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LE DUE FACCIE DELLA MEDAGLIA.
L'egoismo, se dobbiamo esser sinceri, è il sostrato costante di tutti i nostri molteplici sentimenti; nè, per verità, esso dovrebbe venirci rimproverato, dipendente com'è da un'illusione di ottica morale comune ad ogni uomo. Poichè tutti gli esseri e tutte le cose in tanto esistono in quanto sono pensati da noi, è naturale che ciascuno di noi si creda il centro intorno a cui gravita l'universo, e che le ragioni dell'io siano considerate come le sole attendibili. È presumibile che se lo specchio avesse una coscienza, esso affermerebbe soltanto la esistenza di ciò che vi si riflette; ma, siccome facendo riflettere uno stesso oggetto in due o più specchi, ciascuno di questi lo vedrebbe sotto un angolo necessariamente diverso, i giudizii che essi darebbero sulla forma dell'oggetto non potrebbero mai essere identici. Così è dei giudizii nostri. Per la doppia influenza del temperamento iniziale e dell'educazione acquisita, il modo di vedere di ogni uomo è, a proposito di tutto, nel mondo fisico e nel morale, più o meno diverso da quello di ogni altro uomo; quando poi l'interesse personale è in giuoco, il dissidio diventa ancora più grande.
Nella pratica della vita, per le necessità stesse del consorzio sociale, l'accordo sembra farsi sotto la vernice dell'ipocrisia, o si fa realmente, qualche rara volta, per lo spirito di sacrificio; accade però spesso, quando gli interessi impegnati sono troppo forti, che il contrasto scoppii violentemente, e nulla è più curioso, per l'osservatore spassionato, della ingenuità con la quale da ciascuna parte si crede di essere solamente ed interamente nel giusto.
Ridotta ad una espressione rigorosa e si potrebbe quasi dire scientifica, questa era la tesi che la signora Auriti sviluppava, con le incertezze e le ripetizioni inevitabili della conversazione, dinanzi ad Eugenio Darsi, e che trovava invece in costui un avversario deciso.
I due erano soli nel grazioso salottino giapponese dove la signora Auriti ricevev a le sue visite; un silenzio assoluto regnava in quell'estremità dell'antico palazzo prospettante in una via erta e solitaria; e la conversazione, iniziata sopra un futile soggetto, l'approssimarsi della stagione dei bagni, era caduta sulle cose del sentimento.
Caduta non è forse la parola conveniente; poichè il Darsi, attraversando, nei suoi rapporti con la signora Auriti, quel periodo pericoloso in cui il secreto e vago desiderio che ogni uomo prova in presenza della donna sia pure la più rispettata, comincia, date certe circostanze, ad ingigantire e quindi a manifestarsi, aveva egli stesso preparata la via a più intime espansioni.
Se non che, una virtù severa, o meglio forse le scettiche persuasioni dell'esperienza, corazzavano la signora Auriti contro ogni seduzione anche più potente di quella che tentava di spiegarsi sopra di lei; e il freddo ragionamento, la logica inflessibile con cui ella aveva risposto alle professioni di fede, un po' troppo vivaci per esser tutte sincere, del Darsi, avevano ben presto fatto temere a quest'ultimo che il suo gioco non venisse scoperto. Perfino la chiara, la viva luce penetrante dalle finestre e temperata appena dalle tendine tenuissime, gli procurava un certo fastidio, abituato com'egli era alle propizie semi-oscurità dei salottini delle signore alla moda.
— Io le domando scusa — tentava nondimeno di insistere — ma lei non mi
persuaderà che due esseri non si possano comprendere, che l'accordo sia impossibile, che il disinteresse non esista; non mi potrà persuadere che sotto la spinta delle grandi passioni il nostro io non scomparisca, non si annulli, per farci vedere, per farci sentire, per farci vivere di un altro io....
— Sì, sì, — interruppe la signora Auriti, prendendo da un minuscolo
tavolinetto uno svelto calice di cristallo e odorando le violette di Parma che vi suggevano nuova vita, — glielo concedo; ma fino a quando quest'altro io ci seconda. Aspetti però il giorno che sorgono le contrarietà!... E poi, crede lei che l'accordo sia vero, o non è più tosto apparente? Non è il nostro interesse che ci spinge a passar di sopra ai malintesi quotidiani nell'attesa di un vantaggio avvenire, fin quando questi malintesi non sono così grandi da nuocerci immediatamente?...
— Si direbbe un professore di morale! — esclamò il Darsi, non senza una
piccola punta di ironia.
— La morale astratta, ha ragione, è spesso falsa e noiosa....
— Io non ho detto....
— Ma la moralità che scaturisce viva dai fatti non va disprezzata.
Guardi, per esempio....
La signora Auriti sembrò esitare un istante; poi, risolutamente:
— Ne vuole un esempio palpitante? — ripigliò. — Io non commetto una
indiscrezione, poichè lei non conosce le persone di cui si tratta....
E alzatasi, aperto un armadietto e frugatovi un poco, ne cavò una lettera che venne a porgere al suo contradditore.
— Che cos'è questo? — chiese curiosamente il Darsi.
— Legga, legga; lo saprà subito.
Il Darsi spiegò la carta e lesse:
«Cara signora,
«Ella non sa dunque rassegnarsi ancora a credere a quello che ho fatto? Senta, non ci credo neppur io!... Sono proprio io che scrivo da questa sala d'albergo, su questa carta intestata? Che cosa son venuto a far qui?... Giro intorno uno sguardo: non un viso conosciuto, non una persona con cui scambiare una parola. Fermo a questo tavolo, mi pare che tutte le cose oscillino in giro, che il suolo si muova sotto i miei piedi, che la mia testa vacilli; l'impressione precisa che si prova a bordo di una nave. Dopo lunghe e lunghe ore di viaggio, di immobilità ambulante, mi pare di essere ancora sospinto non so verso dove. Ho nella testa un caleidoscopio di paesi e di figure, i nomi di certe stazioni mi tornano stranamente alla memoria, come nel delirio: Oulx, Culoz, e tanto repentino e radicale è il mutamento della mia vita, che non posso credere che esso dati da qualche giorno soltanto.
«Qualche giorno addietro, dunque, io ero ancora costà, avevo una sciabola al fianco, andavo a prendere gli ordini del mio colonnello, venivo a far visita a lei? Che cosa debbo mettere in dubbio, i miei ricordi del tempo trascorso o le impressioni del presente?... Non è solo al fianco che io sento la mancanza di qualche cosa; qualche cosa mi manca ancora qui, dentro il cervello!
«Ho troncata la mia carriera, ho abbandonato il mio paese che potevo ancora servire, mi sono ridotto in questa terra d'esilio; e tutto ciò è nulla! È l'aria che mi manca, è la gola che mi si stringe, è il petto che mi si opprime.... Senta, dopo tutto è una provvidenza che lei mi abbia scritto, che mi abbia offerta l'occasione di sfogarmi, di buttar sulla carta una parte di ciò che mi tempesta nel cranio e che minaccia di farmi ammattire!
«Allora, stia a sentire: bisogna che io le dica tutto, non è vero? Ebbene, la prima colpa è un po' sua. Perchè si ostinò a farmi conoscere quella donna? Perchè mise tanto zelo ad interessarmi a lei? Si diverte dunque a far degli esperimenti in anima vili? Lei lo sapeva bene quel che doveva accadere in me, il bisogno che io aveva di un poco di cuore, malgrado il cinismo della caserma, malgrado la facilità degli intrighi di guarnigione, che l'ordine di tramutamento rompe, come rompe il contratto d'affitto delle camere mobiliate!... Egli è che questo cinismo è una specie di obbligo; che a fare i sentimentali si corre il rischio di esser messi in berlina dagli ufficialetti freschi di spalline! Egli è che vi sono dei sentimenti che si esprimono come si indossa l'uniforme d'ordinanza, perchè così va fatto, per non essere consegnati e per non essere canzonati!
«Ebbene, quello che doveva accadere accadde! Io l'amai, quella donna; l'amai subito che la vidi, l'amavo prima! Quando io ricordo i primi tempi di questo amore muto, inconfessato, forse per ciò stesso più intenso — no, dico male, più raro — quando io ricordo questi giorni che non potranno ritornare mai più, è come se tutte le mie vene si vuotassero.... Sarebbe stato molto meglio che si fossero vuotate allora davvero!
«Perchè dunque colei mi fece capire che non le ero indifferente? Perchè, invece di rafforzare la mia paura di offenderla, le sue parole, i suoi sguardi, i suoi stessi silenzii mi spinsero alla confessione? E quando io non potei più frenarmi, quando le ebbi fatto leggere nell'anima mia come in un libro, sa Ella la risposta che mi diede? «Mio Dio!... esclamò, che cosa ha fatto!» Dunque ella aveva paura? Dunque mi amava!... Quale altra interpretazione potevano avere quelle parole?... No, ella non aveva ragione di temere; io non le domandavo nulla che non volesse accordarmi ella stessa. Che cosa mi rispose ancora? Che solo così poteva essere amata, come una sorella; che una fatalità pesava su di lei, che forse un giorno avrei tutto saputo....
«Perchè quella reticenza? Che cosa poteva essere quella fatalità? Era libera, era stato suo marito che l'aveva lasciata per la prima venuta: lo avevo sentito ripetere da tutti. E nessuno dava una colpa a lei, nè prima nè dopo quell'abbandono; neppure l'ombra d'un sospetto la sfiorava. Allora? Aveva un amante ad insaputa del mondo? Ma se lo aveva, perchè accettare la confessione dell'amor mio? perchè non dirmi alle prime parole che non era libera?... Chi l'obbligava a fingere quel la paura: «Mio Dio, che cosa ha mai fatto?» Perchè non mi aveva fatto mettere alla porta, o non si era messa a ridermi in faccia?
«Non v'ha di peggio che trovarsi dinanzi all'assurdo e sentire nello stesso tempo la necessità imperiosa di trovargli una spiegazione. Quando mancano le induzioni ragionevoli, le più pazze ipotesi si presentano allo spirito. Dire tutte quelle che io formulavo e che dopo un attimo respingevo, non è assolutamente possibile. Ma quell'ansioso farneticamento, quell'assiduo lavorìo dell'imaginazione, se non mi avanzava di un passo nella scoperta della verità, riusciva però ad offuscare la figura della persona amata, gettava il dubbio su di lei, menomava, contaminava l'idolo che io me ne ero formato!
«Questo, da una parte. Dall'altra, vedendola spesso, restando solo con lei, respirando la sua stessa aria, stringendo la sua mano, il mio martirio si raffinava; e se aveva voluto mettermi alla prova, qual prova maggiore potei darle del rispetto timido di cui la circondai?
«Vi è un limite a tutto. Quando io non potei più oltre resistere, che cosa feci? Le scrissi che non l'avrei più rivista; non avevo il coraggio di dirglielo a voce. Ella mi richiamò, mi supplicò di rivederla; era necessario!... Mi amava! Era lei che lo scriveva! era lei che me lo ripeteva, aggiungendo che un giorno mi avrebbe tutto rivelato.... Che importava tutto il resto? Io non chiesi più nulla; me le affidai; non sospettavo ancora gli abissi di doppiezza di cui un cuore di donna è capace!
«Non chiesi più nulla. Avevo sete dei suoi baci, non volevo aver l'aria di rubarglieli. Vi erano dei momenti in cui la mia ragione minacciava di smarrirsi; allora ella gemeva: «È una colpa!...» Perchè colpa? Se mi amava? Se io non avevo altri doveri, e se lei non ne aveva più? Poteva esser l'idea del dovere astratto, della legge divina che l'arrestava? Se era così, perchè non lo diceva?
«Un giorno, non so più come, io nominai suo marito. Si turbò tutta, scongiurandomi di non parlare di lui. Comprendevo bene come il ricordo di quell'uomo non dovesse riuscirle gradito; però le dissi: «Fortunatamente egli è lontano...» Ella stette un momento guardando dinanzi a sè; poi rispose: «È ancora troppo vicino!» E nascose la faccia tra le mani. La luce d'un lampo traversò il mio spirito. Mi sentii morire. Nondimeno tacqui.
«Al ballo del generale, qualche sera dopo, come il fascino di lei era irresistibile, io le mormorai:
«Ebbene.... a quando la rivelazione?...» — «Anche ora! rispose; bisognerà però avere molto coraggio.» — «È dunque molto triste a sapere?» — «Anche a dire; credevo che avesse indovinato...» Allora io sentii come una mano che mi afferrasse alla gola, che mi strozzasse, che mi facesse schizzar gli occhi dalle orbite. Potei dire ancora: «Suo marito?» Ella chinò la testa. Poi mi afferrò una mano: «Mi giuri che non farà nulla, mi giuri che prima mi ascolterà...»
«Io non le rivelo delle cose nuove; sono tanto amiche! Quel marito che l'aveva oltraggiata ed abbandonata, tornava ora da lei, pentito, ma non abbastanza da riparare alla luce del giorno i propri torti! Veniva a trovarla, di quando in quando; non si faceva veder da nessuno in città, restava nascosto il giorno, passava le notti da lei.... Ah! ah! non avevo io l'anima sua! «Che importa il resto?» ella mi domandava. «Il resto non esiste!» rispondeva quest'uomo accomodante! E appena io andavo via, quell'altro veniva ad esercitare i suoi diritti; faceva, secondo ogni probabilità, le grasse risate alle mie spalle! E colei, da economa esperta, dava l'anima a me, il resto all'altro! Io le schiudevo le gioie del cuore, l'altro... Oh! in nome di Dio, io vorrei scendere in istrada e fermare i passanti, il primo galantuomo che passa; io vorrei domandare: Di qual nome è degna costei? Che perfidia deve annidarsi nel suo petto, di quali transazioni è capace, se avendo dei pretesi doveri da custodire, allettava me di lusinghe; se giurandomi di non amare che me, non sapeva rinunziare a quell'altro; se si ridava a chi l'aveva offesa, se vilipendeva il sentimento sacro di cui le avevo fatto l'omaggio?... Come aveva mentito, sapientemente, dal primo all'ultimo giorno! Come aveva dovuto prendersi beffe di me!... In nome di Dio, perchè non mi aveva detto, se non era libera: «Andatevene, io non sono per voi?» Perchè quando volli io andarmene, mi trattenne? Perchè non mi disse da principio, subito, la verità; e mi derise invece con quella fatalità assurda, inverosimile, da lei stessa creata? Come mi accecai così; come caddi in tanto ridicolo? Guardi, io piango di rabbia!
«Che cosa aspettava, dunque; che cosa sperava? Che una vampa di desiderio mi avesse un giorno fatto perdere la ragione e che io avessi preso i resti di quell'altro? Che mi fossi accomodato di questa divisione amichevole?... Guardi, piango di umiliazione....
«Andiamo, via; ho torto di prendermela così calda. «Perfida come l'onda» il giudizio è antico; ma sono soltanto gli ammaestramenti della propria esperienza quelli che ci s'inchiodano nella mente. Ella mi perdoni queste lunghe ed inutili geremiadi; ma gli ammalati non provano una soddisfazione lor propria nel parlare del loro male?
«Io non so ancora quel che farò; il presente è incerto e l'avvenire più tenebroso che mai. Si ricordi di me.»
Come il Darsi ebbe decifrato la firma: Alessandro Morea, la signora Auriti domandò:
— Ebbene, che cosa ne dice?
— Ecco un uomo — esclamò vivacemente il Darsi, credendo di aver trovato
un argomento in suo favore — a cui la passione strappa accenti di una grande eloquenza! Lei non mi sosterrà, credo, che quest'uomo non sia sincero, che egli faccia delle frasi, se ha abbandonato il suo paese, se ha distrutta la sua vita....
— Non è vero che egli ha ragione? Non pare anche a lei che sarebbe
difficile giustificare la parte avversa, e più difficile ancora ritorcere le accuse contro di lui?... Stia dunque a sentire.
E questa volta, presa un'altra lettera dalla stessa cassetta dell'armadio, la signora Auriti cominciò a leggere ella stessa:
«Amica mia,
«Partito? per sempre?... Egli è partito, dopo avermi giurato di attendere dei mesi, degli anni, un'eternità? Di attendere la confessione di tutta la mia vita, dello strazio dell'anima mia? Partito, lui, senza ascoltarmi, abbandonandomi vilmente dopo aver rubata la mia pace, la tranquillità del mio povero cuore che io custodivo gelosamente, come il supremo dei beni?
«Ah, se potessi credere che non è vero, che sono vittima d'una dolorosa allucinazione! Vorrei poterlo credere per me, ed anche per lui, per non disistimare quell'uomo che avevo messo molto in alto, in cima ai miei pensieri!... Non è possibile, è vero? La realtà è schiacciante! Non è possibile neppure il pianto: gli occhi sono aridi, lo sguardo è inebetito....
«Mio Dio, mio Dio! perchè ha egli fatto questo? Che cosa aveva da rimproverarmi? Dici tu, amica, quali sono i miei torti? Non fui forse sincera con lui fino all'eroismo? La confessione che gli avevo promesso non mi avrebbe fatta l'anima a brani? La triste storia non mi avrebbe bruciato le labbra?... Eppure, avevo deciso di farlo ad ogni costo, come una espiazione, come un primo sacrifizio a quest'uomo che mi aveva dischiuso degli arcani dolcissimi, che mi aveva richiamata alla vita del cuore, mentre mi reputavo morta per essa!
«Quest'uomo che io stimavo tanto diverso dagli altri sulla fede delle sue nobili parole, dei giudizii che gli altri, tu stessa per la prima, ne davano, aveva destato in me una grande simpatia; ma se io non ero padrona del mio sentimento, ero padrona della mia ragione; e può egli dire di essere stato da me incoraggiato, sia pure con la più innocente civetteria di cui nessuna donna va esente, a tentar di mutare la natura dei nostri rapporti? Se egli mi avesse subito fatto comprendere quali speranze nutriva, io avrei potuto farmi forza, disilluderlo fin dal principio, non vederlo più; egli invece seppe abilmente aspettare fino a quando io caddi in una fitta rete, quando la mia simpatia era diventata amore, amore potente, del quale non potevo più fare a meno, come non si fa a meno dell'aria che si respira!... E, ciò malgrado, che cosa gli risposi io? Chiedilo a lui stesso; mi affido alla sua coscienza, se ne ha una; che cosa gli risposi? Gli diedi forse allora qualche speranza vaga, lontana? Io gli dissi che non doveva concepirne nessuna, che non potevo amarlo se non come un amico, come un fratello; che una fatalità pesava sulla mia vita!
«Una fatalità, la più triste, la più terribile: essere legata, indissolubilmente, a chi non si ama e non si può amare; esser libera agli occhi di tutti e sentire tutto il peso del dovere nell'intimo della coscienza! Tu lo sai, tu che sei stata presente alle mie dolorose vicende dal momento che fui legata a quell'uomo fino ad oggi, tu lo sai quel che mi fece soffrire! Ebbene, per ragione di queste sofferenze medesime, potevo io cacciarlo da me quand'egli era tornato pentito, umile, supplice, quando a sua volta tradito, invocava il mio perdono, quando io stessa avevo apprezzate tutte le tristi conseguenze della mia falsa posizione, i sospetti che la malignità sempre desta andava gettando su di me?
«Il mio cuore era libero, allora; io non conoscevo ancora lui; avevo creduto che tutto fosse finito per me; non ebbi la forza di respingere mio marito che veniva in nome del nostro passato, che prometteva di riparare pubblicamente, alla luce del giorno, tutti i suoi torti, di smentire per ciò stesso le voci malvagie di cui ero l'oggetto. Quand'anche l'avessi avuta, questa forza, come resistere a lungo? Non aveva egli il diritto dalla sua parte? Non era mio marito?... Fu allora che conobbi lui, e puoi tu imaginare un tormento più grande del mio, spinta com'ero a gettarmi ai piedi dell'uomo amato, e incatenata intanto a chi avevo giurata la fede? Non erano tanto più grandi i miei doveri verso costui, quanto più grande era la mia apparente libertà, quanto più ero sottratta alla sua sorveglianza?... E non lo ingannavo, intanto? non gli mentivo? non avevo dato l'anima mia a quell'altro? Avrebbe quell'altro forse voluto che io mi fossi divisa fra loro due?...
«Io non so; la mia mente si turba, la mia ragione si smarrisce! Quando io gli dissi che un triste secreto mi pesava sul cuore, che un giorno lo avrebbe saputo (non volevo, non dovevo confessarmi a lui?) io gli chiesi se avrebbe avuta la forza di affrontare una posizione tristissima, di contentarsi di quel che solo gli potevo dare. Che cosa rispose? «Non sa che forza la sicurezza di essere amato può dare ad un uomo!» Egli m'ingannava; traeva profitto del mio accecamento, contava presto o tardi di vincere in un modo o in un altro! Un galantuomo avrebbe detto: «Questa forza io non l'ho; mi si chiede l'impossibile!»
«Ed ancora, non gli avevo io chiesto di aver fede in me? Non aspettavo l'occasione propizia da un istante all'altro di dire a mio marito: Mantenete la vostra promessa, riprendetemi con voi dinanzi a tutti, o rinunziate per sempre a me? Non ero io quasi sicura ch'egli avrebbe esitato, nuovamente sedotto com'era da quella donna che lo aveva ammaliato, non più bisognante di me; che egli mi avrebbe presto lasciata libera, questa volta davvero, e per sempre?... Giurava di aver fede in me, lui, e mentiva; e quand'era il tempo di provarla, questa fede, mi abbandonava vilmente; vilmente, lo ripeto ancora, non mi stancherei di ripeterlo!... Dunque, il martirio che io sopportavo, i rimorsi di ogni natura che mi laceravano il cuore in tutti i sensi, la posizione di una donna che è sull'orlo della colpa, i mille pericoli cui andavo incontro, tutto questo era dunque nulla? Per chi mi aveva presa egli dunque?...
«Ah, io mi lamento a torto! È forse provvidenziale che sia finita così! Egli mi avrebbe forse abbandonata dopo avermi avuta, come una cosa inutile ormai!... Mi ha lasciata prima; anche questa è una specie di lealtà di cui bisogna tenergli conto!
«Non è men vero per ciò, amica mia, che vi sono delle nature predilette dalla sventura. Ed io sono del numero. Amami tu, per tutti gli altri, lascia che io versi nel tuo seno la piena del dolore; vieni, vieni presto, vieni a soccorrermi.»
La signora Auriti ebbe un piccolo sorriso di trionfo dinanzi al Darsi che restava un poco interdetto.
— Vede se io avevo ragione? Sente come suona diversa l'altra campana?
Mi parli dell'intesa, della compenetrazione delle anime, adesso!...
— Ebbene! — esclamò il Darsi, che non si voleva arrendere. — Ciò prova
che vi sono nella vita delle situazioni complesse, che ammettono per ciò stesso diverse soluzioni, tutte fino ad un certo punto legittime. Ma se queste persone giudicavano così diversamente della loro condotta di fronte al sentimento che li dominava, ella converrà meco che, almeno in questo sentimento, essi si accordavano del tutto, gettati com'erano per esso in preda al più disperato dolore...
— Oh, non lo creda! — interruppe la signora Auriti, con un nuovo
sorriso. — Non lo creda completamente. Certo, la scossa dovette esser sensibile; ma io penso che la previsione, in ciascuno di essi, del dolore dell'altro, dovesse essere più forte che non la personale sensazione dolorosa.
— Come può dirlo?
— Sa che cosa fece la mia amica, il giorno stesso in cui apprese la
rottura? Andò a pranzo in casa di lady Dalty, dalla quale aveva già ricevuto un invito, dopo aver fatto un'accurata toletta. Per confessione stessa di lei — badi, io non metto una parola di mio — fattasi allo specchio, la sua meraviglia fu grande nel rivedersi la stessa, anzi più bella; il sangue affluito alla testa aveva acceso il suo volto, fatto come di bragia, coi grandi occhi sfavillanti. Quei preparativi di festa, i profumi dell'Ixora e della veloutine, le infusero quasi un benessere; a poco a poco una strana reazione si operò in lei; ebbe l'agio di trovare che il suo abito mauve, guernito di trine écrues e di jais, le stava a pennello...
— Oh!
— Aspetti ad esclamare. Per le vie, ella scambiava graziosi saluti e
sorrisi, si sentiva ammirata da tutta quella folla; le pareva quasi che con quell'ammirazione le si rendesse giustizia... Esclami, amico mio; esclami pure; in quel momento ella pensava certo — questa è l'induzione mia, non me l'ha detto lei — alla disperazione dell'uomo, allo sconforto mortale a cui doveva essere in preda; e trovava giusto che egli soffrisse per lei e che lei si distraesse così... Egoismo, e del più puro! L'uomo invece...
— L'uomo?...
— Telegrafava ad un amico, per avere del danaro; il soggiorno di
Parigi, anche quando ci si va per raccogliere un'eredità (suo fratello maggiore era stato colpito da paralisi, egli non fece che affrettare le sue dimissioni) non è una misura di economia. Da Milano a Torino fece il viaggio coi Marnengo; la signora conserva un gradevole ricordo dell'amabilità del capitano. Intanto che egli sfoggiava la sua più squisita galanteria, pensava probabilmente all'ambascia della donna, al rimorso che doveva divorarla, come la più giusta delle punizioni. Se gli avessero detto che in quell'ora precisa ella era a pranzo da lady Dalty, si sarebbe pentito di aver avuta tanta fretta!...
— È disperante! — disse il Darsi, che vedeva l'inutilità dei suoi
tentativi e cercava di lanciare un gran colpo. — Ella dunque crede che tutto sia finzione? Se io le provassi...
— Mio Dio, vuol dire che non ho saputo ancora spiegarmi. Io dico che
tutto è relativo, che tutto può esser vero e falso al tempo stesso, secondo il punto di vista. Lei, per esempio, è qui, nel mio salotto, a sostenere il disinteresse, l'altruismo, il sacrifizio. Questo, non è vero? è un concetto...
— Del quale io non domando che darle la prova!
— Allora, consideri un poco: non potrebbe anche essere un calcolo?