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Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
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6.
Ciuffetta e Corinna.
Ciuffetta. O Corinna, e’ non era quel gran male che tu credevi di vergine diventar donna: l’hai veduto già, che ti se’ stata con un bel giovanotto, e m’hai portata la prima volta una mina, della quale ti compererò subito una collana.
Corinna. Sì, o mammuccia mia. Ma con le pietre rosse e lucenti, ve’, come quella di Filenida.
Ciuffetta. Così sarà. Ma odimi che ti vo’ dire un’altra cosa; che devi fare, e come comportarti con gli uomini. Noi non abbiamo altro rifugio per vivere, o figliuola mia. Son due anni da che è morto la buona memoria di tuo padre, e ti ricordi come siamo vissute? Quando viveva egli, non ci mancava niente: faceva il fabbro, e aveva un nome grande nel Pireo, e tutti dicono ancora che dopo Filino non ci verrà un altro fabbro come lui. Dopo la morte sua vendei le tanaglie, l’incudine e il martello per due mine, e così campammo: poi ora col tessere, ora col filare o col torcere la lana, abbiamo avuto da mangiare appena. Ma io allevavo te, o figliuola mia, e aspettavo con questa speranza.
Corinna. Della mina dici?
Ciuffetta. No: ma pensavo che tu fatta grande darai vivere a me, e tu farai subito la signora, sarai ricca, avrai vesti di porpora, e serve.
Corinna. Ma come, o mamma, che dici?
Ciuffetta. Congiungendoti coi giovanotti, cenando e dormendo con essi buscherai be’ danari.
Corinna. Come Lira la figliuola di Dafnida?
Ciuffetta. Sì.
Corinna. Ma ella è cortigiana.
Ciuffetta. E che male c’è? Anche tu sarai ricca, come lei, ed avrai molti amatori. Ma perchè piangi, o Corinna? Non vedi quante fanno le cortigiane, e come son carezzate, e quante ricchezze hanno? I’ mi ricordo Dafnida, non sia detto per male, prima che fosse cresciuta la figliuola, con un po’ di cencerello intorno: ed ora vedila come va, oro, vesti ricamate, e quattro serve.
Corinna. Ma come ha acquistato tanto la Lira?
Ciuffetta. Prima col mostrarsi pulita, garbata, pronta, allegra con tutti, non fino ad isganasciarsi di risa per niente, come fai tu, ma con un sorriso dolce ed aggraziato: poi con le buone maniere nel trattare, senza canzonare chi le si avvicina, o chi le manda un’ambasciata, e senza innamorarsi degli uomini. Se mai va a qualche banchetto facendosi ben pagare, ella non s’imbriaca (oh, questo è brutto assai, e gli uomini abborriscono le bevone), non si riempie di vivande come una scostumata, ma le tocca con le punte delle dita, non mette il capo sotto, e senza parlare macina a due gote; beve a poco a poco, non d’un fiato, ma a sorsi.
Corinna. Anche se ha sete, o mamma?
Ciuffetta. Allora specialmente, o Corinna. Ed ella non parla mai troppo, nè frizza i commensali, e guarda in faccia solo a chi la paga: e però tutti le vogliono bene. E quando dee coricarsi con alcuno, ella non fa sporcizie nè scostumatezze; ma pensa ad una cosa sola, ad attirarlo e farselo innamorato; e così tutti la lodano. Se impari a far questo anche tu, saremo felici anche noi. Per tutt’altro poi tu più di lei.... ma no, no; non voglio dir male di nessuna, voglio che tu mi viva solamente.
Corinna. Dimmi, o Mamma, quelli che mi daranno i danari son tutti come Eucrito, con cui ho dormito ieri?
Ciuffetta. Non tutti: alcuni sono migliori, altri sono uomini fatti; ed altri ancora non sono troppo belli.
Corinna. Ed anche con questi dovrò dormire?
Ciuffetta. Sì, o figliuola mia; chè questi danno di più: i belli vogliono esser tenuti belli, e niente altro. Tu fa’ sempre più carezze a chi più dà, se vuoi che in breve tutti dicano mostrandoti a dito: «Non vedi Corinna la figliuola di Ciuffetta come è straricca, e come ha fatta felicissima la mamma sua?» Che dici? lo farai? Sì, io so che lo farai, e sarai la regina di tuttequante. Ora va a lavarti, se viene anch’oggi quel giovane Eucrito; chè lo promise.