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Luciano di Samosata - Dialoghi marini (Antichità)
Traduzione dal greco di Luigi Settembrini (1862)
7. Noto e Zefiro
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7.

Noto e Zefiro.


Noto. Questa giovenca, o Zefiro, che Mercurio conduce per mare in Egitto, è quella che fu sverginata da Giove che n’era preso d’amore?

Zefiro. È quella, o Noto: allora non era giovenca, ma una donzella, figliuola del fiume Inaco: ora Giunone l’ha così trasmutata per gelosia, essendosi accorta che Giove n’era innamorato.

Noto. E l’ama anche ora ch’ella è vacca?

Zefiro. Molto: e però l’ha mandata in Egitto, ed ha ordinato a noi di non muovere fiato sul mare, finchè ella nol tragitterà a nuoto: colà sgraverassi del ventre, che è già gravida, e sarà Dea ella ed il parto.

Noto. Dea una giovenca?

Zefiro. Sì, o Noto: e avrà signoria su i naviganti, come ha detto Mercurio, e sarà nostra regina, e a suo talento ci comanderà di soffiare o di restarci.

Noto. Dobbiam dunque prestarle ossequio, o Zefiro, se già è nostra regina.

Zefiro. Certamente: e così ci sarà benigna. Ma già ha valicato, ed è uscita su la riva. Vedi come non cammina più su quattro piedi, Mercurio l’ha rizzata, e l’ha rifatta donna bellissima.

Noto. Oh, che maraviglia, o Zefiro: non più corna, nè coda, nè unghie fesse, ma una leggiadra donzella. Oh, e Mercurio perchè si tramuta egli, e di giovanetto che era, ha presa la faccia di cane?

Zefiro. Non ci brighiam di tante cose noi: egli sa meglio di noi che deve fare.


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