< Dialoghi delle cortigiane
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Luciano di Samosata - LVI. Dialoghi delle cortigiane (II secolo)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
5. Clonetta e Lena
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5.

Clonetta e Lena.


Clonetta. Odo una novità sul conto tuo, o Lena, che Megilla, quella ricca di Lesbo, è innamorata di te come un uomo, e che state insieme, e non so che fate tra voi. Che è? ti se’ fatta rossa? Dimmi, è vero questo?

Lena. È vero, o Clonetta; ma mi vergogno, che è una cosa sconcia.

Clonetta. Per Cerere, che faccenda è cotesta, e che vuole quella donna? Che fate quando siete insieme? Vedi? Non mi vuoi bene; se no, me lo diresti.

Lena. Ti voglio bene tanto! Quella donna è fieramente mascolina.

Clonetta. Non intendo bene che vuoi dire: forse è una tribade? Chè in Lesbo, dicesi, vi sono queste donne che non vogliono l’uomo, ma si accozzano con le donne a guisa d’uomini.

Lena. Una cosa simile.

Clonetta. Dunque, o Lena, contami tutto, come prima ti tentò, come ti persuase, e in seguito ogni cosa.

Lena. Avendo apparecchiata una gozzoviglia ella e Demonassa, quella di Corinto che anche è ricca e fa la stess’arte di Megilla, tolsero me per sollazzarle con la cetra. Poi che sonai, ed era notte, e già ora di andare a letto, ed esse erano ubbriache: Via, o Lena, disse Megilla, è ora di dormire, corcati qui con noi, in mezzo a tutte e due.

Clonetta. Ti corcasti già: e poi che avvenne?

Lena. Mi cominciarono a baciare come fanno gli uomini, non solo attaccando le labbra, ma aprendo un poco la bocca, e mi abbracciavano, e mi titillavano i capezzoli, e Demonassa mi mordeva ancora mentre mi dava baci. Io non poteva capire che volevano fare. Indi a poco Megilla essendosi riscaldata, si toglie del capo una parrucca, che non le pareva ed era capelli naturali, e resta con la testa rasa come una mano, come l’hanno i più robusti atleti. Io mi spiritai a vederla, ed ella: Hai veduto mai, o Lena, un così bel giovanotto? - Io non vedo, dissi, qui giovanotto, o Megilla. - Ed essa: Non mi fare femmina, chè io mi chiamo Megillo, e già sposai questa Demonassa, ed ella è moglie mia. - A questo, o Clonetta, io mi messi a ridere, e risposi: Tu dunque, o Megillo, eri uomo, e noi nol sapevamo, e come dicono d’Achille, ti nascondevi sotto gonna di donzella. Ed hai quello dell’uomo? e fai a Demonassa quel che fanno gli uomini? - Quello proprio, o Lena, non l’ho, rispose; ma non ne ho bisogno, e vedrai che fo in un modo particolare, e molto più dolce. - Ed io: Sei tu forse un Ermafrodito, di cui si dice che ne sono tanti, che hanno l’uno e l’altro? - Perchè io, o Clonetta mia, non sapevo ancora che faccenda era quella. - No, diss’ella, io sono uomo schietto. - Mi ricorda, soggiunsi io, che Ismenodora di Beozia la sonatrice di flauto contandomi le cose del suo paese, mi diceva come in Tebe ci fu uno che di femmina diventò maschio, ed era un grande indovino, e se non erro si chiama Tiresia. Fosse accaduto così anche a te? - No, Lena mia, rispos’ella; io son nata come tutte voi, ma l’inclinazione, il desiderio, e tutto il resto in me è d’uomo. - Ed io: E ti basta il desiderio? Risposemi: Statti, o Lena, se non credi, e saprai che non sono da meno degli uomini: ho un altro strumento che fa lo stesso giuoco: statti, che vedrai. - Mi stetti, o Clonetta, per tante preghiere che mi fece, e mi regalò una bella collana, e un paio di camice fine. Io l’abbracciai come fosse un uomo, ed ella mi baciava, e faceva, e anelava, e mi pareva si struggesse del piacere.

Clonetta. Che faceva, o Lena, e in qual maniera? chè questo proprio mi dei dire.

Lena. Non mi fare tante dimande: è una vergogna: ed io, per la Venere Celeste, non dirò niente più.

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