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Luciano di Samosata - Dialoghi marini (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
15. Zefiro e Noto
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15.

Zefiro e Noto.


Zefiro. Non mai ho veduto sul mare un corteo più magnifico, dacchè io sono e spiro. Non l’hai tu veduto, o Noto?

Noto. Di qual corteo parli, o Zefiro? e chi lo ha fatto?

Zefiro. Hai perduto uno spettacolo bellissimo; e non vedresti il somigliante mai più.

Noto. Io avevo un gran fare nel mare Eritreo; soffiavo sovra una parte dell’India, su tutto il lido di quella regione: onde non ho veduto quel che tu dici.

Zefiro. Conosci Agenore di Sidone?

Noto. Sì: il padre di Europa. Ma che?

Zefiro. Di lei appunto ti racconterò.

Noto. Forse che Giove n’è innamorato da molto tempo? Cotesto già lo sapevo.

Zefiro. Sai dell’amore: odi ora il resto. Europa era discesa sul lido a scherzare con le compagne: e Giove fattosi torello scherzava con esse, e pareva bellissimo: Aveva una bianchezza grande, le corna ben ricurve, pareva assai mansueto, ruzzava anch’egli sul lido, e soavemente mugliava; onde ad Europa venne ardire di salirgli sul dorso. E come fu salita, rattissimo Giove corse al mare, e portandola nuotava: ed ella tutta smarrita attenevasi con la mano sinistra ad un corno per non cadere, e con l’altra si stringeva il peplo che ventilava.

Noto. Dolce spettacolo ed amoroso tu vedesti, o Zefiro: Giove nuotante portar sul dorso l’amata donzella.

Zefiro. Il più bello, o Noto, fu quel che seguì. Il mare subito divenne senz’onde, e si distese in calma perfetta. Noi tutti taciti, e non altro che spettatori del fatto, seguitavamo. Gli Amori sorvolando di poco le acque, e quasi sfiorandole con le punte dei piedi, portavano faci accese in mano, e cantavano un imeneo. Le Nereidi cavalcando delfini, e molte sorgendo mezzo nude dalle acque, applaudivano. La famiglia dei Tritoni, e degli altri marini non dispiacenti alla vista, tutti guizzavano ballando intorno la fanciulla. Nettuno montato sul cocchio, avendo a fianco Anfitrite, precedeva lieto facendo la via al nuotante fratello. Dietro tutti Venere portata da due Tritoni, e sedente in una conca, spargeva fiori d’ogni sorte sù la novella sposa. Questo fu dalla Fenicia sino a Creta: dove, come giunsero, non apparve più il toro, ma Giove, che presa Europa per mano, la menò nell’antro Ditteo, arrossendo ella e tenendo gli occhi bassi, chè già sapeva perchè v’era menata. Noi ce ne tornammo, chi qua, chi là, a sconvolgere il mare.

Noto. O Zefiro, tu ti beasti con questa vista: ed io vedeva grifi, elefanti, ed uomini negri.


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