Questo testo è completo, ma ancora da rileggere.
Questo testo fa parte della raccolta Rivista italiana di numismatica 1888

STUDII ECONOMICI


SULLE MONETE DI MILANO 1


(Continuazione, V. Fasc, 1)



DIZIONARIO

DELLE MONETE MILANESI.


AMBROSINO D’ORO — Cosi chiamato da S. Ambrogio scolpitovi sopra; moneta della prima repubblica milanese, coniata probabilmente nella seconda metà del 1200 ad imitazione del fiorino di Fiorenza, ma del quale non si ha notizia certa che in un documento del 1303; era di purissimo metallo; pesava nostri denari 2 e gr. 21,336, e di questa sua legale gravità da noi scoperta sarà data la dimostrazione, allorché produrremo i primi fiorini che possediamo di Bernabò e Galeazzo Visconti, valeva in origine soldi 20 terzoli d’argento, ossia 10 imperiali; rarissimo esiste nel Museo Verri.

AMBROSINO GRANDE D’ARGENTO — Pure repubblicano, decorato del S. Ambrogio, della seconda metà del secolo come sopra, essendovene prova negli statuti di Brescia dell’anno 1257 ed in una carta nostra dell’anno prima; peso denari 2,9,600; titolo 0,968; valore un soldo e 1/2 terzolo pari a 3/4 di soldi imperiali, raro.

AMBROSINO GRANDISSIMO D’ARGENTO ― Fabbricato nei primi anni del 300 alla calata di Enrico VII di Lucemburgo con impronto sì regio che imperatorio, del valore di due soldi imperiali all’impasto il primo di 0,912 col peso di denari 3,3 ed il secondo 3,10 alla bontà di 0,964.

Questo nome d’ambrosino sembra avere continuato coi primi tre Visconti, finché prevalse quello più comune di grosso al tempo dei due fratelli Bernabò e Galeazzo signori di Milano nel 1354.

AMBROSINO PICCOLO D’ARGENTO ― Similmente repubblicano della seconda metà del 200; peso denari 1,16 titolo 0,904; vale soldi 1, terzolo, imperiali 1/2. Nello stesso modo che si stamparono col nome di Enrico VII sopra detto ambrosini grandissimi di 2 soldi se ne fecero anche dei piccoli a soldi 1 del peso di grani 37 a 0,912 di tipo regio; rari.

BERLINGA — Sinonimo di lira, usato nei secoli XVI e XVII, ciò raccogliendosi dalle gride spagnuole del 1548 e da molte altre successive fino al 1637. Vero è però che menzione si trova di berlinghe veneziane, troni sive mozanighi anche prima in due gride dei re francesi del 1508 fino al 1515 al prezzo di soldi 14 1/2 e di soldi 16. La prima lira o berlinga che conosciamo è di Filippo II dell’anno 1548 all’incirca; pesa denari 6,5 al titolo di 0,958.

BIANCO — Denominazione a noi derivata dalla Francia, dove sappiamo da Le Blanc, che fu usata singolarmente per il basso biglione che venne accuratamente imbiancato. La prima grida che ne parla, a mia cognizione è deirultimo duca sforzesco del 1530, dove è tassato 14 di quei soldi, ma non è marcato il peso o spiegato il tipo, né se sia di nostra zecca od aliena.

Veri bianchi e mezzi bianchi fabbricati nella Ceca di Milano si riscontrano nella grida del 1538, al prezzo di soldi 9 e danari 4,6. Non sono riuscito a trovare fra le monete della mia collezione bianchi sforzeschi, ma due mezzi parmi certamente di possedere di Carlo V, che pesano denari 2 1/2 colla bontà di 0,400 a 0,500.

BISSOLO — Piccolissima ed abbietta moneta viscontea fabbricata dal duca Giovanni Maria per testimonianza del Corio nel 1409, imitata contemporanemente in Pavia da suo fratello Filippo Maria, che n’era conte principesco, e proseguita dal I° Sforza, dei quali bissoli tre ce ne volevano a formar due denari e 18, quindi un soldo, peso 11 g. titolo 0,078.

BOLOGNINO PICCOLO — Cosi detto dal nome della città dove si fabbricava, che fu cominciando dal 1191 immediatamente dopo il privilegio della zecca che Bologna ottenne da Enrico V peso nostri gr. 12 traboccanti; bontà soldi 2,18 = 0,228; valore 1/12 di soldo, il quale si componeva in conseguenza a tenore del sistema di Carlo Magno. Io qui lo registro come sarà di altre due bolognesi monete successive, per più d’una ragione, perchè moneta patria, se non in origine, essa divenne nel 1350, in cui il nostro Arcivescovo Giovanni Visconti ne fu salutato Signore, e perocché effettivamente ve ne hanno delle coniate col suo nome, dimostrandolo un unico esemplare nella città nostra giacente all’Ambrosiana.

BOLOGNINO GROSSO D’ARGENTO ~ Alla voce grosso spiegheremo a momenti compitamente la sua etimologia e daremo inoltre la storia in succinto di questa famigerata moneta del medio evo. Frattanto di questo grosso dirò che comparve nel 1236, che il suo peso constava di gr. 28 bolognesi corrispondenti a 27 circa dei nostri di marco e la bontà di soldi 10 = titolo 0,832. Di questi elementi si conforma il bolognino argenteo del nostro Visconti, che abbiamo assaggiato.

BOLOGNINO D’ORO — Ad esempio di tante libere città d’Italia i bolognesi insigniti della facoltà di batter moneta, dal VI Enrico sul cader del XII secolo, vollero usarne in sommo grado, coniandone di superlativo metallo che chiamarono bolognino d’oro, locchè eseguirono per altro tardi, stando al Sigonio, solamente cioè nel 1380. Un bolognino d’oro tratto dal Museo Verri, che nei due campi contiene l’insegna Viscontea senza indicazione di principe, riscontrasi nel Litta da lui assegnato all’arcivescovo Giovanni Visconti che fu signore di Bologna nel 1354, senza darne ragione alcuna, ed in opposizione alle testimonianze del preclaro scrittore citato; ma sia questo nummo di Giovanni, e di qualche altro dei Visconti che dominarono più tardi Bologna, com’io mi persuado anche per l’eleganza che lo distingue non propria di quel tempo, a me pare un vero e effettivo bolognino d’oro. Il peso è lo stesso del fiorino e dell’ambrosino d’oro, notati da principio, e così è del metallo per ciò che ne ho riscontrato al posto dove si custodisce quale pezzo rarissimo.

CARLO — Cortigianesco nome, durato di passaggio, compartito al filippo esistente fino dal 1604, allorché Carlo II re di Spagna ascese il soglio nel 1666, e ripetuto più tardi sotto Carlo VI imperatore nel 1711 e forse sotto lo stesso monarca fin da quando coll’intitolazione di Carlo III re di Spagna diventò duca di Milano nel 1706; vedi abbasso alla voce Filippo.

CENTESIMO — Ecco la moneta che costituisce quella modificazione più volte annunziata indietro del sistema monetario di Carlo Magno, tuttora si può dire da XII secoli vigente in lire, soldi, ma non in denari atteso che questa seconda frazione della lira per la divisione decimale a cui non si conforma il N. 12 ha dovuto cedere il posto al centesimo, com’è noto a tutti. Alla voce abbasso, lira, sarà spiegata l’altra non meno essenziale e veramente filosofica variazione, parto insigne nella Convenzione Nazionale di Francia, intorno l’unità della lira fatta perpetua ed immutabile, comecché basata sulle leggi fisiche eterne della natura.

Di due sorta di rame decimale contiamo nel nostro Cimelio, italiano, dal 1807 al 1814, austriaco dal 1822 al 1849. Mi dispenserò di registrarne il peso bastando ricordare l’arbitrio che presiede alla stampatura di simili monete, notificato indietro per uso della contrattazione volgale, per l’ingordo guadagno che vi si fa sopra del 50 per 0/0.

CENTESIMI 8 — Altra moneta di rame per uso della contrattazione volgare, di cui non occorre far parola dopo quanto si è detto indietro.

CENTESIMI 6 — ossia soldo — idem.

CENTESIMI 10 — Grossa moneta di peso doppio della precedente, fabbricata l’anno 1849 in poca quantità.

Di essa può dirsi che non corrisponde al progresso dei tempi attuali.

COLOMBINI — Non altro avanzare mi è concesso di questa moneta, se non che trovasi nominata per il valore di soldi 3,3, nelle gride sforzesche del 1532 e del 1534 ignorandone il peso, la composizione ed il tipo, per cui indarno mi sarei affaticato di segnarla nella mia raccolta, dove forse esisterà, sono certo, ma priva di nome. Né qualcuno facile credesse di scoprirla fra le erose di quella età, non ostante il tipo deficiente, coll’analisi del puro metallo, che contenesse per suo quoto in paragone di una moneta di valore certo p. es. del testone. Lo sconvolgimento che sofferse il sistema monetario sforzesco sotto l’ultimo duca Francesco II, e che vedremo a suo posto, ci toglie questo criterio e questa facoltà.

DANARO — 12a parte del soldo. Dopo tutto quello che ne fu detto al Capo XVIII, superfluo sarebbe, che io ricordassi la sua origine da Carlo Magno, la composizione sua nobilissima, il peso, la diminuzione che patì collo scorrere dei secoli a segno che suscettibile non essendo più di contenere particella alcuna d’argento gli fu forza di sparire al principio del secolo XVII dal mondo numismatico, dove aveva da principio fatta sì magnifica figura. Inutile per altro non estimo di precisare che le vicende di questa moneta furono tali e tante in riguardo al peso ed alla bontà, che dai 33,180 gr. d’argento suoi originari della fine del secolo VIII terminò di venire in luce sotto Filippo III re di Spagna e nostro duca del 1622 grave non più di un terzo di grano, così risultando dall’esiguo suo peso di mischiati gr. 17, e dal titolo bassissimo di 0,025 debitamente verificato.

DANARO IMPERIALE — 12a parte ognora del soldo. Un tale aggettivo si trova in molte delle nostre carte del medio evo aggiunto al suo sostantivo, dopo che Federico I nella pace di Costanza del 1183, e col trattato di Reggio del 1185 ci ebbe date e confermate tutte le regalie dell’impero, e con esse il privilegio della zecca.

DODESINO — Voce formata da dodici e da dieci abbreviatura di danari, che è quanto a dire, sinonimo di soldo. Si trova nominato dai Cronisti di Bergamo e di Milano, allorché lasciarono scritto della mutazione, ossia di un abbassamento delle monete fatto nel 1400 dal primo duca di Milano Giovanni Galeazzo Visconti. Di più tipi ne furono fabbricati ed anche di diverso peso e bontà, avendo fatto noto indietro, che quel nostro Reggitore, alterato aveva grandemente la moneta fino dal 1391. Dodesini perciò ovvero soldi vi sono, e noi li vedremo a suo luogo discussi ed analizzati, di gr. 30 e 22. o del titolo da 0,352 ai 0,568 e più comunemente di 0,500 circa. Altri dodesini presso che di egual lega, ma che non furono coniati sono nominati in una carta del 1401, da vedersi in Argelati; dopo di che più da noi non si riscontra questo nome; ma unicamente quello di soldo, o soldino.

DOPPIA D’ORO — Moneta a noi provenuta dalla Spagna e lavorata per la prima volta in Milano nel 1548 sotto Carlo V col nome di doppi scudi d’oro, che in seguito ricevettero la denominazione di doppie o doble dal verbo spagnuolo doblar, doppiare, in italiano. Una tale moneta fu preferita esclusivamente ad ogni altra d’oro dal Governo spagnuolo, finché durò cioè al 1711 non solo, ma ben anche dall’austriaco, di cui si hanno impronti del 1724 e 1726. Di queste doppie alcune per altro, in poca quantità ne furono stampate di doppia gravità e persino decupla, rarissime perciò nei gabinetti. Il peso delle semplici è di den. 5,10 la bontà di Carati 22 (titolo 0,916666,) sorpassate alcune piccole differenze accadute nella prima battitura da riscontrarsi in Argelati, tanto nell’uno che nell’altro elemento. Il prezzo variò in tanto intervallo di tempo, come ognuno può immaginare, poiché dalle L. 12,10 del 1582, in cui si conosce la prima loro tassazione, al 1683, nel qual anno terminano le gride monetarie spagnuole, salirono alle lire 24.

Ad esempio dei re di Spagna duchi di Milano tutti i principi d’Italia, non che le due repubbliche di Genova e di Venezia fabbricarono doppie ad egual taglio e bontà, talché niuna moneta qui da noi fu più comune di questa per due secoli. Maria Teresa le riprodusse col suo nuovo sistema monetario del 1778, e le fece continuare Giuseppe II, diminuite qualche poco di peso e di bontà al prezzo di L. 24, e di L. 25,3. La sola repubblica di Genova tanto aristocratica nei tempi antichi che democratica all’epoca dei francesi le coniò costantemente e per la maggior parte in quadruplo fino al 1805, in cui diventò preda come noi dell’ambizione napoleonica.

Rare sono le doppie dell’ultimo monarca Ispano della discendenza di Carlo V; più rare quelle del III Filippo, rarissima la borbonica del re Filippo V e dell’imperatore Carlo VI, comuni quelle del II e IV Filippo, nonché gli stampi austriaci dello scorso secolo e di quello che corre.

DOPPIONE D’ORO — Nome egli è questo dato ai doppi ducati d’oro fabbricati nel dominio di Luigi XII re di Francia e nostro duca ad esempio dei precedenti duchi sforzeschi Galeazzo Maria, Giovanni Galeazzo e Lodovico Moro. Con tale appellazione sono registrati nella grida 29 giugno 1510, per il prezzo di L. 9,6 che è il doppio di L. 4,13 attribuito ivi ai ducati d’oro. Si componevano di purissimo metallo ed erano di peso in proporzione doppio, cioè di den. 5,18 traboccanti in regola pure del ducato grave di den. 2,21,336. Le Blanc ne diede di due stampi, ma da noi non se ne conosce che uno raro due volte, ed è col ritratto e S. Ambrogio a cavallo. Un doppione pure d’oro diede fuori il re Francesco I suo successore ornato di bellissimo ritratto, raro tre volte; il citato Le Blanc ce ne fece il regalo, e nel Museo Verri ognuno lo può vedere. Passaggera del resto e ristretta al periodo della signoria francese dei primi anni del 500 è stata da noi questa denominazione.

DUCATO D’ORO — Quando i Visconti già Signori di Milano si trovarono insigniti del titolo di duchi sulla fine del secolo XIV, verosimile si rende che il loro fiorino d’oro che facevano stampare da lunghi anni, prendesse il nome di ducato d’oro ad imitazione di quello di Venezia, che così s’intitolava dalla stessa dignità del capo di quello Stato. Un indizio ne abbiamo in una carta del 1400 in Argelati, (T. III, pag. 60) dove sono nominati ducati d’oro da fabbricarsi nella zecca di Pavia. Per altro il primo documento nostro, almeno a mia cognizione, che lo accenni è di Francesco Sforza il vecchio del 1465, dove vengono designati in questo modo: Ducati nostri a testano justi et gravis ponderis pro lib. 3, sol. 5 pro singulo. Per tutta la durata della dinastia sforzesca continuò l’appellazione di ducato nelle tariffe loro, ed anche nelle spagnuole fino al 1584 del Governatore duca di Terranuova2, dopo di che più non se ne fa parola. Né altro qui aggiungerò, rimandando alla voce abbasso di fiorino d’oro, in cui darò conto disteso del peso, titolo, valore di questa moneta, manifesto essendo, che tutto ciò che sarò per dirne si adatta né più né meno anche al ducato or ora discorso.

DUCATONE — Grossa moneta d’argento del peso di 26 denari mil. sconosciuta nell’antichità e nel medio evo, battuta per la prima volta in Italia a Milano nel 1551 da Carlo V cogli argenti venuti dall’America3. Però il suo nome originario fu di scudo d’argento da L. 5,12, per differenziarlo da quello già esistente d’oro di egual valore. Di questo suo mutamento di nome si hanno memorie sul finir di quel secolo4, e la ragione di non lieve importanza storica ed economica sarà svelata a suo tempo. I tre immediati successori di Carlo V, i re spagnuoli Filippo II, III, e IV ne fecero coniare quantità tale, che fu, mentre regnarono, la moneta fra noi usuale, dopodiché la fabbricazione fu dismessa per rivolgere l’attività della nostra zecca ad altra similmente majuscola moneta, il filippo di maggior utile, come sarà provato alla rubrica competente ove ne esporrò gli elementi economici, trascurate alcune varietà incorse nelle prime battiture in peso ed in bontà di non molto rimarco dal predetto anno 1551 al 1583.

Eccellente sappiasi adunque che ne è l’impasto a denari 11,12, del titolo di 0,958333, del peso di un’oncia 2 denari e gr. 7 + 1/6; in quanto poi risguarda il prezzo farò noto, che in 250 anni dalle L. 5,12, già dette del 1551 sali fra noi alle L. 8,12, così leggendosi la sua tassazione nelle ultime due gride che ne fanno menzione, di Maria Teresa, 25 ottobre 1778, e della repubblica Cisalpina, 27 Germinale anno IX repubblicano (16 aprile 1801).

Stando a Le Blanc il ducatone sarebbe esistito presso di noi fino dai giorni di Lodovico XII re di Francia, cioè da 50 anni prima, avendolo riportato fra le nostre monete alla fig. 5 della 1a collezione, pag. 324. E veramente nel Museo Taverna vi si mira affatto compagno del diametro cioè di millimetri 39, impastato di ottimo argento usuale di quel tempo a 9/10 e 1/2 crescenti, del forte peso di un’oncia e denari 16 mil. (grammi 48,960) e dello spessore di 4 mill. Osserverò per altro, che in nessuna delle quattro gride di quel monarca, che abbiamo, si trova registrato. Aggiungasi l’estrema sua rarità, e poi veggasi, se forse più che moneta in corso sia stata ai suoi di una medaglia destinata alle persone grandi in regalo, come può credersi delle grosse ed ancor più larghe piastre fabbricate dai precedenti duchi Sforza, nonché dopo da altri due principi.

FILIPPO — Altra moneta majuscola spagnuola indicata poc’anzi; venne fabbricata nel 1604 per comando del Governatore conte di Fuentes, e continuata tanto dai re di Spagna che dall’imperatore Carlo VI, e da Maria Teresa. La composizione è la medesima del ducatone, quindi ottima, il peso denari 22,16 rimasto ognora invariato come fu della bontà; il prezzo originario L. 5, che nei due documenti sopracitati 1778, 1801 contavasi a L. 7,10. Per due secoli fino al sistema del 1778 fu altra moneta dominante in Lombardia, ed assai ricercata fuori. Sì di questo nummo, com’era stato del ducatone, è mio debito di avvertire, che furono stampati in grande quantità spezzati, cioè mezzi, quarti ed ottavi. Ritrovati sono questi, che fanno testimonianza del grossolano talento, che informava i corpi del Governo spagnuolo per l’abbandono ch’esso fece della lira e delle sue regolari e semplici divisioni in 10 soldi, in 5, in un soldo, poco o niente coniate, per dar luogo a frazioni di monete atte a niente altro che ad imbarazzare le genti nelle loro comuni contrattazioni.

FIORINO D’ORO — Famosa moneta del medio evo inventata dai Fiorentini nel 1252, ed imitata relativamente alla sua sostanza, peso e bontà, prestamente da noi ed in tutta Italia ed anche fuori. Già si è veduto di sopra degli equivalenti nostri ambrosini d’oro e ducati sforzeschi; ora rimane a dire dei fiorini viscontei. Tutti i principi di quella nostra prima dinastia, che usarono del privilegio della zecca, fecero, eccetto Azone, batter fiorini con tipi loro proprii, vale a dire con iscrizioni analoghe, e simboli araldici di famiglia. Fiorini perciò si contano di Luchino e dell’arcivescovo Giovanni, di Bernabò e Galeazzo del conte di Virtù, di Giovanni Maria, di Filippo Maria, fabbricati a Milano, a Bologna, a Siena ed a Genova, tutti fuori di quello dell’ultimo duca rari e rarissimi per non dire di alcuni introvabili. Esimia n’è la bontà cioè a 1000, il peso d. 2,21,336, costantemente mantenuto anche quando a Fiorenza nel 1402 fu diminuito notabilmente5, certificandolo i fiorini di Giovanni Maria e Filippo Maria; il prezzo in fine dai soldi 32 imperiali del 1364, in cui se ne ha per documenti notizia positiva era salito nel 1447 all’estinzione dei Visconti alle L. 3,4 cioè al doppio6, cosicché questa moneta in due secoli circa, contando dall’ambrosino, identico pezzo, apprezzato soldi 20 terzaroli al suo nascere, 10 imperiali, aveva sestuplicato e più di valore nominale. E per soddisfare al debito più sopra incontrato accennerò al valore del ducato di Spagna di Milano, Venezia, Firenze, Ungheria, e Turcheschi tutti vecchi registrato nella già citata grida del 1684 di L. 7, per concludere, che sul finir del secolo XVI corse per quattordici volte l’originario suo prezzo.

Dal fin qui detto vedemmo l’ambrosino repubblicano cedere il posto al fiorino visconteo, e questo al ducato sforzesco, presto vedremo questo identico nummo assumere altra denominazione alla voce abbasso di zecchino dove ne faremo l’illustrazione.

FIORINO D’ORO DA SOLDI 38 ― Non fu ai suoi dì moneta reale ma immaginaria ossia di conto, che si calcolava vale a dire colla penna, e non si contava in mano; ed eccone la spiegazione e la sua origine alla fine che in succinto vado a narrare. Allorquando il conte di Virtù alterò nel 1391 la moneta d’argento dei grossi da 2 soldi, e successivamente dei soldi, impastandoli con quella riprovevol lega che fu denunziata indietro7, e sarà analizzata a suo luogo, inevitabile divenne nelle private contrattazioni l’alzamento del fiorino d’oro, di cui motto non era stato fatto in alcun editto, non dipendendo il valore delle monete dalla volontà del principe, ma dalla proporzione dei metalli, di cui il giudizio spetta agli uomini, che li possiedono. Tanto è ciò vero che il fiorino, si legge nelle nostre carte, era montato due anni appena dopo il 1393 a soldi 50 8 dai 32 ch’era negli anni avanti al 1391. Ora questa decadenza, al certo continuata per molti anni, della moneta d’argento con sempre nuove battiture, ed il conseguente alzamento dell’oro, che possibile era, ohe variasse di giorno in giorno per non dire d’ora in ora esponendo a liti continue i contraenti, fecer sì che per sicurezza dei contratti s’introdusse l’uso di ritenere il fiorino d’oro per l’antica misura di soldi 32, ma di quelli correnti al tempo del contratto. Che se poi s’intendeva il vero e reale fiorino d’oro veniva questo designato e pattuito col nome di fiorini d’oro in oro florenorum auri in auro ed il suo valore era non di 32 soldi ma per quello di più che correva in piazza, o come si dice in oggi, di borsa. Il disordine monetario cominciato col conte di Virtù predetto, nonché tolto di mezzo accresciuto essendosi coi successori di sua famiglia ed anche col primo Sforza, la diplomatica di quegli anni è piena di fiorini d’oro da soldi 32, che sono a parlare esattamente fiorini d’argento. Sparita una simile denominazione col giusto e legale sistema monetario armonicamente connesso in tutte le sue parti del secondo Sforza del 1474, e coi due re francesi che lo mantennero bravamente, ricompare cogli ultimi principi di quella casa per il decadimento, a cui soggiacque fra le indicibili calamità nostre e di tutta Italia avvenute in quel tempo, la egregia monetazione, della quale portano il vanto. Nel dominio della Spagna questa bizzarra appellazione più non si riscontra tanto negli atti pubblici che nei privati, atteso che le doppie presero posto dell’aureo nummo, itala gloria del medio evo.

FIORINO D’ARGENTO — Vera e reale moneta di questi ultimi anni, derivata dalla Germania, facente parte dell’imperfetto sistema decimale del 1822, pesa denari met. in ragione della lira di d. 4 gr. 3,30 25/27 al titolo di 0,900 valore L. 3.

GENOVINO D’ORO — Antica moneta di Genova indicata dal suo nome, in peso, bontà e valore eguale al fiorino; si trova registrata in una nostra grida del 1315 assieme all’ambrosino, al fiorino e ducato d’oro per lo stesso prezzo di soldi 30. Io la inchiudo nel nostro elenco come moneta patria, poichè tale sicuramente divenne all’aggregazione di quella Repubblica allo Stato di Milano sotto i Visconti e gli Sforza. E genovini d’oro vi sono fabbricati alla guisa de’ repubblicani, col marchio, che salta all’occhio, della biscia nel vertice denotante in un coll’iscrizione la Signoria, che ci era comune.

GROSSELLO — Non da alcun documento nostrale, ma da carta edita dallo storico Ronchetti si ricava questa moneta, che vedremo coll’arcivescovo Giovanni signore di Milano nel 1349 corrente in Bergamo nel 1361, e che si può credere con fondamento avesse da noi preso il nome; peso d. 1; titolo 0,500; valore mezzo soldo imperiale.

GROSSO — Nel porgere che facemmo altrove la storia del sistema monetario di Carlo Magno, che con piccola modificazione durò fino alla fine del secolo scorso fu notata la decadenza cui soggiacque all’estinzione di quella stirpe o poco dopo, e segnatamente poi alla conquista degli Ottoni, ond’è che il denaro fregiato del nome di quegli imperatori non contasse più di 10 grani d’argento invece dei 33,180, ch’era stato nella sua origine. La forza di questa moneta non avendo cessato di diminuire dal X secolo al principio del XIII in modo da essere ridotto ad 1/6 dell’entità sua antica, ne avvenne che le libere città d’Italia arricchite col commercio, e fatte quindi intelligenti di pubblica economia si trovarono in quel tomo di tempo abilitate a coniare i soldi che fino allora erano stati moneta di conto cioè immaginaria. Questi soldi non potevano non comparire, chiaro si rende, agli occhi di quella generazione d’uomini, che come pezzi grossi e pesanti sia per il valore di 12 denari dacché le monete antecedenti di cinque secoli erano state di uno tutt’al più, sia per il peso, che le superava del doppio e maggiormente. Ed ecco il nome e la ragione di grosso applicato generalmente ai soldi da principio, ed in seguito procedendo ognora avanti il decadimento della moneta, e non cessando di aumentare le nostre ricchezze commerciali, ai doppi soldi, e via discorrendo ai tripli ed ai quintupli, tanto che si potè giungere al grossone, ossia grosso per eccellenza, coniato più tardi nel 1474 del valore d’una lira, col nome di testone dalla testa o ritratto del principe impressovi sopra, e contemporaneamente ai grossi da 10 soldi, e ad altre parti aliquote minori9.

In prova di quanto ho asserito di questa moneta io qui non posso riportare gl’innumerevoli documenti del medio evo, che vi si riferiscono. Mi limiterò ad accennare il primo ed ultimo, ch’io conosca, il concordato fatto nel 1254 da più città d’Italia per la coniatura di grossi uniformi pubblicato dal presidente Neri10 ed i capitoli d’appalto della nostra zecca del 1474, che si trovano in Argelati. Questi due documenti possono per ora bastare a figurarsi gl’intermedii, dei quali moltissimi riscontreremo in seguito.

Tralascio pure di dire dei tanti grossi repubblicani ed imperatorj e dei viscontei, sforzeschi, francesi da un soldo, da 2, da 3, da 5, da 6, da 10, e del peso e titolo loro varianti grandemente nel giro di tre secoli, nonché di estendermi sul grossone, che tutti li superò, sufficienti riputando le notizie che ho date a far concepire della numismatica nostra quell’idea generica, che si conforma ad un discorso preliminare.

Opportuno però sembrami avanti di sortire da questo articolo di compiere la storia di questa, che in un col fiorino d’oro è altra delle celebri monete italiane del medio evo, con un cenno sul fatto, che colpì e grossi e grossoni alla metà del secolo XVI, in cui dovettero cedere il primato agli scudi d’argento fabbricati coi tesori del nuovo mondo. Carlo V che qui regnò dal 1535 al 1554 fu quegli che stampò l’ultimo grossone ed il primo scudo.

IMPERIALE — Di due sorta d’imperiali contano le nostre carte del medio evo, comunissimo, esile, eroso l’uno, che s’incontra ad ogni passo, 1/12 parte del soldo, quindi sinonimo di danaro, brevemente così espresso disgiunto dal suo sostantivo, e del quale abbiamo di sopra fatto cenno per quanto in allora abbisognava alla voce danaro imperiale e non mancheremo di dame spiegazione estesa come dicemmo, in fine di questa rassegna. Altri imperiali vi sono ben diversi, rari e non comuni e per forma, peso, bontà ragguardevoli; vennero fabbricati dalla città nostra in onore di Enrico VII di Lucemburgo alla sua venuta in Italia nel 1310 assieme agli ambrosini grandissimi notati da principio, e cenno se ne trova nella grida del 1315 in Argelati. Accoppiare si possono a questi quelli altri di Lodovico il Bavaro successo ad Enrico VII nel 1327 molto simili nell’impronto, peso, bontà, valore a tutti comune d. 1,15 titolo 0,968, soldo. Fra gli imperiali molto buoni del 300 vi sarebbe eziandio da annoverare, credo io, una rarissima moneta, di egual tipo, e di calibro istesso, coniata col nome di Lodovico da Azone Visconti, di cui porta le due prime lettere a z ai lati di S, Ambrogio.

LIRA — Altrove dissi cos’è la lira, e parlando poc’anzi del grosso ho rimarcato il modo e la ragione per cui la lira pervenne nel 1474 ad essere moneta reale e sonante da immaginaria e di conto, ch’era nella sua origine. Da quell’epoca in poi la lira è stata generalmente continuata, salvo che si trovi diminuita di peso e bontà per l’incessante decadimento della moneta. Il darne lo specchio sarebbe qui troppo lungo e fuori del proposito nostro, d’altronde riscontreremo tutte queste varietà analizzate ai loro posti rispettivi. E per chi poi amasse di prenderne un’idea in barlume non ha che a ricordarsi del rapporto in valore intrinseco d'argento fra la lira di Carlo Magno, e quella di Maria Teresa di mille anni dopo come di 117 ad 1, per figurarsi le fasi intermedie.

Una parola a parte esigono le decimali lire italiane e le austriache per dire di quella, che invece di esser più leggiera dell’ultima di Maria Teresa risultò più grave perchè basata su di un ammirabile sistema indipendente dalla volontà degli uomini, dedotto dalle immutabili leggi fisiche, che reggono questo nostro pianeta; peso danari metrici ossiano grammi 5 residuantisi per il titolo di 0,900 a puri 4,600 pari ad antichi gr. 88, eccedenti quindi dalla misura teresiana di 68 poco meno. La lira stabilita sopra fondamento cadevole di un antico Concordato fra i principi tedeschi del 1754 conta allo stesso titolo d. m. 4 grani 3,30 25/27; in conseguenza è più leggiera.

LIRA DOPPIA — Di più sorta se ne coniò dai duchi Sforza sul tramonto del secolo XV, in cui lo stato di Milano, come Italia tutta si trovò all’apice della ricchezza, ma sono cose rarissime e da noi considerate. Per altre ragioni i re di Spagna Filippo II, III e IV padroni delle miniere d’America continuar le poterono. Napoleone all’età nostra le riprodusse sull’esempio francese.

LIRA TRIPLA — Nei Cimelj più cospicui della città nostra se ne rinviene dei duchi Sforza sopradetti, ed anche di Luigi XII, coniate tutte, compresi i pezzi doppi nominati di sopra, sullo stampo semplice, per cui la lamina è grossa del doppio e del triplo.

LIRA QUADRUPLA — Più che moneta esiste di due stampi come medaglia introvabile, ed è del II e IV Filippo. Collo stesso sistema monetario, che fu inalterato sotto quei monarchi, la bontà per una bizzarria che non ha spiegazione essendosi voluto comporla diversa ne derivò la differenza del peso minore nel secondo pozzo a 1,000, che non è dell’altro a 0,968.

Mezza lira — Ossia da 10 soldi. Parte aliquota della lira, coniata per la prima volta nel 1474 contemporaneamente alla lira dal secondo duca Sforza, come dicemmo di sopra. Interrotta dai successori di sua casa per le oscillazioni continue, a cui soggiacque la stupenda loro monetazione negli anni infelicissimi, che corsero dalla venuta di Carlo VIII (1494) all’abdicazione di Carlo V (1556), fu ripigliata dai re di Spagna e mantenuta dopo dei principi, che ci hanno dominato. A questa moneta del resto appropriandosi tutto ciò, che fu detto in varie guise del suo prototipo non aggiungerò altre parole.

Quarto di lira — da 5 soldi. Nel tipo simile alla mezza lira detta indietro.

MEZZANO — Piccola moneta erosa della repubblica milanese fabbricata alla metà del 1200, a somiglianza di tutte le città d’Italia per uso del minuto commercio, del valore di un mezzo danaro imperiale, detta anche terzolo o terzarolo, siccome è noto ai monetografi milanesi11, e per disteso ne tratteremo andando avanti. Azone Visconti che primo di sua casa usò del privilegio della zecca, ne coniò esso puro, ma sono rarissimi ed introvabili. Frattanto noterò il peso del repubblicano di gr. 11 calcolabili a 12, ed il suo titolo di 0,194 debitamente verificato e di due viscontei e forse di tre il solo peso di gr. 6.

Al di sotto di questa monetina non se ne conta verun’altra sortita dalla nostra zecca, né da alcuna altra filiale nel periodo almeno, che segna il nostro medagliere. Però siccome per l’impegno assunto nel proemio di offrine la serie imperatoria avvenir deve, ohe di qualche città d’Italia saremo astretti a mendicar moneta di calibro inferiore, così rendesi necessario a questo punto di porgerne notizia ed eccola succintamente più che sia possibile.

Allorché le repubbliche italiane nel corso del 200 diventate all’ombra della libertà industriose, commercianti e ricche, riordinarono bravamente il sistema monetario di Carlo Magno, caduto al basso cogli Ottoni e successivi imperatori d’Alemagna, ed ebbero battuti i loro soldi d’argento, si trovarono obbligati per la necessità del minuto traffico a coniare contemporaneamente i danari, e i mezzi, detti or qua or là mediani, mezzani, terzaroli, bagattini, piccoli, ed alcune discesero a dividere ed a spezzare questa seconda frazione, componendo i quarti dei detti danari, che medaglie furon chiamate, non che maggiormente, creando gli assi, che l’ottava parte rappresentavano del danaro. Di questi ultimi fabbricati a Brescia garante ci è il Doneda, e di medaglie nostre faremo rassegna tolte da Cremona, da Lodi, e da Tortona.

NAPOLEONE D’ORO DOPPIO — Con tal nome fu chiamato volgarmente al suo nascere nel 1807, e lo è tuttavia, il pezzo da 40 lire italiane segnato nella tariffa delle monete del Regno d’Italia dell’anno predetto.

Moneta ella è questa attinente al primo e vero sistema decimale dei nostri giorni derivatoci dalla Rivoluzione francese, e fra noi trapiantato nel 1807 e senza interruzione proseguito fino al 1814 in cui fini colla caduta di Napoleone; peso grammi 12,903 titolo 0,900, valore sopradetto.

NAPOLEONE D’ORO SEMPLICE ~ da L. 20 di titolo. Eguale al sopradetto e in peso la metà grammi 6,452.

NAPOLEONE D’ARGENTO — Peso grammi 26, titolo 0,900 valore L. 5, in tariffa pezzo da L. 5.

OGGINO detto anche OTTINO — Altra moneta è questa dell’ultimo anno del secolo XIV, che per la sua etimologia palesa a colpo d’occhio a somiglianza del dodesino il suo valore, che qui però è, come si scorge, di 8 denari. Non è già, che questo pezzo sia stato propriamente battuto come tale nella nostra zecca, poiché il dominante sistema monetario di soldi e danari effettivi vi ostava; ma solo nacque dalla riduzione del soldo composto di 12 danari a 8 ordinata nel 1400 dal conte di Virtù, riduzione di cui si è discorso indietro alla voce dodesino, ed a cui rimando per gli ulteriori lumi sul poso, e sulla bontà. Passaggiera del resto è stata anche questa denominazione.

PARPAJOLA — Monetina erosa, il di cui nome proviene dalla conquista francese della fine del secolo XV, come dinota la voce sua originaria parpailloie, e come resta provato dalle gride di Luigi XII, e di Francesco I, dove sono così nominate parpajole di Franza a soldi 2, 6, ed a soldi 2, 4, ed anche a soldi 2, 5 12. Ripristinata la signoria sforzesca questa moneta fu presso di noi naturalizzata, leggendosi nella grida 17 aprile 1531 del duca Francesco II: Parpajole fabbricate in Ceca di Milano, soldi 2, 9. D’allora fino ai giorni nostri innumerevoli documenti ne attestano13, unitamente alle patrie collezioni, la smodata coniatura, e gli scritti di Carli svelano l’abuso che ne fu fatto mentre viveva14, al che io aggiungerò a debito luogo quello che si era già introdotto innanzi sotto la Spagna15. Proscritte nell’aureo sistema di Maria Teresa del 1777, resuscitarono nel 1808 per vulnerare la stupenda monetazione italiana. Dimenticate di nuovo nel 1822, si tentò di riprodurle in rame con più ingordo guadagno e con danno ed incomodo delle genti dall’Austria nel 1849.

Il prezzo dal tempo della Spagna non variò mai dai soldi 2 1/2, ma grandemente variò il quoto argenteo di questa ottava parte della lira non tanto per effetto legittimo e naturale del suo prototipo, come per la colpa dei governi, che di rubare al popolo cessare non volevano nelle monete minori. Non mi estenderò a noverare i tanti titoli e pesi che se ne hanno, poiché lungo, stucchevole, inutile sarebbe il farlo; questo solo sia bastante a sapersi in adesso, finché ad altri posti convenienti sarà provato a rigore matematico; la parpajola coniata per secoli a Milano forma il disonore dei governi che l’hanno comandata.

PEGIONE — Non avvi moneta alcuna del medio evo più di questa oscura ed intricata a parlarne. Dal suo nome e dal momento in cui si comincia ad averne notizia coll’editto del conte di Virtù del 1400 nominato di sopra alla voce dodesino sembrerebbe potersi dedurre (e non é mancato chi l’opinò) che portasse improntato un piccione od una fenice tra le fiamme, sapendosi che quel nostro primo duca usò di una tale impresa16. Ma questo tipo non si rinviene in nessuna sua moneta, o de’ suoi due figli che gli succedettero, e solo comparisce colle sforzesche, senza però una simile denominazione, in due grossi di Galeazzo Maria e di Massimiliano Maria.

Ma vi sono ragioni per credere, che il pegione lungi dall’essere moneta inventata dal III Galeazzo Visconti abbia esistito nell’età che lo precedette, per la qual cosa cadrebbe a terra la significazione che ne fu supposta. Se il pegione era del valore antico di un soldo e 1/2, siccome rilevasi dal precitato documento del 1400, tanto di Bernabò che di Galeazzo II Visconti, vi sono monete, e non poche, di tal forza coniate a Milano ed a Pavia. Pegioni inoltre genovesi e tedeschi si leggono nelle nostre carte dei secoli XV e XVII17, laonde moneta propriamente viscontea o sforzesca si può mettere in dubbio che sia stata. Ad ogni modo essendo il pegione registrato nell’editto che sappiamo, e in alcuni capitoli della zecca di Pavia18) mio debito è di dirne il valore di un soldo e mezzo avanti il 1400 e di un soldo dopo. Restano i pegioni dei due principi che precedettero il conte di Virtù, e che per tali io stimo; il loro peso è come dei grossi da 2 soldi, se non che il loro titolo è di 1/4 di meno, cioè di 0,680 invece di 0,900 per raggiungere la giusta e legittima composizione ad essi spettante.

PEZZO DA L. 40 ITALIANE — Enumero per esattezza storica questa denominazione, perchè sta segnata nella tariffa italiana in termini cotali, benchè sia stata poscia mutata nella volgare contrattazione per l’influenza di un uomo grande in quella di napoleone d’oro doppio già notata di sopra, per cui altro non fa d’uopo di aggiungere.

PEZZO DA L. 20 — idem.

PEZZO DA L. 5 — in argento — idem.

QUATTRINO — Per mille e più anni ha risuonato in Italia questa voce cominciata essendo con Carlo Magno, e finita col sistema decimale di Napoleone. Dapprima (803) questa moneta, che il tempo ha divorata, sembra aver avuto il valore di un quarto del denaro di fino argento in allora corrente, e che erosa in conseguenza ne fosse la composizione.

Alcune monetelle di basso impasto si hanno degli Arrighi, che forse sono la stessa frazione. Ma per toccare il vero ed effettivo quattrino bisogna portarsi al conte di Virtù, ed alla riforma sua monetaria del 1400, dove s’incontra per il valore di 4 denari, ossia di un terzo di soldo. Durante un secolo e mezzo dopo sino al dominio della Spagna più non si ode il quattrino fra noi. In opposizione alla sua etimologia esprimente 4 denari ricompare col nome promiscuo e più giusto di terlina o trillina nel 154719 diminuito di uno, ridotto vale a dire a tre, e per un tal valore fu mai sempre coniato, ed ebbe corso dalla metà che ho detto del secolo XVI ai primi anni del XIX. Sopra di che grandemente prese sbaglio il Carli, che lo asserì composto di 4 denari mentre ne scriveva nel 175720. Variata sommamente col trascorrere di tante generazioni ognuno può comprendere dover essere stata la sua entità. Erosa nella sua origine, da quanto è lecito d’argomentare, erosa certamente è la monetina del conte di Virtù ed ogni altra che se ne ha fino al 1603, nel qual anno fu stampata in rame schietto. Da quell’epoca memorabile negli annali della numismatica italiana un abuso il più grande fu commesso nella nostra zecca che ne mandò in giro quantità prodigiose, che diminuivano di mano in mano di peso e in conseguenza di valore, su di che è da consultarsi il Carli che con patriottico zelo ne svelò gringanni del suo tempo21. In più larga scala, e se è lecito il dirlo, completamente noi abbiamo svolto l’argomento altrove, rimontare facendo le nostre indagini all’origine del disordine, che fu accennato, e lo faremo molto di più trattando in particolare dei re di Spagna e dell’imperatore Carlo VI, nonché di Maria Teresa.

QUINDESINO — Altra monetina è questa la quale rinviensi, come il Cinquino veduto di sopra, notata nell’editto sforzesco del 1465. Dal valore di 15 denari portato dalla sua etimologia vi si legge abbassato a 12 trasformato cioè nel soldo con certa tal quale approssimativa ragione rispetto ai riformati cinquini e soldi primitivi, avvegnaché forti di 12 gr. d’argento m regola del suo peso di 1 den. e titolo a 0,500.

SCUDO D’ORO — Altra moneta ahimè! d’origine forestiera, della quale ci dovremo occupare con rammarico, quando saremo al re Francesco I, che dalla Francia l’introdusse da noi a contaminare per via di nascosa frode l’antica onorevole vantaggiosa purità dell’oro italiano. Scudi d’oro vengono dopo dell’ultimo duca sforzesco, e del primo re di Spagna nonché di Carlo VI. Non essendomi concesso di poter con certezza offrire dei due primi gli elementi economici dirò, che il peso degli altri è di den. 2,17, il titolo 0,91666 in proporzione ed a somiglianza delle doppie, di cui sono la metà; il valore dello spagnolo fu di L. 6,12 da principio per grida 30 marzo 1542 del marchese del Vasto, dell’imperatorio L. 12,5 per ordine 12 giugno 1723 del conte di Colloredo. Introvabile è lo scudo francese, che però esiste nel Cimelio Taverna, rari gli altri due. Ma scudi d’oro vi sono non difficili a rinvenirsi di tutte le zecche d’Italia dei secoli XVI, e XVII, per il turpe guadagno che sopra vi si faceva (lo dimostreremo a suo luogo) al paragone dei fiorini e ducati d’oro purissimi del medio evo. Tanta adunque fu la corruttela notata già dagli storici recata dall’invasione delle straniere genti ai costumi ed al carattere nostro nazionale, che perfino ne fu tocca la moneta, del qual rivolgimento debito mio era di fame a questo punto, siccome numismatico, l’osservazione.

SCUDO D’ARGENTO DA L. 5,12 — Per quella ragione che fo valere per le monete d’oro e per le maiuscole d’argento del regno d’Italia, registro similmente questa denominazione, che scaturisce dalle tavole spagnuole 22, mentre l’altra di ducatone prevalse coll’uso, e per l’inutilità di nominarne il prezzo, dopo che si trovò alterato alla fine del secolo, in cui nacque e maggiormente dopo, siccome avvenne all’altra moneta majuscola sua sorella, al filippo, di cui non fu inciso il valore dopo i primi stampi.

Giustissima, per altro era stata da principio e conveniente nelle tariflfe l’aggiunta allo scudo d’argento del suo prezzo di L. 5,12, allorché venne alla luce nel 1551, perchè altro scudo di valsente eguale correva in oro contemporaneamente notato già nell’articolo precedente. E quegli il quale ne dubitasse, o ne fosse sorpreso, regolando l’occhio dai moderni scudi e dai loro valori in paragone dell’oro legga la grida del 1548 di Ferrante Gonzaga capitano generale e luogotenente dello stato di Milano dove scudi soletti di Franza Milano et Genoa si rinvengono tassati L. 5,1223, ed a persuadersene poscia scientificamente ricorra alla nostra rubrica di Carlo V in fine, dove coll’analisi di queste due o di altre monete allora correnti ho dimostrato, che la stessa proporzione di 11: 1 dell’argento all’oro è loro comune nel depurato peso metallico rispettivo, che è quanto dire, che lo scudo d’argento contiene 11 parti di più dell’oro.

SCUDO — Denominazione generica data alle monete grosse d’argento pesanti un’oncia all’incirca fabbricate generalmente in Europa coi tesori del Nuovo Mondo nella seconda metà del secolo XVI, e mai sempre dopo, siccome fu ragionato da principio in questi prolegomeni, e si è veduto di sopra coi ducatoni e filippi nostri del dominio spagnuolo, che in sostanza ne tengono il posto. Da noi per altro non si hanno nella tariffa i primi scudi che da Maria Teresa del 1778 pesanti nostri antichi denari di marco 18 + 14/24 coi mezzi in proporzione al titolo di 0,896 col valore di L. 6 milanesi. Altri scudi vi sono oggi austriaci, e mezzi in proporzione, al titolo di 0,900 del valore di L. 6 e di L. 3.

SEMPREVIVO — Cosi nominato da un’impresa sforzesca mostrante un tal fiore verde tutto l’anno, ideata dal duca Massimiliano, quando si trovò riposto per breve tempo sul trono de’ suoi maggiori mercè l’aiuto degli imperiali nel 1512, e realizzata da suo fratello Francesco n, allusiva al risorgimento di quella dinastia operatosi nel 1530, dopo le tante sventure sofferte per le due conquiste francesi, e per l’occupazione militare dei tedeschi; peso d. 4, tit. 0,640, valore soldi 10.

SESINO — All’editto famoso nella storia monetaria nostra del conte di Virtù, che ci conviene ripetere tante volte, dobbiamo di essere informati in modo autentico di questa moneta, che però sotto nome di grossello esisteva ai tempi dell’arciv. Giovanni. Continuata come il soldo fini egualmente senz’onore in rame. Il peso del primo sesino che si conosce indubitato del re di Francia Luigi XII (non potendosi accertare i precedenti viscontei e sforzeschi, che si leggono nella loro tariffa) è di gr. 19 al titolo di 0,218 contenente perciò argento gr. 4,276; l’ultimo è spagnuolo del 1659 regnando Filippo IV. il quale a rigore del peso di gr. 26,636, è dell’infima bontà di 0, 083333, non rinserra che gr. 2,219. Ommetto il sesino ristampato nel 1777 diventato ignobile al pari del soldo.

SESTINO — La più piccola moneta in rame ella è questa, che fece parte del sistema di Maria Teresa. Dalla sua etimologia esprimente sei denari qualcuno senza vederla potrebbe argomentarla del valore di mezzo soldo; cioò di un sesino. Ma egli s’ingannerebbe, significando il sestino per volontà sovrana 1/6 di soldo, due denari e non più, come consta dalla tariffa annessa alla grida 25 ottobre 1778, e dal suo peso proporzionale col soldo e sesino. Affatto inutile del resto riuscì nella contrattazione plateale, non avendola io giammai, che segno da quel tempo o poco prima i miei giorni, udito a conteggiarla, ond’è che correva per tre danari frammista al quattrino.

SOLDO — Abbiamo già veduto essere il soldo nel sistema monetario, che ci regge da dodici secoli 1120 della lira e trattando non è guari del grosso, qualmente moneta immaginaria nella sua origine da Carlo Magno, pervenisse dopo cinque secoli e mezzo a farsi effettivo e sonante alla metà del 1200 colle gloriose, ricche ed avvedute repubbliche italiane di quella età. Soldi più o meno pesanti e buoni furono ognora dopo stampati, come ognuno sicuramente conosce dal fin qui detto, fino al 1673, in cui ne fu soppresso il conio24 per dar luogo esclusivamente agl’infiniti quattrini di puro rame. In questo ignobile metallo dopo un secolo ricomparvero i soldi nel 1777 e durarono tuttavia dal 1822, successi agli italiani del 1807. Una rassegna della prima specie qui cadendo inutile, farò cenno del peso e della bontà del primo e dell’ultimo. Il soldo repubblicano nostro antico chiamato terzarolo, che la metà era dell’imperiale, queste due sorta di monete avendo corso allora come farò conoscere in seguito, il soldo repubblicano, dico, antico era della forza di puri grani 36,160 in ragione di mischiati gr. 40 al titolo di 0,904 ed in conseguenza l’imperiale ne contava 72,320. Il soldino all’incontro spagnolo pure imperiale di niente più era grave che di gr. 2,962 per il suo peso di gr. 42,666 all’infimo impasto di 0,069443. Qual differenza mai dall’uno all’altro risulta da questo paragone, onde restare convinti sempre più dell’inconcusso teorema esposto dal Carli. Mi dispenso di versare sopra i soldi di rame attuali con quell’arbitrio, che fu già denunziato, e che di proposito faremo palese a suo tempo.

SOLDINO — Diminutivo di soldo; in questo senso ne abbiamo già parlato da un momento ed ora ne daremo la spiegazione e le prove, dicendo, che soldi vennero chiamati al loro comparire nel 1200 per conformazione all’antico nome carolingico, e promiscuamente anche grossi per il motivo toccato di sopra della loro forza maggiore comparativamente alle monete de’ secoli precedenti, e soldini per giusta inversa ragione, allorché si trovarono al tempo del conte di Virtù cotanto abbassati dal pregio antico. Una tal voce difatti è dimostrato cominciò a scriversi allora nei pubblici documenti25, e prosegui coi duchi Sforza e re di Spagna. Ed ecco chiarito come è che soldi e soldini sono la stessa identica moneta, vale a dire la vigesima parte della lira, a misura dei diversi tempi e del peso e della bontà loro maggiore o minore.

TERZOLO detto anche TERZAROLO — Moneta della metà del secolo XII, coniata nel precisamente primo assedio della città nostra del 1158 postovi da Federico I. Ignota è quella sua primitiva composizione, perduta essendosi la moneta, né lume alcuno potendosi ricavare dagli scrittori. Risuscitò alla metà del secolo dopo nei primi soldi e denari stampati con puro marchio repubblicano; e come moneta di conto, cioè immaginaria, si è conservata, spenta la libertà, per lungo tempo presso di noi al valore costante di metà dell’imperiale. Bastanti per ora siano questi cenni, mentre fra poco ce ne occuperemo di proposito assieme all’imperiale.

TESTONE D’ARGENTO — Così detto dalla testa del ritratto del principe impressovi sopra. Altrove ho osservato che pregio sì bello dell’antichità perduto o quasi nella barbarie de’ bassi tempi venne ripristinato dal primo duca visconteo in parte al principio del secolo XV, che riprodotto dopo lungo indugio di mezzo secolo dal capo della seconda nostra dinastia in più estesa misura, venne adottato poscia stabilmente, volgendo l’anno 1474, nelle monete grandi di argento, nonché in quelle d’oro del secondo duca Sforza, ed indietro all’articolo grosso ne furono palesati il valore originario di 20 soldi, la bontà squisita a 0,962, ed il peso fino a quel punto inaudito di 8 denari. Mezzi testoni del principe suddetto si hanno altresì registrati in diverse gride sforzesche e spagnuole, e noi li vagheggiamo, benché rari, nei nostri Cimelii, belli essendo e lodevolmente composti. Al comparir degli scudi colla metà del secolo XVI fu già notato, che cessarono di venire alla luce, e di figurare nel mondo numismatico quale moneta primaria; ed aggiungere si può con verità, come la più compita, che sia stata fatta in Europa dopo il risorgimento dell’Arte. Oltre di questi testoni e loro metà si hanno sullo stesso conio stampati dei doppii e dei tripli in lamine proporzionatamente più grosse, ma sono rarissime anticaglie.

TESTONE D’ORO — Sinonimo di fiorino e di ducato d’oro cominciato con Francesco I Sforza per la ragione medesima del ritratto, che si ripetè dal suo successore anche in argento, veggasi il documento in Argelati del 1465, che ce ne istruisce26, ed altro pure che nomina testoni d’oro del 1474, dello stesso autore.

TRENTINO — In modo assai vago così è registrato in una grida sforzesca del 153427: Le terline, sesini, soldini, quindesini et trentini si possono spendere al corso suo. L’etimologia denota il valore di due soldi e 1/2, ma poiché nella grida stessa leggiamo altresì danari ducali a soldi 2,6 così nasce dubbio sul suo valore, non potendosi capire, che una moneta sola portasse due nomi.

TRILLINA, TERLINA, TREGUA — Promiscuamente così chiamata venne una nostra monetina durata per secoli, che dal valore di 3 denari dimostra essere la sua etimologia. Trilline ridotte a 2 denari si leggono nell’editto 1465 di abbassamento che si ordinò in quell’anno di tante monete; tregue a 3 del peso di gr. 18,775 si coniarono nel 1474, e terline dette anche quattrini si fabbricarono lungamente in parte erose, e a diverse riprese scadenti, ed in parte di puro rame nel governo della Spagna e dopo fino a Maria Teresa, talché la trillina finì nel quattrino composto di vile metallo, siccome fu dato ad intendere di sopra alla voce quattrino.

ZECCHINO — Veduto abbiamo l’ambrosino repubblicano d’oro cedere il posto ai fiorini viscontei e di questi la meritata fama estinguersi all’apparire dei ducati sforzeschi e francesi tanto semplici che doppj . Ora è a dirsi, che le doppie della malaugurata era spagnuola avendo soppressa da noi la fabbrica dell’oro puro (e lo stesso avvenne in forza di quel funesto esempio in quasi tutte le zecche d’Italia) le nostre gride dal 1653 in poi al 1771 da me attentamente esaminate non fanno più menzione come per lo innanzi di ducati di Spagna, Milano, Venezia, Genoa, Fiorenza, ma nominano zecchini di Venezia e Fiorenza al diminuito peso di denari 2,20, mentre il marchese d’Ayamonte nel 1575 li notava di denari 2,2128, siccome sappiamo che gravi furono per tutto il medio evo. Furono ristampati gli zecchini nel 1778, e moltiplicati assai da Giuseppe II forti ognora di 11/24 di grano di più dei denari 2,20, ed al prezzo di mil. L. 14,10 (1778) e di L. 15,4 (1786). La zecca di Venezia in oggi ci fornisce qualche zecchino al peso di denari 2,20 ed al prezzo di L. 13,5029.






  1. Vista la buona accoglienza fatta agli scritti del fa Conte Giovanni Molazzani, pubblicati sotto questo medesimo titolo di Studii economici sulle Monete di Milano nel primo fascicolo della Rivista Numismatica, presentiamo in questo terzo fascicolo un altro capitolo che era destinato ad essere il XX ed ultimo del Discorso Preliminare alla Illustrazione delle Monete Milanesi. In questo capitolo, fatto a guisa di dizionario, è data in ordine alfabetico la denominazione delle varie monete coniate nella zecca di Milano, aggiuntovi il peso, la bontà e il valore pel quale ebbero corso al loro nascere e nei tempi successivi. Scritto con quella scienza, erudizione e precisione che erano proprie dell’insigne numismatico, questo dizionario può considerarsi come un vero studio economico e non può che riuscire di grande interesse a tutti gli amatori delle nostre monete. Crediamo renderci interpreti del pensiero dei lettori della Rivista rendendo grazie al Conte Mnlazzani figlio che ha messo a nostra disposizione i manoscritti del padre, fra cui ci sarà ancora materia per articoli in avvenire. Il presente capitolo fu scritto a Treviglio negli anni 1849 e 1860.

    Francesco ed Ercole Gnecchi.

  2. Manoscritti di Bellati in Brera al T. II
  3. Argelati. T. II, parte III, pag. 36, nota 2.
  4. Ivi, nota 10.
  5. Zanetti. Raccolta, etc, T. I, 262.
  6. Argelati. T. II, pag. 14, N. 105.
  7. Capo II. Bontà dell’argento.
  8. Argelati. T. 2, pag. 25, col. 2.
  9. Argelati. T. III, pag. 49.
  10. Carli. Delle monete, ecc. T. II, pag. 180.
  11. Argelati. T. II, pag. 42.
  12. Manoscritti di Bellati in Brera, T. II.
  13. Argelati. T. III, all’appendice, pag. 50 e seg.
  14. Ivi, T. II, pag. 444.
  15. Rub. dei re di Spagna.
  16. Veggasi il sno ritratto pubblicato da Litta nelle Famiglie celebri italiane, fase IX. Visconti di Milano, parte II.
  17. Argelati. T. III, pag. 31. — Grida 1649 del marchese di Caracena Governatore e Capitano Generale di Milano, nei manoscritti di Bellati in Brera T. II.
  18. Argelati. T. III, pag. 69.
  19. Argelati. T. III, parte 8, pag. 57, tav. XX.
  20. T. II, pag. 368, ediz. di Pisa, 1757.
  21. T. II. Quattrini di Firenze detti neri — pag. 18. 33 e segg. Pisani e Aretini — pag. 25. Lucchesi — pag. 56 e segg. Di Milano correnti confrontati col valore del filippo — pag. 465 e segg.
  22. Argelati. T. III, parte 3, pag. 36.
  23. Manoscritti di Bellati in Brera, T. II.
  24. Argelati. T. III, all’appendice, pag. 54, in fine della tavola XVIII.
  25. Argelati. T. III, pag. 60 col. 2 — Id. pag. 82, 49, T. II, pag. 280, T. III, pag. 68.
  26. Argelati. T. III, pag. 31, — T. II, pag. 205,
  27. Manoscritti di Bellati, T. II.
  28. Manoscritti di Bellati, T. II.
  29. Tariffa 1° novembre 1822.

Note

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