi del duce inviato da Attalo nell’Africa sortito non aveano vantaggio alcuno, tutto si diede a favorire la causa d’Onorio, ed a sparlare continuamente d’Attalo presso Alarico, mettendo anima e corpo a persuaderlo che tal suggetto una volta rassicurato nell’impero macchinerebbe tosto insidie a lui stesso. Or mentre Alarico serbava tuttavia le sue promesse ad Attalo venne ucciso Valente, maestro de’ militi in sella, accusato di tradigione. Alarico poscia visitò con truppe ad una ad una le città dell’Emilia, che rifiutate spacciatamente eransi di sottostare all’impero d’Attalo, e molte senza fatica prestarongli obbedienza, ma non pervenne a conquistare l’assediata Bologna, che durò più e più giorni a respignerne con valore gli assalti. Laonde incamminatosi verso i Liguri costrinse pur essi a riconoscere la signoria d’Attalo.
Onorio, per tornare a lui, animava con lettere le Britanniche città a provvedere alle faccende loro, e scompartito a mo’ di premio infra le truppe il danaro inviatogli da Eracliano conciliavasi ovunque, menando vita quietissima, la militare benevolenza. Eracliano poi munito avendo con numerose milizie tutti i porti occupati nell’Africa impediva che approdassero a quelli Romani provvigioni di frumento, di olio e di vittuaglia comunque indispensabile ai bisogni della vita, per lo che in Roma ebbevi fame più grave di prima, ed i rivenduglioli occultando ogni commestibile, fiduciosi di trarre a sè tutto il danaro, mercanteggiavano a prezzi dalla stessa loro ingordigia stabiliti. Donde sì tanto crebbero là entro le angustie, che gli spasimanti di vedere infìno i corpi degli uomini assaporati udivansi ne’ giuochi Circensi dar stato alle voci: Metti il prezzo alla umana carne.
Attalo all’udirne passato a Roma vi convoca il senato e proposta la consultazione si abbraccia unanimemente il consiglio di mandare in Africa Romane truppe e barbari, fidandone a Druma il comando, a quel Druma, ripeto, della cui buona volontà e fede avute per lo passato aveansi luminosissime pruove. Il solo Attalo con altri pochi non consentiva al giudizio dei più, volendo non si spedisse uom de’ barbari colle Romane truppe. Il dì che Alarico tendea a privarlo dell’impero, spintovi già molto prima dalle continue accuse di Giovio. Volendo pertanto compiere il suo divisamento lo conduce fuori della città di Rimini, ove allora soggiornava, e spogliatolo del diadema e della porpora, mandando l’uno e l’altra al principe, lo ritorna, presente il popolo, alla privata condizione, tenendolo non di meno seco insiem col figlio Ampelio infintantochè, stipulata la pace con Onorio, impetrato non ebbe ad entrambi la salvezza della persona6. Placidia7, imperiale sorella, dimorava in allora presso Alarico, facendovi per verità quasi le veci di statico, ma godendovi tuttavia d’ogni regale onoranza e trattamento.
Nè più nè meno a quell’era il tenore delle Italiane faccende. Costantino, ornato del diadema il figlio Costante, in cambio di cesare nomollo augusto. Levata di più ogni giurisdizione ad Apollinare inalzò alla prefettura del pretorio altro personaggio. Alarico poi direttosi colle truppe a Ravenna, quasi certo di venire ad una sicura e stabile pace con Onorio, ebbe contraria la fortuna, che procedendo oltre, come per battuta via, escogitò nuovo imbarazzo ai futuri esiti de’pubblici affari. Poichè mentre Saro, non seguace nè di Onorio nè di Alarico, intrattiensi con pochissime truppe di barbari nel Piceno, Ataulfo avversandolo, stimolato da qualche precedente nimicizia, avvicinò con tutto l’esercito quei luoghi. Ma Saro nell’approssimarvisi, spiatolo e conoscendosi meno forte per chiamarlo a battaglia, avendo a pena trecento militi seco, risolvè, fuggendo, passare ad Onorio e strignervi lega per venire alle armi contro del suo nemico.
- ↑ Il quale nel recare aiuti a Costantino sorpreso insidiosamente da Ulfila, duce di Costanzo, a pena solo riparò, fuggendo, presso un Ecdicio, da lui conosciuto per antico diritto di ospitalità. Questi non di meno troncatogli il capo lo portò ai duci d’Onorio. (Sozom., lib. IX, c. 14). T. S.
- ↑ Chiamiamo ribelli e scellerati coloro da noi sedotti ad essere malvagi; per quale altra cagione i Bacaudi tali addivennero se non se per le nostre iniquità e per le ingiustizie de’ giudici. (Salviano, lib. De gub. Dei). Tv S.
- ↑ Teodosiolo (Sozom., lib. IX, c. ta).
- ↑ Gli Spagnuoli non avendolo potuto impetrare, P. Diacono scrive: Date ai barbari da custodire le gole del monte Pireneo, tutte le feroci genti che infuriavano per le Gallie introdotte vennero nelle provincie Spagnuole.
- ↑ Così legge Leunclavio e non Costante, come troviamo nel testo, argomentandolo dal contesto della precedente narrazione sull’argomento stesso, ove l’autore scrive Costantino T. S.
- ↑ Attalo inalzato dai Goti all’impero, fatto poscia prigionero da Costanzo e mandato ad Onorio, ebbe la grazia, mozzatagli la mano, di rimanere in vita. (P. Diacono, lib.XIV.) T. S.
- ↑ Sposata quindi a Costanzo gli partorì Valentiniano, addivenuto susseguentemente imperatore. T. S.