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Luciano di Samosata - VIII. Dialoghi degli Dei (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
10. Mercurio ed il Sole
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10.

Mercurio ed il Sole.


Mercurio. O Sole, Giove dice, non uscirai nè oggi, nè dimani, nè diman l’altro, ma ti rimarrai dentro, e intanto sia una sola notte lunga: onde le Ore sciolgano i cavalli, tu spegni il fuoco, e ripòsati un pezzo.

Il Sole. Tu mi porti nuova e strana ambasciata, o Mercurio. Non mi pare d’aver deviato dal corso, nè guidato il carro oltre i limiti: perchè sdegnasi egli meco, e vuol fare una notte triplice del giorno?

Mercurio. Niente di questo, nè sarà sempre così. Egli ha ora bisogno che ci sia una notte più che lunghissima.

Il Sole. Dove è? e donde ti mandò a me con questa ambasciata?

Mercurio. È in Beozia, o Sole, e stassene con la moglie di Anfitrione, della quale è innamorato fradicio.

Il Sole. E non gli basta una notte?

Mercurio. Altro! Da quel congiungimento dovrà nascere un grande e divino miracolo d’atleta; impastarlo in una notte sola è impossibile.

Il Sole. L’impasti col buon pro. Ma queste cose, o Mercurio, non accadevano quando c’era Saturno (siam fra noi, e possiamo parlare); quegli non lasciava mai Rea sola nel letto, nè abbandonava il cielo per andare a dormire in Tebe: il giorno era giorno, e la notte misuratamente proporzionata alle stagioni: non ci eran novità e mutazioni: nè mai egli fece comunella con donne mortali. Ora per una misera femminella si deve stravolgere il mondo: i cavalli divenirmi ritrosi per ozio, la strada guastarsi per non essere battuta tre dì, ed i poveri uomini vivere nelle tenebre. Ecco frutto che godranno degli amori di Giove, star corcati ad aspettare ch’egli compia l’atleta che tu dici, ricoperti di sì lungo buio.

Mercurio. Zitto, o Sole, che non ti colga male per la lingua. Io vommene dalla Luna e dal Sonno, a dire quello che Giove m’ha commesso; alla Luna che non s’affretti di troppo; e al Sonno che non lasci gli uomini, affinchè non s’accorgano d’una notte sì lunga.


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