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Luciano di Samosata - VIII. Dialoghi degli Dei (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
21. Marte e Mercurio
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21.

Marte e Mercurio.


Marte. Hai udita, o Mercurio, la superba spampanata di Giove? Se voglio, ei dice, io collerò dal cielo una catena, e voi afferrandola e traendo di tutta forza, vi affaticherete invano, e non mi trarrete giù; ma se io pur voglio trarre in su, non solo voi, ma la terra ancora ed il mare io terrò appesi in alto. Ed il resto l’hai udito. Che egli sia più valente e più forte di ciascuno di tutti noi, io nol nego: ma superarci tutti quanti, da non poterlo vincere anche se ci mettessimo la terra ed il mare, questa è grossa, e non la credo.

Mercurio. Taci, o Marte: non è prudenza parlare così, e tirarci un male addosso per una ciancia.

Marte. E credi che io parli così con tutti? con te solo, che ti so segreto. E sai perchè mi veniva più a ridere nell’udirlo così minacciare? voglio dirtene la cagione. Mi ricordavo quando, non ha guari, Nettuno, Giunone e Pallade gli si levaron contro, e congiuraron di prenderlo, e d’incatenarlo, come ei tremava a verga a verga; ed erano tre! E se Teti impietosita di lui non gli avesse chiamato in aiuto Briareo dalle cento mani, saria stato legato con tutto il fulmine ed il tuono. Ripensavo a questo, e mi veniva il riso a quella elegante sparpagliata di parole.

Mercurio. Taci, ti replico; chè può far male a te dire, a me udire di queste cose.


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